Edificio costruito dal comproprietario sul fondo comune: a chi spetta la proprietà? La questione alle SSUU

La sorte della costruzione realizzata su un fondo in comunione ordinaria tra il costruttore ed il terzo – ed in quest’ambito, i modi attraverso i quali può riconoscersi in favore del comproprietario costruttore la proprietà esclusiva del manufatto – è questione che intercetta orientamenti giurisprudenziali divergenti. Necessita pertanto, in materia, un intervento risolutivo delle Sezioni Unite.

Per questo motivo la Corte di Cassazione, trovatasi a decidere in ordine ad una controversia tra comproprietari, con ordinanza interlocutoria n. 9316/17 depositata l’11 aprile, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il caso. Nella vicenda esaminata, un soggetto comproprietario pro indiviso con una società di un terreno sito all’esterno di un fabbricato condominiale, conveniva in giudizio la società medesima, proponendo domanda di scioglimento della comunione di tutti i beni realizzati da essa convenuta nel sottosuolo di detto terreno, con conseguente attribuzione delle quote di spettanza di ciascuno, previa individuazione di eventuali conguagli. Si costituiva la società convenuta, concludendo per la dichiarazione di non luogo a provvedere sulla divisione ed, in ogni caso, per l’attribuzione in proprietà esclusiva delle porzioni interrate e seminterrate da essa costruite ex novo , poiché non costituenti parti comuni. I giudici di merito – in entrambi i gradi di giudizio –hanno dato ragione alla società convenuta, riconoscendo in capo a quest’ultima la proprietà esclusiva della realizzata porzione seminterrata, essendo la stessa concepita e venuta ad esistenza, non come cosa comune, ma in funzione esclusiva della proprietà della società medesima. Avverso la pronuncia d’appello, il comproprietario ricorre in Cassazione, adducendo molteplici motivi di censura, tra cui la mancata applicazione, al caso di specie, del principio dell’accessione, per il solo fatto che le opere erano state eseguite dal comproprietario. Sicché esso ricorrente si sarebbe dovuto appropriare sic et simpliciter dell’intero bene, compreso quanto in esso costruito. Divergenti orientamenti giurisprudenziali. Sul punto la Cassazione non prende posizione, ma dà atto dell’esistenza di due divergenti orientamenti giurisprudenziali. Accessione nuova costruzione di proprietà comune. In base al primo, più risalente, la costruzione eseguita dal comproprietario su suolo comune diviene, per accessione, di proprietà comune agli altri comproprietari, a meno che questi ultimi non abbiano provveduto, con atto scritto, alla determinazione reciproca del loro diritto sulle singole porzioni del costruendo edificio. Comunione opere abusive di proprietà esclusiva. In base al secondo orientamento, più recente, la disciplina dell’accessione ex art. 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni eseguite su terreno altrui e non anche a quelle realizzate dal comproprietario sul suolo comune. In questa seconda ipotesi, difatti, trova applicazione la disciplina in materia di comunione. Con la conseguenza che la comproprietà della nuova opera sorge a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia stata realizzata in conformità di detta disciplina, ossia nel rispetto delle norme sui limiti all’uso, da parte del comproprietario, delle cose comuni. Cosicché le opere abusivamente create non possono considerarsi beni condominiali ma rientrano nella proprietà esclusiva del comproprietario costruttore. Intervengano le Sezioni Unite. Entrambi gli orientamenti, conclude il Supremo Collegio, non risultano esenti da critiche. Mentre occorre piuttosto tracciare – e detto compito viene appunto rimesso alle Sezioni Unite – una linea interpretativa in grado di coniugare la disciplina dell’accessione e della comunione, facendo convivere l’espansione oggettiva della comproprietà - in caso di edificazione ad opera di uno dei comunisti – con la facoltà del comproprietario non costruttore di pretendere la demolizione della costruzione quando sia stata realizzata dall’altro comunista in violazione dei limiti posti dall’art. 1102 c.c. al godimento della cosa comune.