I provvedimenti del Giudice tutelare hanno natura “decisoria” o “gestoria”?

Nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte di appello, ai sensi dell’art. 720-bis, comma 2, c.p.c., avverso il provvedimento con cui il Giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione – proposta dall’amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo – a esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14158/2017, depositata il 7 giugno scorso. La fattispecie. Il Giudice tutelare di Savona disponeva l’apertura dell’amministrazione di sostegno in favore di un uomo a seguito del grave infortuno sul lavoro che lo aveva condotto in uno stato di incoscienza e di totale incapacità di provvedere a sé stesso e nominava la moglie quale sua amministratrice su espressa precedente indicazione del marito. L’amministrato aveva altresì indicato precide direttive in ordine alle terapie alle quali non si sarebbe voluto sottoporre in quanto Testimone di Geova. Il Giudice tutelare, tuttavia, rigettava l’istanza della moglie amministratrice volta a negare il consenso alla sottoposizione del marito a ogni cura che prevedesse la trasfusione di emoderivati. Avverso tale decreto la moglie proponeva un reclamo ex art. 720- bis , comma 2, c.p.c., chiedendo la sua riforma nella parte in cui non veniva concessa la autorizzazione a esprimere la negazione del consenso alle terapie trasfusionali per il coniuge amministrato. La Corte di appello di Genova dichiarava inammissibile il reclamo in quanto proposto avverso un provvedimento del Giudice Tutelare asseritamente inerente a una mera fase gestionale” dell’amministrazione di sostegno e privo pertanto del carattere della decisorietà e in quanto tale reclamabile solo avanti al Tribunale ex art. 739, comma 1, c.p.c Il consenso o la negazione delle cure è una mera gestione” dell’amministrato? La moglie amministratrice ha pertanto proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione avverso il provvedimento della Corte di appello di Genova, deducendo 4 motivi di impugnazione. In particolare, la ricorrente ha contestato la decisione della Corte territoriale nella misura in cui ha ritenuto di portata meramente gestoria” e non decisoria” il decreto del Giudice Tutelare, in quanto, secondo la ricorrente, si trattava del medesimo provvedimento che aveva disposto la apertura dell’amministrazione di sostegno ed essendo la richiesta di autorizzazione alla negazione del consenso alle cura la ragione fondamentale del ricorso per la istituzione dell’amministrazione stessa. Pur dando atto dell’intervenuto decesso del marito e, pertanto, della sopraggiunta carenza di interesse che ha comportato la declaratoria di inammissibilità del ricorso la ricorrente ha sollecitato comunque la pronuncia di ufficio del principio di diritto da parte della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c Le decisioni in materia di esercizio dei diritti fondamentali ha certamente natura decisoria”. Attesa la novità e la importanza delle questioni trattate dalla ricorrente la Corte ha ritenuto sussistere i presupposti per la pronuncia d’ufficio del principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c Gli Ermellini sciolgono il nodo riguardante la natura gestoria” o decisoria” del decreto del Giudice Tutelare da cui discende la soluzione circa l’organo giudiziario deputato a conoscere della relativa impugnazione. Per fare ciò la Corte muove le fila del proprio iter argomentativo evidenziando come, innanzitutto, la designazione della ricorrente come amministratrice di sostegno da parte del marito era a suo tempo stata operata all’esclusivo fine di far rispettare la sue direttive anche in ordine alle procedure mediche che prevedevano l’uso del proprio sangue e, in tale contesto, la domanda della moglie amministratrice di autorizzazione a esprimere la negazione del consenso alle emotrasfusioni era la ragione fondante della istanza stessa di apertura della amministrazione di sostegno e risultava quindi a essa strettamente e inscindibilmente legata. Ne consegue che la apertura, la designazione e la istanza volta a far valere le direttive dell’amministrato, riguardanti diritti fondamentali quali quello della autodeterminazione nelle scelte sanitarie di cui all’art. 32 Cost. e al rispetto delle proprie convinzioni religiose di cui all’art. 19 Cost. hanno sicuramente natura decisoria. Tale natura avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a non declinare