Vende l’immobile ma non il cortile…può farlo?

La Cassazione si esprime sulla validità delle clausole di esclusione del trasferimento della proprietà di alcune parti comuni, nell’ambito del contratto di vendita di un immobile

La Cassazione si esprime sulla validità delle clausole di esclusione del trasferimento della proprietà di alcune parti comuni, nell’ambito del contratto di vendita di un immobile con l’ordinanza n. 20216/17 depositata il 21 agosto. Il caso. La Corte d’Appello respingeva il gravame proposto contro la sentenza del Tribunale che aveva disatteso la domanda presentata dai ricorrenti. Questi ultimi chiedevano il riconoscimento della loro proprietà sul cortile condominiale di un immobile che avevano precedentemente trasferito a terzi. La domanda dei ricorrenti si fondava sul del fatto che nel contratto di trasferimento della proprietà dell’immobile fosse presente una clausola di espressa riserva di comproprietà del cortile resede. Avverso tale diniego i soccombenti ricorrevano in Cassazione. Validità clausole. Nel caso di specie, la Cassazione rileva che i giudici di merito abbiano correttamente applicato i principi più volte richiamati dal collegio di legittimità nel rigettare la domanda. Secondo la Corte, infatti, la clausola contenuta nel contratto di vendita di un’ unità immobiliare di un condominio, con cui alcune parti comuni vengono escluse dal trasferimento della proprietà è nulla. Ciò in quanto in contrasto con quanto disciplinato all’art. 1118 c.c. sia in relazione al divieto per un condomino di rinunciare alle parti comuni sia in quanto ciò inciderebbe sulle quote millesimali, costituendo una violazione del predetto articolo. Per questi motivi la Cassazione ritiene corretto l’operato del Tribunale e respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 23 giugno – 21 agosto 2017, n. 20216 Presidente Bianchini – Relatore Orilia Ritenuto in fatto La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza 1.10.2013 ha respinto il gravame proposto da Mauro e R.N. contro la sentenza 110/2008 del Tribunale di Arezzo sez. dist. Montevarchi che aveva, a sua volta, disatteso la domanda da essi proposta nei confronti dei proprietari di unità immobiliari del Condominio omissis e tendente a far accertare che il cortile resede distinto al fol p.lla era anche di loro proprietà per espressa riserva contenuta nel contratto del 7.12.1974 con cui gli attori trasferirono a terzi una unità facente parte del fabbricato condominiale . Secondo la Corte territoriale, posto che il cortile in questione era pacificamente di proprietà del Condominio omissis , doveva ritenersi nulla e inopponibile agli altri condomini la clausola di riserva con cui essi, nel trasferire la proprietà di un appartamento a terzi, si erano riservati la comproprietà del cortile sia perché gli altri condomini non avevano partecipato all’atto sia perché le proprietà comuni non sono scindibili dalle proprietà condominiali cui accedono. Non avendo dunque gli attori appellanti provato l’esistenza di un valido titolo di comproprietà del resede, la loro pretesa, secondo la Corte di merito, non meritava accoglimento. I R. ricorrono per cassazione sulla base di due motivi a cui resistono con controricorso, illustrato da memoria, i comproprietari facenti parte del Condominio omissis Considerato in diritto 1 Col primo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione dell’art. 102 cpc, per avere i giudici di merito omesso di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti interessati ed in particolare di F.G. , coniuge di M.B.B. , e anch’essa intestataria di unità immobiliare, come riscontrato dal CTU nel suo elaborato integrativo rileva in caso di mancata integrazione del contraddittorio, la sentenza sarebbe inutiliter data. Il motivo è infondato. Dalla lettura del ricorso v. pag. 9 risulta che con l’appello in via preliminare si era censurata la sentenza di primo grado proprio per aver omesso di pronunciarsi sulla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della F. , litisconsorte necessaria in quanto comproprietaria, unitamene al coniuge M.B.B. della unità immobiliare distinta al foglio p.lla sub . La Corte d’Appello non ha proprio affrontato tale questione e tale omissione integra una violazione dell’art. 112 cpc omesso esame di un motivo di appello . Pur non avendo espressamente dedotto la violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 360 n. 4 cpc i ricorrenti hanno comunque denunziato la nullità della sentenza e quindi il ricorso, sotto il profilo della indicazione delle norme di diritto è ammissibile v. in proposito S.U., Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 . Non lo è sotto un altro profilo di specificità. I ricorrenti infatti desumono la qualità di litisconsorte della signora F. dal semplice fatto che essa sia il coniuge di uno dei comproprietari di immobili facenti parte del condominio, ma la deduzione, così come articolata, non è puntuale perché l’essere coniuge non significa essere automaticamente comproprietario dell’immobile di proprietà dell’altro, ben potendo trattarsi di coniugi in regime di separazione dei beni oppure di beni personali ad uno solo di essi secondo la previsione dell’art. 179 cc la mancanza di specificità su tali importanti elementi non consente di apprezzare la fondatezza della censura, non essendo sufficiente il mero richiamo alla relazione suppletiva che neppure risulta fedelmente trascritta per la parte di rilievo o allegata al fascicolo dei ricorrenti, così come non risulta prodotta alcuna visura immobiliare che attesti l’affermazione. 2 Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1117, 1119 e 2697 cc dolendosi del rigetto della loro domanda di accertamento della comproprietà del cortile. Richiamano il contenuto dei due contratti già menzionati nei giudizi di merito e ritengono che il resede o cortile possegga tutte le caratteristiche di accessorietà necessaria e funzionale ad entrambi gli edifici, come si evince dalla documentazione fotografica. Contestano il giudizio di nullità e inopponibilità della clausola di riserva di comproprietà e rilevano che i loro acquirenti erano ben consapevoli della riserva di proprietà operata dai venditori. Rilevano inoltre l’erroneo richiamo all’art. 1119 cc riguardante l’indivisibilità delle parti comuni e quindi non avente nulla a che vedere con la presente controversia relativa alla sussistenza o meno dei diritti di comproprietà degli odierni ricorrenti su un bene comune. Il motivo è infondato. Non è nuova la questione di diritto che il Collegio è chiamato ad affrontare validità, negli atti di trasferimento di singole unità immobiliari facenti parte di un condominio, della clausola di esclusione dalla vendita di alcune parti comuni dell’edificio condominiale . La Corte, infatti, si è già espressa sulla questione pervenendo alla conclusione che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni, è nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti, vietata dal capoverso dell’art. 1118 cod. civ. v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 1680 del 29/01/2015 Rv. 634967 Sez. 2, Sentenza n. 6036 del 29/05/1995 Rv. 492556 Sez. 2, Sentenza n. 3309 del 25/07/1977 Rv. 386857 . Si è aggiunto in proposito che se si considerasse valida la vendita che escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione dell’art. 1118 c.c., comma 1. Sez. 2, Sentenza n. 1680/2015 in motivazione . Nel caso di specie la soluzione adottata dai giudici di merito si rivela in linea con l’orientamento di questa Corte e pertanto resiste alla critica dei ricorrenti che, peraltro, introduce valutazioni in fatto quale la funzionalità del cortile anche rispetto all’altro edificio in cui essi si sono trasferiti dopo la vendita del 1974 rinviando a documenti di cui non risulta neppure la data e sede di deposito documentazione fotografica rappresentante lo stato dei luoghi . In conclusione, il ricorso va respinto, con addebito di spese al ricorrente. Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.