Sanzione disciplinare inevitabile per gli ingiustificabili ritardi del giudice nel deposito delle sentenze

La durata ultrannuale dei ritardi nel deposito delle sentenze, contestata al magistrato soggetto a procedimento disciplinare, pur non comportando un’automatica responsabilità dello stesso, rende più rigorosa la dimostrazione che quest’ultimo deve fornire per sottrarsi alla pretesa sanzionatoria.

Le Sezioni Unite Civili, con la sentenza n. 21618/17 depositata il 19 settembre, tornano sulla responsabilità disciplinare del magistrato. Il caso. Il CSM disponeva la sanzione della censura a carico di un magistrato ritenuto responsabile per gravi, reiterati ed ingiustificati ritardi nell’attività. Il magistrato ricorre in Cassazione deducendo, tra l’altro, l’erronea considerazione dell’insorgenza di una malattia e del conseguente stato di invalidità, nonché delle peculiari circostanze in cui l’ufficio si trovava ad operare in particolare per le carenze di organico. Ritardi ingiustificabili. La Corte rileva l’inidoneità delle censure mosse dal ricorrente ad inficiare la tenuta argomentativa della sentenza impugnata che risulta aver individuato un quadro dei fatti complessivamente grave e ben motivato. Il numero elevato dei ritardi superiori all’anno nel deposito delle sentenze, di cui la metà compresi tra 3 e 5 anni e alcuni addirittura superiori a 7 anni esclude infatti ogni dubbio sulla responsabilità del ricorrente. La giurisprudenza consolidata ha infatti affermato che la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari non comporta automaticamente una responsabilità oggettiva in capo all’incolpato, né tantomeno un’assoluta ingiustificabilità della condotta, ma incide sulla portata dell’eventuale giustificazione da fornire. In tal caso infatti il magistrato incolpato deve dimostrare la scusabilità dei ritardi per l’intero arco temporale contestato e tanto più il ritardo è grave, quanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve esserne la giustificazione, dovendo comprendere la prova che non sarebbero stati possibili comportamenti diversi nell’organizzazione ed impostazione del lavoro. Nel caso di specie, il giudice disciplinare risulta essersi correttamente attenuto a tali principi escludendo una causalità diretta tra la malattia del ricorrente e i ritardi riscontrati, causati anche dalle scelte organizzative e gestionali nello svolgimento dell’attività che, laddove fosse stata gestita in maniera più accorta, avrebbe potuto contenere significativamente i ritardi medesimi. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 marzo – 19 settembre 2017, n. 21618 Presidente Rordorf – Relatore Virgilio Fatti di causa 1.1. Con sentenza n. 140 del 17 giugno 2016, depositata il 14 settembre 2016, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto alla dott.ssa T.L. , attualmente presidente di sezione presso il Tribunale di omissis , la sanzione della censura. La dott.ssa T. è stata ritenuta responsabile dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q , del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, perché, nell’esercizio delle funzioni di giudice dell’udienza preliminare della sezione GIP del Tribunale di omissis , ha ritardato in modo reiterato, grave e ingiustificato, in specie nel periodo compreso tra il 2010 e il 2014, il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni, in particolare depositando 36 sentenze con ritardi superiori a tre anni, 18 con ritardi superiori a due anni e 13 con ritardi superiori ad un anno. Inoltre la sentenza n. 103/2007 è stata depositata dopo oltre sette anni dall’udienza di decisione, determinando l’estinzione dei reati per prescrizione la sentenza n. 157/2010 è stata depositata dopo oltre tre anni, determinando anche qui l’estinzione del reato per prescrizione la sentenza n. 74, pronunciata il 12 marzo 2009, è stata depositata il 3 novembre 2014 la sentenza n. 203, pronunciata il 24 giugno 2010, è stata depositata il 3 novembre 2014 la sentenza n. 353, pronunciata il 10 dicembre 2009, è stata depositata il 17 novembre 2014. 1.2. La Sezione disciplinare, ritenuti integrati i requisiti della reiterazione e della gravità dei ritardi, sul tema della loro ingiustificabilità ha svolto le seguenti considerazioni. In ordine al grave stato di malattia dell’incolpata, che ne ha comportato l’assenza dal servizio dall’ottobre 2008 al settembre 2009, il giudice disciplinare, premesso che tale vicenda personale e umana denota alto senso di responsabilità, abnegazione e attaccamento al lavoro, ha osservato che, tuttavia, dall’analisi dei dati non si può in questa sede affermare che lo stato di malattia abbia avuto una esclusiva e diretta incidenza sui ritardi accumulati , poiché alcuni di essi appaiono preesistenti all’insorgenza della malattia