la propria competenza e a pronunciarsi nel merito della richiesta autorizzazione a non consentire le terapie escluse dalle direttive anticipate. Tale carattere deriva proprio, secondo gli Ermellini, dalla diretta incidenza su diritti fondamentali della persona, in coerenza con i principi fondamentali e indeclinabili di identità e libertà della persona di cui agli artt. 2 e 13 Cost Per tale ragione, chiarendo la Corte di Appello di Genova avesse dato una errata qualificazione giuridica alla statuizione di rigetto, ha formulato il seguente principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 3, c.p.c. nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte di Appello, ai sensi dell’art. 720- bis , comma 2, c.p.c., avverso il provvedimento con cui il Giudice Tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione – proposta dall’amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo – a esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 febbraio – 7 giugno 2017, n. 14158 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Fatti di causa Con decreto del 17 febbraio 2015 il Giudice tutelare di Savona ha disposto l’apertura dell’amministrazione di sostegno di M.M. dopo che un grave infortunio sul lavoro l’aveva condotto in uno stato d’incoscienza e di totale incapacità di provvedere a sé stesso, nominando la moglie B.D. , indicata in un documento da lui precedente sottoscritto. L’amministrato aveva anche dato direttive in ordine alle terapie cui non si sarebbe voluto sottoporre anche in caso di pericolo di vita, essendo testimone di Geova. Il Giudice tutelare, tuttavia, ha rigettato l’istanza della B. volta a negare, nella assunta qualità di amministratrice di sostegno, il consenso alla sottoposizione del marito a cure che prevedessero la trasfusione di emoderivati. Contro questo decreto la B. ha proposto a reclamo alla Corte d’appello di Genova ai sensi dell’art. 720 bis, 2 comma, c.p.c., chiedendone la riforma nella parte in cui non veniva concessa l’autorizzazione a esprimere la negazione del consenso alle terapie trasfusionali per il coniuge. Con decreto del 2 maggio 2015 la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il reclamo in quanto proposto avverso un provvedimento del giudice tutelare inerente alla fase gestionale dell’amministrazione di sostegno, privo del carattere della decisorietà e quindi reclamabile solo dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 739, comma 1, c.p.c A fondamento di tale pronuncia la Corte territoriale ha affermato - l’art. 720bis, c.p.c., non si riferisce genericamente ai decreti ma al decreto del giudice tutelare, ed è collocato nel capo II, titolo II, libro IV del cod. procomma civ. già intitolato dell’interdizione e dell’inabilitazione e, a partire dalla L. 6/2004, dell’interdizione - dell’inabilitazione e dell’amministrazione di sostegno , dedicato alla pronuncia dell’interdizione e dell’inabilitazione, alla forma della domanda, alla pronuncia con sentenza, alla legittimazione all’impugnazione e alla possibilità di revoca della pronuncia, con esclusione delle norme che attengono al regime della tutela e della curatela e ai relativi provvedimenti del giudice tutelare tanto il dato letterale decreto e non decreti quanto la collocazione della norma suggeriscono che essa si riferisca unicamente ai provvedimenti con cui viene disposta l’apertura o la chiusura dell’amministrazione di sostegno - la legge 6/2004, a differenza di quanto previsto nel procedimento di interdizione e inabilitazione, ha attribuito al giudice tutelare la competenza a provvedere sulla nomina dell’amministratore di sostegno per ragioni di snellezza e rapidità giustificate da un’attenuata esigenza di garanzia sarebbe in contrasto con tale ratio legis prevedere la reclamabilità alla Corte d’appello di tutti i provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, laddove persino quelli in materia di interdizione e inabilitazione sono soggetti a reclamo davanti al Tribunale ai sensi dell’art. 739 c.p.c. - l’art. 720bis, c.p.c., ha carattere speciale e derogatorio rispetto alla disciplina delle impugnazioni contenuta nell’art. 739, 1 e 3 c., c.p.c., e ciò è confermato altresì dalla previsione della ricorribilità per cassazione, che deve ritenersi riservata ai provvedimenti di indiscutibile carattere decisorio con esclusione di quelli di natura gestoria, i quali rimangono del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 720 