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 21 marzo – 11 aprile 2017, n. 9316 Presidente Bianchini – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - Con atto di citazione notificato il 22 novembre 2005, P.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Belluno, sezione distaccata di Pieve di Cadore, la s.r.l. Cà D’Oro 3, e - affermando di essere comproprietario pro indiviso con la società convenuta di un terreno sito in omissis , esterno ad un fabbricato condominiale - proponeva la domanda di scioglimento della comunione di tutti i beni realizzati nel sottosuolo di detto terreno dalla convenuta, con conseguente attribuzione delle quote di spettanza di ciascuno, previa individuazione di eventuali conguagli. Si costituiva la società Cà D’Oro 3, concludendo per la dichiarazione di non luogo a provvedere sulla divisione, stante l’intervenuto accordo tra le parti e, in ogni caso, per l’attribuzione in proprietà esclusiva ad essa società delle porzioni interrate e seminterrate costruite ex novo nella parte nord-ovest perché non costituenti parti comuni, ed instando altresì per il rigetto delle domande dell’attore e, in subordine, per la condanna dell’attore a corrispondere l’indebito arricchimento, nell’ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande del P. . 2. - L’adito Tribunale, con sentenza emessa in data 8 aprile 2011, accertava e dichiarava a che la società Cà D’Oro 3 è esclusiva proprietaria dei locali ai piani primo e secondo interrato dell’immobile in Comune di Cortina d’Ampezzo facenti parte - in catasto fabbricati fg. XX - del mappale n. omissis , come meglio graficamente descritti nella c.t.u. dell’ing. D.B. 9 luglio 2008, allegato n. 5 b che il P. e la società Cà D’Oro, salva la comunione sull’area di manovra, sono esclusivi proprietari dei locali al piano seminterrato, sempre facenti parte - in Comune di omissis , catasto fabbricati fg. - del mappale n. omissis , meglio graficamente descritti nella citata c.t.u. dell’ing. D.B. . Il Tribunale delegava inoltre il notaio Francesca Ruggiero di omissis o altro scelto dalle parti per la formalizzazione delle intestazioni e per la intavolazione, secondo i criteri in motivazione indicati e respingeva ogni domanda formulata dal P. . 3. - La Corte d’appello di Venezia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria in data 9 agosto 2012, ha rigettato l’appello del P. , confermando l’impugnata pronuncia. 2.1. - La Corte territoriale ha innanzitutto escluso la sussistenza del lamentato vizio di extrapetizione, rilevando che la convenuta aveva posto quale primo argomento a fondamento delle proprie domande l’esclusione che le porzioni di cui è causa costituissero cosa comune e, come tali, potessero spettare alle due parti in causa, e giudicando privo di fondamento anche l’assunto secondo cui parte convenuta/odierna appellata non avrebbe chiesto l’accertamento che le proprietà a lei assegnate fossero state acquistate a titolo originario , e ciò in quanto fin dalla comparsa di costituzione di primo grado le conclusioni della convenuta erano dirette inequivocabilmente a tale declaratoria . La Corte di Venezia ha poi affermato che correttamente il Tribunale ha evidenziato la mancanza dei presupposti della cosa comune, in quanto la porzione sui due piani in contestazione a risulta essenzialmente incorporata alla proprietà esclusiva della società appellata, che accede al piano seminterrato ed interrato solo per mezzo di una scala interna dall’unità abitativa di proprietà della Cà D’Oro situata al piano terra dell’edificio condominiale realizzata su progetto e con lavori eseguiti dallo stesso appellante, pagati esclusivamente dalla appellata proprio in quanto porzione esclusiva e non bene condominiale b non è incorporata né è funzionalmente legata alla proprietà dell’appellante c è del tutto priva delle caratteristiche quali un muro maestro o un tetto tali da indurre a ritenerla essenziale all’esistenza delle proprietà o dei beni comuni d non è nemmeno essenziale per l’esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive, non trattandosi, ad esempio, di un vano scala a cui si acceda a più proprietà esclusive. Nel caso in esame - ha proseguito la Corte territoriale - il fatto che ha originato in capo all’appellata la proprietà esclusiva della porzione interrata sita a nord-ovest del