Quando può dirsi sanata la nullità della consulenza tecnica d’ufficio?

La nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle stesse resta sanata anche se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, compresa l’udienza di mero rinvio della causa poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente.

Così hanno sancito le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con sentenza n. 7158/17 depositata il 21 marzo. Il caso. Nell’ambito di una controversia in cui la proprietaria di alcuni locali lamentava il superamento della normale tollerabilità delle immissioni derivanti dal fabbricato accanto e chiedeva il risarcimento dei danni subiti, veniva adita la Corte di Cassazione per esaminare, prima ancora della conformità del provvedimento impugnato con gli orientamenti di legittimità, il contrasto con questi della censura relativa alla nullità della consulenza tecnica d’ufficio. La nullità consulenza tecnica d’ufficio. Le Sezioni Unite della Corte hanno qui l’occasione di sancire che, in caso di consulenza tecnica aspecifica, è corretto applicare il principio per il quale la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle stesse, avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l’esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente . Nel caso di specie, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 febbraio – 21 marzo 2017, numero 7158 Presidente Rordorf – Relatore Didone Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. - Con citazione del 23 marzo 2001 S.E. , quale proprietaria confinante di alcuni locali della C.F. s.numero c., ha convenuto in giudizio la predetta società dinanzi al Tribunale di Napoli - Sez. dist. Ischia, asserendo derivare dagli impianti di refrigerazione e condizionamento di quest’ultima, lesivi anche dell’estetica del fabbricato, immissioni superiori ai limiti della normale tollerabilità, pregiudizievoli per la propria salute, e chiedendo, pertanto, la rimozione di tali macchinari, unitamente al risarcimento dei danni. La convenuta costituitasi ha eccepito l’incompetenza per materia del Tribunale a favore del Giudice di Pace ed il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e ha contestato nel merito la fondatezza della domanda. Con sentenza numero 214 del 4 maggio 2010 il Tribunale di Napoli, sulla base dell’espletata c.t.u., ha condannato la convenuta alla rimozione dei due split dei condizionatori e dei frigoriferi ed al pagamento delle spese processuali, rigettando, invece, la domanda di risarcimento del danno. La decisione di primo grado è stata confermata dalla Corte di Appello di Napoli in data 22 novembre 2013, che ha rigettato l’impugnazione fondata sull’omessa pronuncia riguardo all’eccezione di incompetenza, sulla nullità ed inattendibilità della c.t.u., sull’eccessività della condanna all’eliminazione degli impianti, sull’erroneo governo delle spese. Con ricorso per cassazione, notificato in data 14 maggio 2014, la C.F. s.numero c. ha denunciato la violazione e falsa applicazione della legge numero 742 del 1969, anche in relazione all’art. 24 Cost., per essersi svolte le operazioni peritali durante il periodo di sospensione feriale in difetto di contraddittorio, con conseguente nullità della relazione del c.t.u. e della sentenze di primo e secondo grado su di essa fondate violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi, avendo la c.t.u. trascurato le emissioni derivanti dalle ulteriori sorgenti sonore presenti nella zona e la necessità di contemperare le ragioni della proprietà con le esigenze della produzione. La resistente ha eccepito l’inammissibilità ex art. 360 bis numero 1 c.p.c. del ricorso per cassazione, meramente ripetitivo delle difese già svolte in sede di merito, essendo il provvedimento impugnato conforme alla giurisprudenza della Corte. Nella relazione depositata ai sensi degli artt. 380 bis e 375 c.p.c., il consigliere nominato ha evidenziato, prima ancora della conformità del provvedimento impugnato agli orientamenti consolidati di legittimità, il contrasto con essi dei motivi formulati in particolare il contrasto della prima censura con l’orientamento secondo cui la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni stesse, avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l’esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente quello della seconda censura con l’orientamento secondo cui il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, numero 5, c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione . Ritenuta, pertanto, l’applicabilità dell’art. 360 bis c.p.c., ha proposto la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla natura di rito o di merito del rigetto in esame. 2.- Con ordinanza numero 20466 dell’11/10/2016, la Sez. 6-2, confermando la proposta del relatore, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza, oggetto di contrasto, relativa alla formula definitoria ex art. 360 bis numero 1 c.p.c. di manifesta infondatezza nel merito o d’inammissibilità in rito, rilevando che la rubrica, l’incipit e soprattutto la ratio della disposizione inducono a rimeditare la soluzione adottata dalle Sez. U numero 19051 del 6/09/2010 Rv. 614183 , anche alla luce dell’esperienza applicativa maturata e della novità normativa, costituita dall’introduzione nel 2012 degli artt. 348 bis e ter c.p.c 3.- Il ricorso deve essere rigettato. Infatti, va rilevato che la ricorrente, mentre a pag. 2 del ricorso deduce di avere eccepito la nullità della consulenza - dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni - nella comparsa conclusionale, per converso a pag. 7 assume di avere eccepito la medesima nullità nella prima udienza utile , senza, però, indicare quale. Sì che, dovendosi la censura considerare aspecifica, va applicato il principio per il quale la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni stesse, avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l’esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente. In tal senso - sebbene con diversa motivazione - va condiviso il rigetto della censura da parte del giudice di merito. Il secondo motivo, invece, è inammissibile perché veicola censure in fatto non deducibili in sede di legittimità. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità - nella misura determinata in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis .