Il controllo della Corte dei Conti si estende alla valutazione concreta ed a posteriori dell’azione amministrativa

Il Giudice contabile ha il potere di accertare tutti i fatti e comportamenti causa di danno erariale e, pertanto, ferma restando la scelta dell’amministratore di apprestare gli strumenti più idonei al soddisfacimento degli obiettivi dell’ente, valuta i modi di attuazione delle scelte discrezionali alla luce del parametro della conformità a criteri di efficacia ed economicità che, avendo acquistato dignità normativa, assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6820, depositata il 15 marzo 2017, si sono pronunciate sulla giurisdizione della Corte dei Conti in una ipotesi di danno erariale riveniente dalla partecipazione di un consorzio di bonifica ad una società di servizi. Il caso. Il Procuratore Generale della Corte dei Conti conveniva in giudizio il Presidente ed il Vice presidente di un Consorzio di bonifica domandando la loro condanna al risarcimento del danno procurato all’Erario. Era contestata la commistione dei ruoli ed il conflitto d’interessi giacché tali soggetti ricoprivano ad un tempo le citate cariche nel Consorzio nonché quella di soci di una s.r.l. di servizi, a cui il Consorzio stesso aveva aderito. In concreto la società, con la partecipazione del Consorzio superiore al 70%, si occupava di gestire, nell’interesse dei consorziati, il catasto dei contribuenti, elaborare dati e renderli disponibili i dati ad enti ed associazioni di pubblico interesse. Veniva rimproverata quindi l’omessa vigilanza oltre allo spreco di denaro pubblico giacché il Consorzio non aveva ricavato alcuna utilità economica dalla partecipazione alla società di servizi. Il Presidente ed il Vice Presidente contestavano la giurisdizione della Corte dei Conti, sostenendo principalmente che l’addebito mosso non concerneva le scelte discrezionali dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994, bensì la mancanza di convenienza per il Consorzio dalla partecipazione e permanenza nella società. La sentenza aveva accertato il dolo contrattuale del Presidente e del Vice Presidente proprio in ragione della piena consapevolezza dei rapporti intercorrenti tra la società ed il Consorzio stesso in ragione dell’impossibilità per il Consorzio di realizzare gli interessi pubblici dichiarati nell’atto di adesione. La pronuncia di condanna era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione dai soccombenti i quali lamentavano l’eccesso di giurisdizione della Corte dei Conti oltre al suo difetto di giurisdizione. La contestazione relativa all’eccesso di giurisdizione della Corte dei Conti. Quanto al primo profilo la prospettiva dei ricorrenti tendeva ad affermare che l’Organo di giustizia contabile avrebbe dovuto limitarsi a valutare la legittimità della partecipazione alla società da parte del Consorzio e non anche a sindacare le scelte gestionali ritenendole non idonee alla finalità di costituzione della società. In buona sostanza sostenevano i ricorrenti che, il sindacato doveva limitarsi ad una valutazione preventiva sulla compatibilità tra la scelta di adesione e le finalità dell’ente, senza quindi interrogarsi sulla congruenza e razionalità della scelta a posteriori. Le Sezioni Unite superavano l’eccezione sollevata già affrontata in altra precedente occasione, con SS.UU. n. 14488/2003 era stato statuito che la valutazione della compatibilità tra la scelta amministrativa e le finalità dell’ente pubblico, ispirata ai principi di economicità ed efficacia, ben potesse estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo al fine di apprezzare se gli strumenti utilizzati dagli amministratori fossero adeguati o esorbitanti o estranei all’interesse pubblico, con conseguente valutazione del rapporto tra i costi sostenuti e gli obiettivi conseguiti. In questa prospettiva il controllo contabile non si esauriva nell’esame del merito ma investiva anche il percorso logico seguito dall’amministrazione, tanto al fine di evitare che l’attività amministrativa potesse essere deviata dai propri fini istituzionali. Non veniva quindi ravvisato alcun superamento del limite giurisdizionale. La contestazione relativa al difetto di giurisdizione della Corte dei Conti. Parimenti veniva rigettata l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione della Corte dei Conti che i ricorrenti avevano cercato di sostenere spostando il piano della valutazione sulla principale perdita economica subita dalla s.r.l., affermando che il danno inferto al patrimonio sociale che indirettamente danneggia il socio pubblico, non implica danno erariale. Gli Ermellini a tale proposito, oltre a ritenere l’eccezione nuova, giacché sollevata per la prima volta nel giudizio di Cassazione, affermavano che la stessa era incoerente essendo in contestazione il danno erariale dell’Ente in proprio.