fabbricato è proprio il venire ad esistenza del bene con le caratteristiche esclusive che ne escludono la natura di cosa comune. La porzione interrata e seminterrata a nord-ovest non è cosa comune, essendo stata concepita e venuta ad esistenza in funzione esclusiva della proprietà della società Cà D’Oro. La Corte territoriale ha dato altresì rilievo all’accordo tra le parti nel corso delle trattative , nel corso delle quali sono stati previsti a l’attribuzione all’appellante di quote millesimali maggiori di quanto di pertinenza delle sue porzioni esclusive sull’area esterna, senza che il P. versasse alcun corrispettivo a tale titolo b l’attribuzione gratuita all’appellante in proprietà esclusiva di un vano locale al piano superiore e di porzioni per la creazione del vano ascensore esclusivo in sua proprietà come emerge dall’atto di cessione di quote di condominialità c l’affidamento dei lavori di costruzione sia delle parti comuni che della proprietà esclusiva interrata all’impresa P. , di cui risultano soci e legali rappresentanti lo stesso P.F. e P.G. . Rilevato che nella specie vi è stato un valido accordo assunto ed osservato dalle parti, provato documentalmente, la Corte di Venezia, per escludere la comproprietà di quanto realizzato nel sottosuolo, ha richiamato il principio per cui alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su un terreno comune non si applica la disciplina sull’accessione contenuta nell’art. 934 cod. civ., che si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui, ma quella in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprietà della nuova costruzione opera a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia stata realizzata in conformità di detta disciplina, cioè con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario all’uso delle cose comuni, mentre le opere abusivamente create non possono considerarsi beni condominiali per accessione. La Corte d’appello ha poi ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la questione in ordine al sistema tavolare di pubblicità immobiliare vigente nel Comune di omissis , e comunque infondata, poiché l’acquisto da parte dell’appellata è avvenuta a titolo originario, sicché la sentenza che lo ha accertato è senz’altro titolo di iscrizione nel libro fondiario. 5. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 19 novembre 2012, il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 gennaio 2013, sulla base di dodici motivi. L’intimata società Cà D’Oro ha resistito con controricorso. 6. - Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., giacché le conclusioni della comparsa di risposta di primo grado di Cà D’Oro 3 s.r.l. non contenevano affatto l’esplicita domanda di accertamento dell’acquisto a titolo originario delle proprietà da essa richieste. Ad avviso del ricorrente, furono l’assunzione della spesa da parte della resistente e l’asserito consenso del P. a che Cà D’Oro 3 la avesse sostenuta per intero i fatti costitutivi posti a fondamento della riconvenzionale avversaria ma questi fatti non erano costitutivi di un acquisto a titolo originario, non rientrando tra quelli contemplati nell’art. 922 cod. civ., ma a tutto concedere solo di quelli a titolo derivativo. Il secondo mezzo denuncia violazione degli artt. 934, 840, 1102 e 1121 cod. civ Ad avviso del ricorrente, avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere che l’avere pagato il costo delle opere darebbe diritto al comproprietario di appropriarsi sic et simpliciter dell’intero bene o comunque di quanto costruito. Non sarebbe possibile escludere l’applicazione alla specie del principio dell’accessione per il solo fatto che le opere sono state eseguite da un comproprietario, tanto più che non fu conclusa alcuna pattuizione scritta che legittimasse il radicale mutamento della destinazione del bene. Secondo il ricorrente, la costruzione delle unità immobiliari interrate da parte di Cà D’Oro va qualificata come appropriazione di parte della cosa comune per legittimare la quale è necessario il consenso speciale di tutti i partecipanti che, trattandosi di beni immobili, deve essere espresso in forma scritta ad substantiam. Dovrebbe essere riconosciuto all’altro comproprietario non costruttore il diritto potestativo