bis, 1 e 2 comma, c.p.c Ricorre per cassazione ex art. 720bis, ult. comma, c.p.comma B.D. , affidandosi a quattro motivi, accompagnati da memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1 Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 720bis c.p.comma e la falsa applicazione dell’art. 739 c.p.comma in relazione alle modalità di impugnazione del decreto del Giudice tutelare. Deduce la ricorrente a contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il decreto del giudice tutelare non ha natura gestoria ma carattere decisorio, trattandosi del medesimo provvedimento che ha disposto l’apertura dell’amministrazione di sostegno ed essendo la richiesta di autorizzazione alla negazione del consenso alle cure la ragione fondamentale del ricorso per l’istituzione dell’amministrazione stessa b il decreto impugnato è contrario alla giurisprudenza di legittimità secondo cui il regime impugnatorio speciale previsto dall’art. 720bis, c.p.c., è applicabile al decreto di cui all’art. 405 c.comma che definisce il procedimento sul ricorso ex art. 404, 407 c.comma Cass., sez. VI, 18634/2012 . 2 Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e 739 c.p.comma in relazione agli artt. 408, 1, 2 e 3 comma, c.c., e dell’art. 410, 1 comma, c.c Deduce la ricorrente a nel dichiarare inammissibile il reclamo, la Corte d’appello ha omesso di rilevare l’illegittimità del decreto del Giudice tutelare consistente nel non avere considerato che, ai sensi dell’art. 408, c.c., la scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario e che, ai sensi dell’art. 410 c.c., l’amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario . Tali aspirazioni, bisogni ed interessi erano stati puntualmente espressi dal M. in un documento intitolato Direttive anticipate , da lui sottoscritto personalmente alla presenza di testimoni nella pienezza delle proprie facoltà di intendere e di volere e in previsione di un futuro, eventuale, stato di incapacità. In questo documento veniva chiaramente espresso il rifiuto alle terapie emotrasfusionali, anche se indispensabili alla sua sopravvivenza b la sentenza Cass. 23707/2012 ha affermato espressamente che la designazione preventiva dell’amministratore di sostegno è un’esplicazione del principio di autodeterminazione in cui a sua volta si realizza il rispetto della dignità umana c le considerazioni svolte dal giudice tutelare circa l’invalidità del rifiuto espresso ex ante e basate sulla sentenza Cass. 23676/2008 non sono pertinenti, perché nel caso di specie non siamo in presenza di un generico rifiuto alle terapie mediche, ma di dichiarazioni puntuali, articolate ed espresse in forma scritta, che devono essere rispettate dal giudicante e dal soggetto designato ad assumere in sua vece le decisioni in ambito medico. 3 Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e 739 c.p.c., in relazione agli artt. 2, 13, commi 1 e 2, Cost. 19 e 32, Cost Deduce la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe, ignorato fondamentali diritti costituzionali dell’individuo, quali l’autodeterminazione nelle scelte sanitarie e il rispetto delle scelte religiose, senza tener conto della copiosa giurisprudenza costituzionale e di legittimità. 4 Nel quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e 739, c.p.comma in relazione agli artt. 8, 9, della CEDU art. 3, comma 2, e 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE artt. 11-61, 11-63, 11-70, 11-82 del Trattato istitutivo della Costituzione Europea, nonché degli artt. 5, 8, 9 della Convenzione di Oviedo. Deduce la ricorrente a la Corte d’appello - fermandosi erroneamente ad una pronuncia di rito ed omettendo così di pronunciarsi nel merito - ha violato le sopracitate norme sovranazionali, al cui rispetto il giudice nazionale è tenuto in forza degli artt. 10, 11 e 117, Cost b la Corte EDU, nella sentenza Testimoni di Geova di Mosca comma Russia del 10/06/2010, ha riconosciuto piena validità alle direttive anticipate esprimenti un rifiuto, dettato da motivi religiosi, alle terapie trasfusionali. Nella memoria difensiva depositata dalla ricorrente viene dichiarato che M.M. , beneficiario dell’amministrazione di sostegno, è deceduto in data 28/08/2015 nelle more del presente procedimento. Ne consegue che deve preliminarmente dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per sopraggiunta carenza di interesse. In analogia al giudizio d’interdizione, infatti, la sopravvenienza della morte