Come dedurre la volontà di non proporre appello avverso la sentenza di primo grado?

E, dunque, quando una parte può dirsi acquiescente? La Corte di Cassazione esamina il caso specifico dell’acquiescenza di un ente pubblico alla sentenza di prime cure che abbia riconosciuto la cessazione di un contratto di comodato, con condanna dell’ente al rilascio dell’immobile.

Il tema è stato affrontato dai Giudici di legittimità con la sentenza n. 12615/17 depositata il 19 maggio. Il caso. La pronuncia in oggetto origina dalla controversia intentata dal proprietario di un immobile urbano per ottenere la cessazione del comodato dello stesso a favore del Comune, stipulato dal precedente proprietario, con domanda di riconoscimento dei frutti civili. A fronte del diniego dalla Corte d’appello, i successori dell’attore originario ricorrono in Cassazione. Con ricorso incidentale, il Comune contesta la decisione di seconde cure per aver dichiarato l’inammissibilità del suo appello incidentale per intervenuta acquiescenza. Acquiescenza. Il Collegio riconosce valenza determinante alla censura incidentale e ricorda che l’acquiescenza espressa costituisce un atto dispositivo del diritto di impugnazione ed indirettamente del diritto fatto valere in giudizio. La relativa manifestazione di volontà deve dunque essere inequivoca e provenire da chi può legittimamente disporre di quel diritto. Per quanto riguarda poi l’atto di manifestazione dell’acquiescenza, devono trovare applicazione le regole ermeneutiche dettate dall’ordinamento per gli atti negoziali unilaterali. Nel caso di specie, risulta che l’atto con cui il Comune aveva comunicato alle controparti le sue determinazioni sul precetto di rilascio dell’immobile affermava di non ritenere sussistenti motivi per proporre appello ma di non avere nemmeno documenti in ordine al fabbricato, ritenendo dunque necessario procedere con il rilascio con la mera volontà di agire in via di cautela ed investendo un diverso ufficio per ogni ulteriore determinazione sulla vicenda. In virtù dei principi summenzionati, le espressioni utilizzate dall’ente sono state erroneamente interpretate dalla Corte territoriale non potendo trarsi una univoca volontà abdicativa del diritto oggetto di contesa. I Giudici dell’appello non hanno dunque fatto corretta applicazione del principio secondo cui non può integrare univoca manifestazione di non proporre appello avverso una sentenza di primo grado che riconosce la cessazione di un contratto di comodato e pronuncia la condanna dell’ente pubblico comodatario al rilascio, la comunicazione di un ufficio dell’ente pubblico, a prescindere dalla sua competenza a disporre del relativo diritto, di non frapporre ostacoli ad un precetto di rilascio per limitare oneri a carico dell’ente pubblico in difetto di documentazione sull’immobile e, nell’incombenza della minacciata esecuzione, rimettendo ad altro ufficio dello stesso ente ogni altra determinazione, anche in pungo di provvista finanziaria, per l’eventuale formalizzazione dell’uso in corso . In conclusione, la Corte accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito quello principale. Alla cassazione della sentenza impugnata, segue il rinvio alla Corte d’appello che dovrà provvedere sulla domanda in applicazione del principio di diritto affermato dal Collegio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 aprile – 19 maggio 2017, n. 12615 Presidente Chiarini – Relatore De Stefano Fatti di causa 1. C.L. , D. ed I. , nonché O.A. , allegata la qualità di successori di C.S. , ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1039/14 della corte di appello di Roma, con cui sono stati disattesi i contrapposti appelli avverso la sentenza del tribunale di Roma - sez. dist. di Ostia, di accoglimento della domanda del loro dante causa, alla quale aveva aderito O.A. nella dedotta qualità di comproprietaria, di cessazione di un comodato precario di immobile urbano in favore del Comune di Roma, stipulato dal precedente proprietario, ma con riconoscimento dei frutti civili soltanto a far tempo dalla domanda giudiziale e non dalla - di molto precedente - epoca di cessazione del contratto. 