di far proprie le opere, ovviamente pro quota, pagandone se richiesto in tal misura il costo. Con il terzo motivo violazione degli artt. 1117 e 840 cod. civ. si sottolinea che non si è in presenza di un condominio, ma solo di un sedime in comproprietà indivisa fra le parti di questa causa, nel cui sottosuolo furono costruite le unità immobiliari de quibus. Queste non fanno parte dell’adiacente edificio condominiale, eretto in buona parte fuori terra, non essendo state edificate su area su cui posano le fondamenta dell’immobile . Che l’oggetto della rivendica di Cà d’Oro 3 non sia parte del condominio eretto in prossimità del terreno de quo sarebbe, ad avviso del ricorrente, un punto coperto dal giudicato interno, data la corrispondente affermazione del Tribunale mai impugnata. Gli elementi addotti dalla Corte veneta non sarebbero idonei a sostanziare una limitazione o una modificazione dell’estensione del diritto di proprietà al sottosuolo ex art. 840 cod. civ Il quarto motivo difetto di motivazione violazione dell’art. 1350 cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. rileva che, perché Cà D’Oro 3 divenisse proprietaria esclusiva delle opere costruite sotto il suolo era necessario che fosse costituito in suo favore, con un contratto scritto ad substantiam, un diritto di superficie, il quale, ex art. 955 cod. civ., può avere ad oggetto anche opere sotterranee. Occorreva, ad avviso del ricorrente, che il giudice del merito individuasse l’atto scritto con il quale le parti avevano legittimato l’appropriazione da parte di Cà D’Oro 3 della cosa comune o costituito il diritto di superficie. Ma - si osserva - nella motivazione della sentenza impugnata non sarebbe in alcun modo affermato che negli atti menzionati sia stata manifestata una volontà negoziale di costituire in capo alla resistente la proprietà delle opere del sottosuolo. Con il quinto motivo ulteriore violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. il ricorrente sostiene che la domanda della società Cà D’Oro 3 non poteva essere qualificata come autodeterminata, innanzitutto perché non fu invocato un acquisto a titolo originario, ma un acquisto a titolo derivativo l’intesa con il P. , il pagamento delle opere con il consenso di questo, l’accordo divisionale . Poiché nella specie si invocò un titolo derivativo la divisione e gli altri asseriti accordi intervenuti tra le parti , non si sarebbe più nella rivendica vera e propria, ma in un’azione di natura contrattuale e personale, indissolubilmente legata al titolo derivativo invocato, come tale eterodeterminata. Il ricorrente addebita quindi alla Corte veneta di avere erroneamente qualificato la domanda riconvenzionale avversaria. Con il sesto motivo violazione degli artt. 2697 e 840 cod. civ., nonché motivazione insufficiente si sostiene che l’onere della prova gravava sulla Cà D’Oro 3, attrice in senso sostanziale della riconvenzionale con cui si rivendicava in via esclusiva quanto costruito nel sottosuolo. Non potrebbe comportare un’inversione dell’onere della prova il fatto che P. abbia fondato la propria pretesa sull’assunto che una cosa che sorge nel sottosuolo della superficie comune è cosa comune. Secondo il ricorrente, il mero fatto della costruzione nel sottosuolo da parte di un comproprietario del sedime non costituirebbe ex se in suo favore il diritto di proprietà esclusiva della nuova opera. La Corte d’appello non indicherebbe quali siano gli elementi documentali probanti, i comportamenti inequivocamente tenuti e i riconoscimenti anche documentali che invertirebbero l’onere probatorio e porrebbero sul P. l’onere di dimostrare che il bene sito nel sottosuolo non sia comune. Il settimo mezzo violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 1421 cod. civ. lamenta che la Corte di Venezia abbia ritenuto inammissibile il secondo motivo di appello, sul rilievo che si sarebbe trattato di domanda nuova mai prospettata nel precedente grado di giudizio. In realtà, la domanda, che la sentenza impugnata ha ritenuto proposta per la prima volta in appello, faceva parte delle conclusioni di citazione di primo grado del P. , e rientrava, comunque, nella materia del contendere, anche a seguito della proposizione della riconvenzionale di rivendica dei medesimi