dell’amministrato mentre è pendente il giudizio di cassazione determina la cessazione della materia del contendere, venendo meno la necessità della pronuncia per la definitiva chiusura dell’amministrazione di sostegno Cass. 12737/2011 quanto all’amministrazione di sostegno e Cass. 24149/2016 in riferimento all’interdizione , attesa la natura personalissima dei diritti coinvolti. La ricorrente sollecita, nondimeno, la pronuncia d’ufficio del principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, 3 comma, c.p.c., affinché sia dichiarato a che il rifiuto specifico a ricevere emotrasfusioni per motivi religiosi sia considerato distinto dal mero diritto all’autodeterminazione sanitaria, dovendo per conseguenza essere dichiarata illegittima l’imposizione di una contestuale e specifica informazione sanitaria per consentire l’esercizio di tale obiezione, che è incondizionata e non correlata ad alcuna ipotesi di futura malattia b che il giudice non ha la legittima autorità di ignorare le volontà precedentemente espresse da un soggetto adulto capace in ordine al rifiuto di terapie trasfusionali c che il paziente debba essere messo concretamente in grado di esercitare la sua autodeterminazione sanitaria in riferimento alle sue convinzioni etiche, religiose, culturali, come stabilito dalla sentenza di questa Corte n. 21748/2007. Attesa la novità e l’importanza delle questioni trattate nel ricorso e nella memoria, ritiene questa Corte che sussistano i presupposti per la pronuncia d’ufficio del principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, 3 comma, c.p.c., nei limiti che si esporranno, essendo il thema decidendum del presente giudizio comunque limitato dal decisum della Corte d’Appello. La Corte territoriale, con pronuncia in rito, si è dichiarata incompetente a conoscere del reclamo proposto ai sensi dell’art. 720bis, 2° comma, c.p.c., avverso il provvedimento del giudice tutelare sulla base delle ragioni sopra illustrate che possono essere sinteticamente ricondotte all’asserita natura gestoria e non decisoria del decreto impugnato, caratteristica che renderebbe applicabile il regime impugnatorio generale previsto dall’art. 739, c.p.c., con conseguente reclamabilità non alla Corte d’appello ma al Tribunale in composizione collegiale. La pronuncia d’inammissibilità dell’impugnazione non consente l’ulteriore esame delle questioni di diritto sulle quali la ricorrente ha chiesto che la Corte si pronunci ex art. 363, terzo comma, c.p.c., e segnatamente di quelle attinenti alla validità e vincolatività delle direttive anticipate relative alle cure mediche sottoscritte dal M. precedentemente all’evento che l’ha condotto allo stato di incapacità in cui si trovava sino alla morte in relazione al diritto all’autodeterminazione della persona nelle scelte sanitarie e al diritto di manifestazione ed espressione delle proprie credenze religiose. Il principio di diritto nell’interesse della legge, che il Collegio ritiene di dover affermare, non può prescindere dalla fattispecie concreta oggetto del giudizio, né spingersi ad affrontare questioni giuridiche che esulano dal suo ambito. La ratio e l’evoluzione storica della norma di cui all’art. 363, c.p.c., infatti, non lasciano dubbi sul fatto che la stessa non consenta interventi di tipo preventivo o addirittura esplorativo , riferendosi invece all’espressione del principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi , a fronte di un provvedimento che esige di essere corretto al fine di chiarire il reale significato o l’esatta portata della normativa applicata o applicabile cfr. la sentenza Cass. sez. un., 404/2011, la quale, benché si riferisca non alla pronuncia d’ufficio ex art. 363, 3 comma, c.p.c., ma all’enunciazione del principio di diritto su richiesta del Procuratore generale ex art. 363, 1 comma, c.p.c., deve estendersi anche al caso in cui il principio di diritto venga espresso d’ufficio, attesa l’unitarietà dell’istituto quanto alla sua ratio e portata applicativa . Deve rilevarsi che tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del primo, sono estranei all’effettivo decisum del decreto della Corte d’appello la quale, lo si ripete, con pronuncia in rito ha dichiarato inammissibile l’appello per incompetenza del giudice adito, spogliandosi dunque della potestas iudicandi relativa al merito della causa, che atteneva alla legittimità del rigetto, da parte del giudice tutelare, dell’istanza con cui l’odierna