2. L’intimata Roma Capitale resiste con controricorso, col quale dispiega ricorso incidentale, articolato su di un motivo, contestando la declaratoria di inammissibilità del suo appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, fondata sulla ritenuta acquiescenza ricorso incidentale a cui replicano con apposito controricorso i ricorrenti principali e, per la pubblica udienza del 27/04/2017, le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. I ricorrenti principali C.L., D. ed I., nonché O.A., si dolgono con un primo motivo, di violazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 1809 c.c. e all’art. 1372 c.c. , contestando il riconoscimento al subentrante nel comodato dei frutti civili solo dal momento della richiesta di restituzione del bene con un secondo motivo, di violazione dell’art. 101 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza , lamentando la novità dell’argomentazione in base alla quale è stata risolta la questione della spettanza o meno dei frutti, non preceduta dalla sua sottoposizione alle parti. 2. Dal canto suo, Roma Capitale col ricorso incidentale contesta la decisione della corte territoriale sull’inammissibilità del suo appello incidentale per ritenuta acquiescenza, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c Violazione e falsa applicazione delle norme in materia rappresentanza e di competenza degli organi dell’ente Comune. Violazione artt. 42 e 107 d.lgs. 267/2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ. e dei criteri legali di ermeneutica negoziale. Art. 360, n. 3 c.p.c. . 3. Assume preliminare rilevanza il ricorso incidentale, con cui Roma Capitale contesta la ritenuta acquiescenza quale ragione della dichiarata inammissibilità del suo appello incidentale avverso l’accoglimento della domanda del C. ed esso è fondato. 4. Al riguardo deve invero ricordarsi che l’acquiescenza espressa costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, sicché la relativa manifestazione di volontà deve essere inequivoca e provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre tra molte Cass. 14/02/2010, n. 1610 Cass. 28/01/2014, n. 1764 ed all’atto con cui quella sarebbe espressa bene si applicano le regole ermeneutiche sugli atti negoziali unilaterali - nonostante la sua rilevanza a fini prevalentemente processuali, per la sua sostanziale valenza abdicativa del diritto di proporre impugnazione - ed esso è allora censurabile in sede di legittimità ai sensi degli artt. 1362 ss. cod. civ 5. Ora, la ricorrente incidentale Roma Capitale, trascrivendo infine la comunicazione del suo ufficio sia pure riferendosi ad essa con la data del 14/10/2008, mentre la corte di appello la identifica datata 14/08/2008 , porta a conoscenza di questa Corte del fatto che con quella il Dirigente del Dipartimento III Politiche del Patrimonio e Promozione Progetti Speciali - V U.O. - I Settore - Affitti Passivi comunica ad altro Ufficio comunale, cioè al Municipio IX di Roma e per conoscenza al C. , le sue determinazioni in esito al precetto di rilascio, segnalando di non ritenere sussistenti motivi e ragioni per proporre opposizione e/o appello, ma al contempo di non possedere documentazione in ordine all’immobile e di ritenere allora necessario il rilascio dell’immobile al solo fine di limitare l’onere a carico dell’amministrazione, significando poi che, diversamente, ogni onere finanziario per una formalizzazione dell’uso, incombendo l’esecuzione in tempi stretti, sarebbe stato a carico dell’ufficio destinatario v. controricorso, pag. 53 . 6. Tale tenore letterale, potendo prescindersi dalla questione della titolarità o meno dell’autore della nota del potere di disporre del diritto in ordine alla quale pure potrebbe peraltro rilevarsi che, pur trattandosi di ente pubblico, nel caso in cui sia contestata l’esistenza dei poteri rappresentativi in capo all’autore della dichiarazione cui si attribuisca il valore di abdicazione del diritto di proporre impugnazione, incombe su chi intende avvalersi di tale dichiarazione l’onere di dimostrare che l’atto di acquiescenza provenga da soggetto legittimato a compierlo - Cass. 28/06/2012, n. 10785 - e quindi, nella specie, di provare, con gli atti organizzativi interni del Comune di Roma, ora Roma Capitale, che il firmatario della nota prodotta avesse, in base alla struttura dell’Ente, il potere di disporre del diritto controverso, non bastando la generica riconducibilità dell’affare all’area gestionale dell’Ufficio o Dipartimento, in difetto di conoscenza delle relative specifiche competenze statutarie non può dirsi affatto univoco nel senso ritenuto dalla corte territoriale ben al contrario, la volontà è di mera cautela allo stato della carente documentazione agli atti e, soprattutto, dei limitati strumenti finanziari a disposizione per una diversa soluzione, tanto da investire il diverso ufficio destinatario di ogni ulteriore determinazione a questo specifico riguardo. 