beni proposta da Cà D’Oro 3. L’ottavo motivo lamenta violazione degli artt. 1350 e 955 cod. civ. e 4 del regio decreto n. 499 del 1929, sottolineando che manca l’indicazione dell’atto in cui, a titolo gratuito od oneroso, il P. avrebbe costituito in capo a Cà D’Oro 3 s.r.l. la proprietà delle opere costruite o costruende sottoterra. Il nono motivo violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e 1421 cod. civ. lamenta che la Corte di Venezia abbia ritenuto inammissibile il terzo motivo di appello nella parte in cui il P. affermò che il sistema tavolare vigente a omissis è applicabile anche alle divisioni ex art. 4 del regio decreto n. 499 del 1929, sul rilievo che si sarebbe trattato di domanda nuova mai prospettata nel precedente grado di giudizio. In realtà, ad avviso del ricorrente, era una deduzione prospettabile in appello, visto che il regime tavolare è un regime di pubblicità costitutiva, le cui norme non sono derogabili dalle parti e la cui violazione comporta la nullità degli atti fatti in spregio ad esse. Non si tratterebbe di domanda nuova, ma semmai solo di un’eccezione che non immutava in alcun modo i fatti costitutivi delle domande proposte. Con il decimo motivo violazione degli artt. 345 cod. proc. civ. e 1421 cod. civ. si censura la dichiarazione di inammissibilità del quarto motivo di appello con cui l’appellante si è doluto della erroneità della sentenza del Tribunale per violazione dell’art. 5 del regio decreto n. 499 del 1929, in quanto il P. , in caso di acquisto a titolo originario, assumerebbe la qualifica di terzo rispetto al fatto giuridico ed allora sarebbero applicabili le regole del regime tavolare proprie di tale tipo di acquisto . Ad avviso del ricorrente, quanto dedotto sul punto dal P. non comportò affatto la proposizione di una domanda nuova, ma solo la prospettazione di una difesa di fronte all’asserito acquisto a titolo originario fatto da Cà D’Oro 3 s.r.l L’undicesimo motivo violazione dell’art. 5 del regio decreto n. 499 del 1929 sostiene che P. è il terzo cui fa riferimento l’art. 5 cit. che il conflitto verte tra il P. , che iscrisse per primo il suo diritto sul sedime e sul sottosuolo, e Cà D’Oro 3 s.r.l., che pretende di intavolare un acquisto che, al pari dell’usucapione, si pretende essere a titolo originario che la malafede è quella di Cà D’Oro 3, che pretende di avere acquistato a titolo originario in danno del diritto legittimamente intavolato dal P. . Il dodicesimo motivo denuncia, in relazione al quinto motivo di appello, ulteriore violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., rilevando che è la stessa sentenza impugnata a dare atto che la richiesta di delega al notaio delle formalità conseguenti alla emissione della sentenza non faceva parte delle conclusioni sottoposte da Cà D’Oro 3 s.r.l. al Tribunale di Belluno e fu formulata in un atto a pag. 9 della memoria di replica ex art. 190 cod. proc. civ. al quale il P. non era in grado di rispondere. 7. - Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza. Ragioni della decisione 1. - In ordine al secondo motivo di ricorso, va premesso che la Corte d’appello - nel confermare la statuizione con cui il Tribunale ha riconosciuto in capo alla committente Cà D’Oro 3, che ha pagato il corrispettivo della realizzazione di quanto realizzato nel sottosuolo del terreno in comunione ordinaria, l’acquisto a titolo originario della proprietà esclusiva dei locali ai piani primo e secondo interrato - ha fatto applicazione del principio secondo cui alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su terreno comune non si applica la disciplina sull’accessione contenuta nell’art. 934 cod. civ., che si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui, ma quella in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprietà della nuova costruzione opera a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia realizzata in conformità di detta disciplina, cioè con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario all’uso delle cose comuni, le opere abusivamente create non potendo considerarsi beni condominiali per accessione. 2. - Il motivo di ricorso consente di evidenziare un contrasto diacronico nella giurisprudenza di questa Corte. 