ricorrente e amministratrice di sostegno intendeva essere autorizzata ad esprimere al personale sanitario, in vece e per conto dell’amministrato, il dissenso alla sottoposizione di quest’ultimo a terapie emotrasfusionali. A prescindere dall’assorbente motivo d’inammissibilità del ricorso costituito dalla cessazione della materia del contendere, i motivi nr. 2, 3, e 4, sarebbero parimenti inammissibili per carenza di interesse ad impugnare, atteso che, ove questa Corte avesse riformato la pronuncia d’inammissibilità della Corte d’appello, la ricorrente avrebbe potuto far valere le proprie ragioni di merito nel giudizio di rinvio cfr. Cass. 9555/1993 , sede naturale e necessaria ove riproporle, dal momento che il ricorso per cassazione non può prescindere dalla riferibilità delle censure denunciate al provvedimento che ne è oggetto. Passando all’esame del primo motivo di ricorso, occorre sciogliere il nodo riguardante la natura gestoria o decisoria del decreto del giudice tutelare, da cui deriva la soluzione circa l’organo giudiziario deputato a conoscere della relativa impugnazione, anche in base ai criteri indicati da questa Corte con la pronuncia nr. 18634 del 2012. La giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi sulla portata dell’art. 720bis, c.p.c., ne ha riconosciuto il carattere di rimedio impugnatorio speciale e quindi dotato di efficacia derogatoria rispetto alla disciplina generale ex art. 739, c.p.comma Cass. 4506/2014 . La facoltà di reclamo alla Corte d’appello deve ritenersi riferibile ai provvedimenti decisori del giudice tutelare Cass. 18634/2012 . Deve, di conseguenza, essere accertato se il provvedimento di rigetto dell’istanza della B. di essere autorizzata, in qualità di amministratrice di sostegno del marito, ad esprimere il dissenso verso determinati trattamenti terapeutici possa essere ritenuto decisorio. Preliminarmente deve osservarsi che la designazione della ricorrente come amministratrice di sostegno del marito è stata compiuta sulla base del paradigma normativo fissato nell’art. 408, 1 comma, c.c., che prevede che l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità . Tale designazione anticipata non ha la mera funzione della scelta del soggetto cui, ove si presenti la necessità, deve rivolgersi il provvedimento di nomina del giudice tutelare salvo il limitato potere di deroga dalla designazione previsto dalla norma stessa in presenza di gravi motivi ma ha anche la finalità di poter indicare delle direttive, quando si è nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere all’amministratore di sostegno designato, qualora si prospetti tale nuova condizione del designante. La scelta del soggetto è eziologicamente collegata alle direttive sopra richiamate così come è confermato, nella specie, dal documento ritualmente allegato che s’intitola espressamente Direttive anticipate relative alle cure mediche con contestuale designazione dell’amministratore di sostegno e che contiene nel dettaglio l’indicazione delle terapie e dei trattamenti da accettare e rifiutare in virtù della fede religiosa specificamente richiamata nella dichiarazione punti 2,3, 4,5 . Nel punto 10 viene prescelta la ricorrente, con espresso riferimento alla facoltà di designazione ex art. 408 cod. civ., all’esclusivo fine di far rispettate le direttive sopra indicate anche in ordine a procedure mediche che prevedano l’uso del proprio sangue punto 4 lettera c . Invero, la domanda della B. di autorizzazione ad esprimere la negazione del consenso alle emotrasfusioni era la ragione fondante dell’istanza stessa di apertura dell’amministrazione di sostegno, e risultava quindi ad essa strettamente e inscindibilmente legata. È stato proprio per far rispettare la volontà e i desideri del M. che la B. , poco dopo il grave infortunio subìto dal marito, ha presentato in via d’urgenza ricorso per essere nominata sua amministratrice di sostegno. Del resto, l’art. 408 c.comma riconosce espressamente la possibilità della designazione preventiva di un amministratore di sostegno come esplicazione del principio di autodeterminazione personale, che mira a valorizzare il rapporto di fiducia interno al designante e alla persona scelta, la quale sarà tenuta ad esprimere le intenzioni del primo, se risultano esternate ad integrazione dell’atto, circa gli interventi di natura patrimoniale e personale che si rendessero necessari all’avverarsi di quella futura condizione di incapacità Cass. 