7. La conclusione della corte territoriale, sulla qualificazione delle espressioni adoperate dalla comunicazione del Comune di Roma indicata ivi con la data del 14/08/2008, ma in altri atti con quella del 14/10/2008 quali manifestazione di una univoca volontà abdicativa del diritto è quindi manifestamente incongrua e contraria alle regole di ermeneutica contrattuale, perché in palese contrasto con il tenore letterale del documento e la conclusione che ne trae la qui gravata sentenza, integrare cioè la detta nota interna, inviata per conoscenza al precettante vittorioso in primo grado C. , una vera e propria acquiescenza alla sentenza appellabile, è erronea e la conseguente statuizione di inammissibilità dell’appello non corretta, per scorretta applicazione della norma processuale dell’art. 329 cod. proc. civ 8. In sostanza, la corte territoriale non ha fatto applicazione del seguente principio di diritto non può integrare univoca manifestazione di non proporre appello avverso una sentenza di primo grado che riconosce la cessazione di un contratto di comodato e pronuncia la condanna dell’ente pubblico comodatario al rilascio la comunicazione di un ufficio dell’ente pubblico, a prescindere dalla sua competenza a disporre del relativo diritto, di non frapporre ostacoli ad un precetto di rilascio per limitare oneri a carico dell’ente pubblico in difetto di documentazione sull’immobile e, nell’incombenza della minacciata esecuzione, rimettendo ad altro ufficio dello stesso ente ogni altra determinazione, anche in punto di provvista finanziaria, per l’eventuale formalizzazione dell’uso in corso . 9. La fondatezza del ricorso incidentale comporta la cassazione della gravata sentenza in punto di declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale dell’originaria convenuta nel giudizio di cessazione del rapporto di comodato ne consegue, per l’ampiezza delle difese dispiegate da quella con quel gravame, tra cui l’eccezione di giudicato esterno fondato su Cass. 6762 e non 6782, come erroneamente indicato in primo momento nel controricorso del 2005, che è rimessa in discussione l’intera domanda proposta dall’originario ricorrente e, così, anche ogni questione sulla decorrenza degli eventuali accessori, con tecnico assorbimento per essere una tale questione, con ogni evidenza, dipendente dalla risoluzione di quella oggetto principale dell’appello incidentale da esaminare nel merito, non potendo spettare accessori ove fosse riconosciuta infondata la pretesa del comodante per il giudicato esterno o per le altre complesse ragioni, tra cui la nullità del contratto di vendita del bene oggetto di causa dei motivi di ricorso principale, ad essa relativi. 10. Il ricorso incidentale va accolto e quello principale va quindi dichiarato assorbito, con cassazione della sentenza di secondo grado e rinvio alla medesima corte territoriale, ma in diversa composizione ed anche al fine di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, affinché esamini l’appello incidentale già proposto dal Comune di Roma, oggi Roma Capitale, sotto ogni altro profilo in rito e, se del caso, nel merito, con ogni conseguenza anche sull’appello principale originariamente proposto dal C. e sulle domande tutte in primo grado da lui dispiegate. 11. Il tenore delle pronunzie sui ricorsi rispettivamente proposti esclude che possa darsi atto - non essendo stato respinto alcuno dei ricorsi - della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. Accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito il ricorso principale. Cassa la gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.