2.1. - Un primo orientamento sottolinea che per il principio dell’accessione art. 934 cod. civ. la costruzione su suolo comune è anch’essa comune, mano a mano che si innalza, salvo contrario accordo scritto, ad substantiam art. 1350 cod. civ. pertanto, per l’attribuzione, in proprietà esclusiva, ai contitolari dell’area comune, dei singoli piani che compongono la costruzione, sono inidonei sia il corrispondente possesso esclusivo del piano, sia il relativo accordo verbale, sia il proporzionale diverso contributo alle spese Cass., Sez. II, 11 novembre 1997, n. 11120 . In quest’ordine di idee, si è affermato che - la costruzione eseguita su area in comproprietà da parte di uno dei condomini ricade in comunione pro indiviso a favore di tutti i comproprietari secondo quote ideali proporzionate alle quote di proprietà dell’area stessa, salvo che non si sia costituito nei modi e nelle forme di legge un altro diritto reale a favore del costruttore-condomino Cass., Sez. I, 12 maggio 1973, n. 1297 - la costruzione eseguita dal comproprietario, sul suolo comune, diviene, per accessione, di proprietà comune agli altri comproprietari del suolo, restando esclusa l’applicabilità degli artt. 936 e ss. cod. civ., che riguardano la diversa ipotesi di opere eseguite da un terzo Cass., Sez. II, 11 luglio 1978, n. 3479 - il principio dell’accessione di cui all’art. 934 cod. civ. implica che, quando il suolo è comune, ricada nella comunione anche l’edificio costruito su di esso, tranne che i comproprietari del suolo medesimo abbiano provveduto con atto scritto alla determinazione reciproca del loro diritto sulle singole porzioni del costruendo edificio, destinato a diventare, a costruzione ultimata, di rispettiva proprietà esclusiva Cass., Sez. II, 10 novembre 1980, n. 6034 . 2.2. - Un altro e più recente orientamento ha invece affermato che la disciplina sull’accessione, contenuta nell’art. 934 cod. civ., si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su terreno comune non si applica tale disciplina, ma quella in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprietà della nuova opera sorge a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia stata realizzata in conformità di detta disciplina, cioè con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario all’uso delle cose comuni, cosicché le opere abusivamente create non possono considerarsi beni condominiali per accessione ma vanno considerate appartenenti al comproprietario costruttore e rientranti nella sua esclusiva sfera giuridica Cass., Sez. II, 22 marzo 2001, n. 4120 Cass., Sez. II, 27 marzo 2007, n. 7523 . 3. - Ritiene il Collegio che il più recente orientamento - che non è rimasto esente da critiche sollevate in dottrina - meriti di essere ri-meditato nella sua portata, destando perplessità che l’edificazione sull’area comune da parte di uno solo dei comunisti in violazione degli artt. 1102 e ss. cod. civ., riceva il beneficio dell’assegnazione della proprietà esclusiva della costruzione, difficilmente inquadrabile in uno dei modi di acquisto stabiliti dall’art. 922 cod. civ Si tratterebbe semmai di tracciare una linea interpretativa in grado di coniugare la disciplina dell’accessione e della comunione, facendo convivere l’espansione oggettiva della comproprietà in caso di inaedificatio ad opera di uno dei comunisti salvo che non si sia costituito nei modi e nelle forme di legge un altro diritto reale a favore del comproprietario costruttore con la facoltà del comproprietario non costruttore di pretendere la demolizione della costruzione quando sia stata realizzata dall’altro comunista in violazione dei limiti posti dall’art. 1102 cod. civ. al godimento della cosa comune. 4. - Poiché la questione della sorte della costruzione realizzata su un fondo in comunione ordinaria tra il costruttore e un terzo e, in quest’ambito, dei modi attraverso i quali può riconoscersi in favore del comproprietario costruttore la proprietà esclusiva del manufatto edificato sul suolo comune, intercetta orientamenti giurisprudenziali non convergenti ed investe un tema di notevole impatto pratico anche sotto il profilo della circolazione della proprietà immobiliare, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. P.Q.M. La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.