Creditor creditoris: spendere il nome del rappresentato non serve

Colui che abbia ricevuto dal proprio debitore un mandato con rappresentanza, al fine di riscuotere un credito vantato dal mandante verso terzi è legittimato a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti del debitor debitoris, a nulla rilevando che

non abbia formalmente dichiarato di agire in nome altrui, quando non possa esistere alcun dubbio circa l’identità tra il credito azionato, e quello la cui riscossione forma oggetto del mandato. Lo ha sancito la Suprema Corte con ordinanza n. 19344/17 depositata il 3 agosto. Il caso. La società chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Bergamo un decreto ingiuntivo nei confronti della Gestione Liquidatoria della USL di Siracusa ormai disciolta e dell’Assessorato alla sanità della Regione Sicilia. In particolare, la società deduceva di aver ricevuto con atto pubblico, da parte dell’interessata, una procura all’incasso della somma nei confronti dell’amministrazione debitrice. Proposta opposizione al decreto ingiuntivo sia dall’Assessorato che dalla Gestione Liquidatoria, questa veniva dal Tribunale rigettata. Adita la Corte d’Appello, i Giudici riformavano tale decisione ritenendo che la società, in quanto rappresentante dell’interessata, avrebbe dovuto dichiarare di agire in nome altrui, cosa che però non fece. La società ricorre per cassazione deducendo che il mandato conferitogli dall’interessata era un mandato a riscuotere anche nel proprio interesse, in qualità di creditor creditoris e, pertanto, si considerava legittimata a richiedere direttamente il pagamento. Creditor creditoris. Nel ritenere il ricorso fondato, la Corte di Cassazione ha qui l’occasione di affermare un nuovo principio di diritto secondo il quale colui che abbia ricevuto dal proprio debitore un mandato con rappresentanza, al fine di riscuotere un credito vantato dal mandante verso terzi, e soddisfarsi sul ricavato, è legittimato a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti del debitor debitoris , a nulla rilevando che non abbia formalmente speso il nome di quest’ultimo, quando non possa esistere alcun ragionevole dubbio circa l’identità tra il credito azionato, e quello la cui riscossione forma oggetto del mandato . Pertanto, la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte territoriale in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 28 aprile – 3 agosto 2017, n. 19344 Presidente Vivaldi – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2005 la società Cliniche Gavazzeni s.p.a. d’ora innanzi, per brevità, la Gavazzeni , chiese ed ottenne dal Tribunale di Bergamo un decreto ingiuntivo nei confronti della Gestione Liquidatoria della disciolta USL n. omissis e dell’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia. A fondamento del ricorso monitorio la Gavazzeni dedusse di avere eseguito, nell’anno 1994, varie prestazioni sanitarie in favore di G.S. , residente a , per l’importo complessivo di Euro 17.124,64 che tali prestazioni erano state autorizzate dalla USL di appartenenza dell’ammalata, ovvero la USL n. omissis che l’amministrazione sanitaria locale non aveva mai rifuso all’assistita tale somma che G.S. aveva conferito alla Gavazzeni, con atto pubblico, una procura all’incasso della suddetta somma nei confronti dell’amministrazione debitrice. 2. Sia l’Assessorato che la Gestione Liquidatore proposero opposizione al decreto ingiuntivo. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza 7 febbraio 2007 n. 345 rigettò l’opposizione. La sentenza venne appellata dalle parti soccombenti. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza 8 marzo 2013 n. 303, riformò la decisione di primo grado e rigettò la domanda della Gavazzeni. Ritenne il giudice d’appello che la Gavazzeni, in quanto rappresentante di G.S. , avrebbe dovuto dichiarare di agire in nome altrui, e non lo fece. 3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Gavazzeni, con ricorso fondato su un motivo. Hanno resistito con controricorso l’Assessorato e la Gestione Liquidatoria della USL n. omissis . La causa, già fissata per l’udienza pubblica del 26 ottobre 2016, con ordinanza interlocutoria del 2 dicembre 2016 n. 24641 è stata rinviata a nuovo ruolo ai sensi dell’articolo 291 c.p.c., al fine di rinnovare la notifica del ricorso, affetta da nullità per essere stata eseguita nei confronti dell’avvocatura distrettuale dello Stato, invece che nei confronti dell’avvocatura generale. La causa è stata quindi nuovamente fissata all’udienza del 28 aprile 2017. Ragioni della decisione 1. Il motivo unico di ricorso. 1.1. Con l’unico motivo la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1723 c.c. 77, 81, 100 c.p.c Deduce, al riguardo, di avere sì ricevuto dalla propria paziente G.S. un mandato a riscuotere, ma che tale mandato le era stato conferito anche nel proprio interesse, quale creditor creditoris . Il conferimento di tale mandato, pertanto, legittimava la Gavazzeni a chiedere direttamente all’Assessorato ed alla Gestione Liquidatoria il pagamento delle spese di degenza, dal momento che G.S. , quando avesse incassato il relativo importo, avrebbe comunque dovuto girarlo alla Gavazzeni. Soggiunge che la Corte d’appello avrebbe pertanto superficialmente interpretato il mandato stesso, e dato rilievo al solo dato formale della mancata spendita del nome del mandante, senza considerare la sostanza del rapporto, che era quella d’una cessione di credito. 1.2. Il motivo è fondato. G.S. , creditrice dell’Assessorato Regionale, era nello stesso tempo debitrice della Gavazzeni. Con atto del 10.9.1994 G.S. conferì alla Gavazzeni irrevocabile ed ampio mandato a riscuotere dalla Regione Sicilia tutte le somme che la menzionata Regione Sicilia è tenuta a rimborsare alla mandante in regime di assistenza indiretta . Il suddetto negozio era dunque inteso a soddisfare due interessi - l’interesse della mandante ad adempiere la propria obbligazione verso la clinica dove era stata operata - l’interesse della mandataria a ricevere il corrispettivo delle prestazioni eseguite in favore della degente. Si trattava dunque di un mandato conferito con tutta evidenza anche nell’interesse della mandataria. 1.3. Da ciò discende che, avendo la Gavazzeni prodotto nel giudizio di merito il mandato conferitole dalla paziente, tanto bastava per ritenere assolto per facta concludentia l’onere di spendita del nome del rappresentato. Se la Gavazzeni, infatti, avesse inteso esigere il pagamento di un credito ulteriore e diverso da quello vantato nei confronti delle amministrazioni intimate da G.S. , non avrebbe avuto alcuna necessità di produrre in giudizio il suddetto documento. La Corte d’appello, dunque, ha effettivamente violato gli artt. 1723, comma secondo, e 1362, comma secondo, c.c. applicabile anche ai negozi unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, ex art. 1324 c.c. , in quanto si è limitata ad esasperare il dato puramente formale della mancata dichiarazione, da parte della Gavazzeni, di agire in nome di G.S. , senza tenere conto della condotta complessiva della società ricorrente e dei documenti da questa depositati. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, affinché torni ad esaminare l’appello proposto dall’assessorato e dalla gestione liquidatoria, alla luce del seguente principio di diritto colui il quale abbia ricevuto dal proprio debitore un mandato con rappresentanza, al fine di riscuotere un credito vantato dal mandante verso terzi, e soddisfarsi sul ricavato, è legittimato a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti del debitor debitoris, a nulla rilevando che non abbia formalmente speso il nome di quest’ultimo, quando non possa esistere alcun ragionevole dubbio circa l’identità tra il credito azionato, e quello la cui riscossione forma oggetto del mandato . 2. Le spese. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.