ciò vale non solo per la sentenza omissis , in relazione alla quale già prima dello stato di malattia si era accumulato un ritardo di circa un anno e mezzo , ma anche per altre, per le quali il ritardo era già superiore all’anno ed è perdurato fino al luglio 2015 e dunque anche dopo il rientro dallo stato di malattia , avvenuto nel settembre 2009 . In definitiva, ad avviso della Sezione disciplinare, il detto stato di malattia ha innegabilmente inciso, ma non vi è un rapporto di causalità diretta tra esso e i ritardi. Quanto, poi, alle ulteriori attività espletate dall’incolpata nell’ambito dell’ufficio GIP/GUP e poi anche come presidente della corte di assise, la Sezione ha ritenuto che non emergono elementi per poter plausibilmente sostenere che la notevole entità dei ritardi sia diretta conseguenza delle diverse attività svolte , se rapportate alle statistiche comparative , nelle quali emergono picchi di produttività di altri colleghi anche superiori. Ad analoghe conclusioni il giudice è pervenuto con riferimento alle scelte organizzative, secondo l’incolpata tendenti a privilegiare i procedimenti più complessi, poiché anche con riguardo a questi si sono registrati ritardi di notevole entità. 1.3. In conclusione, la Sezione ha affermato che una più accorta auto-organizzazione del lavoro avrebbe potuto consentire un contenimento dei ritardi in termini più fisiologici e tali da non assurgere a livelli di rilevanza disciplinare , in particolare dando precedenza nel deposito delle sentenze a quelle più risalenti nel tempo . Ne era conseguita una effettiva lesione e compromissione del prestigio dell’ordine giudiziario, circostanze queste ultime che escludono la possibilità di applicare l’art. 3 bis del d.lgs. 109/2006 non potendosi affermare la scarsa rilevanza del fatto in considerazione della effettiva lesione dei beni giuridici presidiati dalla norma incriminatrice disciplinare . 2. La dott.ssa T.L. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi. 3. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1.1. Col primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, sotto i seguenti cinque profili a erronea identificazione del momento di insorgenza della malattia e omessa considerazione della permanenza dello stato di invalidità totale riconosciuto alla dott.ssa T. la sentenza colloca tra l’ottobre 2008 e il settembre 2009, anziché la mera assenza dal servizio, la stessa durata della malattia, così incorrendo nel vizio di travisamento della prova. Dalla documentazione medico-legale versata in atti si evince, invece, che i primi sintomi patologici risalgono al settembre 2007, con necessità di trattamenti chemioterapici a partire dal novembre 2007 e intervento chirurgico eseguito nel marzo 2008. Inoltre, nel novembre 2009 era stata riconosciuta all’incolpata l’invalidità totale e permanente al lavoro con rivedibilità non anteriormente a tre anni, con conseguente compromissione, al ritorno in servizio, della completa efficienza nell’esercizio dei suoi compiti d’ufficio. In definitiva, il giudice disciplinare non ha adeguatamente valutato la documentazione sanitaria in ordine alla latitudine temporale della malattia e alla sua rilevanza effettuale sull’attività professionale svolta dall’incolpata in generale e con specifico riferimento alla sentenza omissis , emessa nel maggio 2007, nell’imminenza dei primi segni della malattia b omessa considerazione della circostanza dell’acquisizione, al rientro in servizio, del ruolo del dott. P.L. , medio tempore trasferito ad altra sede c omessa considerazione delle peculiari circostanze in cui l’ufficio GIP/GUP del Tribunale di omissis si è trovato ad operare, anche in ragione delle eccezionali vacanze di organico, nel periodo in esame, con incidenza causale immediata e diretta sui ritardi addebitati d omissioni e contraddittorietà nella valutazione dell’incidenza causale delle ulteriori attività svolte dalla dott.ssa T. , con particolare riferimento a quelle di presidente dell’ufficio corpi di reato e omissioni e contraddittorietà nella valutazione dell’incidenza causale delle scelte organizzative dell’incolpata il criterio, affermato in sentenza, della precedenza nel deposito delle sentenze a quelle più risalenti nel tempo, pur astrattamente valido, non ha potuto, in concreto, essere seguito per la presenza di complessi e delicati procedimenti che hanno reso necessaria l’adozione di un criterio alternativo a quello meramente cronologico. 