23707/2012 . Ne consegue che l’apertura, la designazione e l’istanza volta a far valere le direttive sopraindicate, riguardanti l’esercizio di diritti fondamentali quali quello all’autodeterminazione nelle scelte sanitarie art. 32 Cost. e al rispetto delle proprie convinzioni religiose art. 19 Cost. sono inscindibilmente legati ed hanno sicuramente natura decisoria. Inoltre, il decreto che ha rigettato l’istanza della B. è esattamente quello con cui il giudice tutelare ha disposto l’apertura dell’amministrazione di sostegno in favore del marito, benché il reclamo non fosse diretto all’apertura della procedura in sé, ma unicamente alla mancata autorizzazione a far rispettare le volontà del M. . La richiamata natura decisoria di questa specifica statuizione avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a non declinare la propria competenza e a pronunciarsi nel merito della richiesta autorizzazione a non consentire le terapie escluse dalle direttive anticipate ed in particolare nella specie quelle trasfusionali. Tale carattere deriva proprio dalla diretta incidenza su diritti fondamentali della persona, quale, innanzitutto, il diritto alla salute, che secondo l’art. 32, 2 comma, Cost., prevede in senso preminentemente volontario il trattamento sanitario, in coerenza con i principi fondamentali e indeclinabili d’identità e libertà della persona umana di cui agli artt. 2 e 13, Cost. Cass. 23707/2012 . Come ben illustrato dalla ricorrente, ciò assume connotati ancora più forti, degni di tutela e garanzia, laddove la scelta o il rifiuto del trattamento sanitario rientri e sia connesso all’espressione di una fede religiosa, il cui libero esercizio è sancito dall’art. 19 Cost. è noto, invero, che il dissenso dei Testimoni di Geova alle emotrasfusioni, anche in caso di pericolo di vita, ha alla sua base una motivazione religiosa e ideologica. A ciò si aggiunga che il principio dell’autodeterminazione individuale è riconosciuto e tutelato diffusamente anche a livello internazionale si richiamano al riguardo gli artt. 8 e 9 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che tutelano rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e gli artt. 5 e 9 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina recepita in Italia con L. 145/2001 , in forza dei quali l’intervento in campo sanitario può essere effettuato solo sul presupposto del consenso libero e informato del paziente e tenendo in considerazione i desideri dallo stesso precedentemente espressi qualora si trovi in stato di incapacità. La situazione giuridica in questione assume quindi il rango di diritto personalissimo, e ogni provvedimento giurisdizionale che vi incida possiede in re ipsa una dimensione decisoria la pronuncia della Corte d’appello di Genova, pertanto, ha dato un’errata qualificazione giuridica alla statuizione di rigetto del decreto del giudice tutelare, da cui è derivata la violazione dell’art. 720 bis, 2 comma, c.p.c Il carattere decisorio e definitivo del provvedimento giurisdizionale emesso nell’ambito del procedimento di amministrazione di sostegno, infatti, fonda indiscutibilmente la competenza della Corte d’appello a conoscere del relativo gravame. Deve necessariamente ritenersi rientrante in tale ambito la statuizione con cui il giudice tutelare abbia rigettato o accolto l’istanza - formulata in sede di apertura della procedura di amministrazione di sostegno o anche successivamente diretta ad ottenere l’autorizzazione ad esprimere al personale sanitario, in vece e per conto dell’amministrato, il consenso o il diniego alla sottoposizione a qualsivoglia terapia medica, in quanto espressione di un diritto fondamentale personalissimo potenzialmente suscettibile di essere compresso, nel procedimento di cui si tratta, dal provvedimento del giudice. In conclusione, dichiarato il ricorso inammissibile per sopraggiunta carenza di interesse, il Collegio, ai sensi dell’art. 363, 3 comma, c.p.comma enuncia il seguente principio di diritto nell’interesse della legge Nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 720 bis secondo comma c.p.c., avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione - proposta dall’amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo - ad esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi . P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile enuncia ai sensi dell’art. 363, 3 comma, c.p.comma il principio di diritto come in motivazione.