1.2. Il motivo è complessivamente infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il sindacato sulla motivazione delle sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , del codice di procedura penale art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 , deve essere volto a verificare che essa a sia effettiva , ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica , perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria , cioè sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo indicati in termini specifici ed esaurienti dal ricorrente , in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico gli atti del processo invocati a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione Cass. Sez. U. 8/4/2009, n. 8615, e 29/10/2015, n. 22092 e, tra altre, Cass. pen. 15/3/2006, n. 10951, e 19/10/2011, n. 41738 . In particolare, l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione Cass. Sez. U. nn. 8615/2009 e 22092/2015, citt. e, tra altre, Cass. pen. 22/4/2008, n. 18163, e 8/2/2013, n. 9242 . 1.3. Alla luce di detti principi, la sentenza impugnata sfugge, ad avviso del Collegio, alle esposte censure, per la essenziale ragione che le stesse, singolarmente e globalmente considerate, non sono dotate del necessario e chiaro carattere della decisività, rivelandosi inidonee ad inficiare radicalmente la tenuta logica della motivazione, a fronte del complessivo ed estremamente grave quadro dei fatti addebitati, connotato da un numero elevato di ritardi ultrannuali nel deposito delle sentenze circa 70 , la metà dei quali di entità compresa tra i tre e i cinque anni, uno superiore ai cinque e uno financo ai sette anni dalla data della pronuncia. Al riguardo va ribadito il principio secondo il quale la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari non comporta una responsabilità oggettiva dell’incolpato, ovvero l’ingiustificabilità assoluta della sua condotta, ma incide sulla giustificazione richiestagli, che deve riguardare tutto l’arco temporale durante il quale l’inerzia si sia protratta, sicché quanto più essi sono gravi tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve esserne la giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, nell’intervallo temporale suddetto, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro idonei a scongiurarli o, comunque, a ridurne la patologica dilatazione, dovendo, altresì, una siffatta prova valutarsi tenendo conto del numero, della durata media e della punta massima dei contestati ritardi Cass. Sez. U. 29/7/2016, n. 15813 . A tale principio il Giudice disciplinare si è sostanzialmente attenuto, là dove, con valutazioni di fatto a lui riservate, da un lato ha più volte escluso la configurabilità di un rapporto di causalità diretta tra lo stato di malattia dell’incolpata o la pluralità delle attività svolte o le sue scelte organizzative e i menzionati ritardi, e, dall’altro, ha sottolineato che una gestione diversa e più accorta dell’arretrato avrebbe consentito un significativo contenimento dei ritardi medesimi si tratta, in definitiva, di motivazione basata su una valutazione globale della situazione evidenziata nel capo di incolpazione, che non si rivela né manifestamente illogica, né incompatibile, al punto da risultarne vanificata, con le risultanze probatorie invocate dalla ricorrente e oggetto delle suindicate censure compresa quella relativa all’esatta individuazione della durata temporale complessiva del grave stato di malattia che l’ha colpita . 2.1. Con il secondo motivo, è denunciata, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b , e/o comma 3, cod. proc. pen., la violazione dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 109/2006. La ricorrente lamenta che la Sezione disciplinare ha escluso la stessa possibilità di applicare la detta norma in presenza della notevole entità dei ritardi, così, in definitiva, esprimendo un giudizio ex ante, anziché ex post. 2.2. Col terzo ed ultimo motivo, viene denunciata, in riferimento all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la mancanza e/o illogicità della motivazione, conseguente alla violazione di legge di cui al motivo precedente, in merito alla effettiva compromissione dell’immagine della dott.ssa T. . 2.3. I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Va premesso che l’applicabilità dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto, di cui all’art. 3-bis cit., è rimessa ad una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare e il giudizio negativo è soggetto al sindacato di queste sezioni unite o per errori di impostazione giuridica, oppure allorché la motivazione sia ritenuta viziata ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. Nella specie, deve ritenersi che il giudice, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non ha inteso escludere in generale e a priori l’applicabilità della norma, ma lo ha fatto con riferimento alle caratteristiche del caso concreto, con valutazione da ritenere adeguata, anche alla luce del complesso delle argomentazioni svolte nella pronuncia. 3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.