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 8 – 15 marzo 2017, numero 6820 Presidente Canzio – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con sentenza del 6 giugno 2013 la Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello della Corte dei Conti, premesso che con citazione del 2006 il P.R. della Corte dei Conti dell’Umbria, all’esito di un’indagine della G.F., convenne in giudizio, tra gli altri, G.U. e S.O. , presidente e vice presidente del Consorzio della Bonificazione Umbra di Spoleto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella rispettiva misura del 25% e del 5% per commistione ruoli, conflitto di interessi tra dette cariche e quelle ricoperte dagli stessi nella s.r.l. Sedit - a cui il Consorzio a norma dell’art. 23 lett. p dello statuto aveva aderito con delibera del 1997 nella misura del 74 % al fine di gestire in internet, nell’interesse dei consorziati e della collettività, il catasto dei contribuenti, elaborare dati e renderli disponibili ad enti ed associazioni di pubblico interesse senza gravare sulla struttura interna del consorzio - omessa vigilanza e cura dell’interesse pubblico del consorzio nella qualità di imprenditore - socio della s.r.l. Sedit, spreco di danaro pubblico non avendo il Consorzio tratto alcuna utilità economica da detta partecipazione fino al 2003 gli utili, pari ad Euro 2.895,00, erano stati accantonati tra le riserve statutarie i clienti erano esigui la società non aveva dipendenti e operava con la collaborazione di un dipendente del consorzio nella sede di questo ente e successivamente in locali di proprietà dello stesso le fatture erano quasi tutte emesse nei confronti del consorzio per generici servizi di progettazione e studi svolti dai fornitori del medesimo per importi anche inferiori , ha ribadito il rigetto dell’eccezione di carenza di giurisdizione amministrativo-contabile sulle seguenti considerazioni 1 l’art. 1, comma 1, della legge numero 20 del 1994 e successive modificazioni costituisce la positivizzazione di principi di efficienza ed economicità dell’amministrazione che regolano l’esercizio dell’attività amministrativa principi trasfusi nell’art. 2 del D.L.gs del 1993 numero 29, 2 del D.L.gs del 2001 numero 165 e 2 della legge 286 del 1999 secondo criteri di logicità, razionalità, correttezza, proporzionalità tra costi affrontati ed obbiettivi perseguiti, misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità 2 l’addebito non aveva ad oggetto le scelte discrezionali dell’ente ai sensi dell’art. 1 comma 1 della legge numero 20 del 1994, bensì la mancanza di convenienza per il consorzio alla partecipazione ad una società che, senza espletare i servizi per cui era stata costituita, li aveva girati ad operatori esterni, per lo più fornitori del consorzio, svolgendo un’attività di mera interposizione fittizia il consorzio si era accollato gli oneri di funzionamento e gestione per oltre sei anni, in tal modo non solo vanificando ogni utile, ma anche invalidando le giustificazioni economiche - giuridico - amministrative poste a fondamento della delibera di adesione alla Sedit quale socio di maggioranza 3 perciò il controllo era stato esercitato sia sulla gestione dei rapporti tra l’ente e la partecipata Sedit, sia sull’opportunità della permanenza nella partecipazione maggioritaria ad una società che avrebbe dovuto rappresentare un’opportunità di investimento per l’ente pubblico e uno strumento operativo redditizio flessibile e dinamico per migliorare efficienza e ed economicità nella resa dei servizi ai cittadini - utenti, invece era stata fonte di spreco e sperpero di risorse finanziarie pubbliche. Affermato il dolo contrattuale del presidente e del vicepresidente stante la piena consapevolezza dei rapporti intercorrenti tra la società Sedit ed il consorzio e dell’impossibilità di realizzare gli interessi pubblici dichiarati nell’adesione a detta società avendo agito quali organi di vertice per entrambi detti soggetti la Sezione Giurisdizionale di Appello ha ridotto il danno erariale rispettivamente ad Euro 20.000 ed Euro 6.000. Ricorrono per cassazione G. e S. . Si è costituito il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti. I ricorrenti hanno depositato memoria. Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto dei ricorsi e la dichiarazione della giurisdizione contabile. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo i ricorrenti deducono Eccesso di giurisdizione della Corte dei Conti art. 360 comma 1, numero 1 c.p.c. Difetto di potestas iudicandi e lamentano che l’oggetto della verifica contabile doveva esser limitato alla legittimità o meno della partecipazione del consorzio alla Sedit s.r.l. mentre la Corte dei Conti ha sindacato le scelte di merito e gestionali ritenendole non idonee rispetto alle finalità della costituzione societaria così sostituendo al potere discrezionale dell’ente la valutazione ex post del giudice contabile e travalicando i c.d. limiti esterni della giurisdizione e, pur avendo ritenuto corretta la scelta in sé, ne ha sindacato il merito sulla base della convenienza economica, mentre il sindacato è limitato alla prognosi ex ante della compatibilità della scelta discrezionale con i fini dell’ente senza poterne valutare in concreto e a posteriori la congruenza e la razionalità, che attengono al merito dell’azione amministrativa. Invece il consorzio ha agito a norma dell’art. 2 dello statuto per ottimizzare gli interessi pubblici anche attraverso la progettazione di incarichi a terzi per servizi ed opere onde monitorare il territorio e la Sedit aveva come oggetto sociale proprio l’erogazione di servizi di natura tecnica e informatica anche ai consorzi. Poi, dopo la modifica statutaria del 2003, la Sedit poteva esser destinataria di incarichi di progettazione avendo la qualifica di società di ingegneria ed infatti forniva un aggiornamento costante dei dati e del territorio, e il fine istituzionale non è inficiato dalle difficoltà operative. Il motivo è infondato. A decorrere dalla fondamentale sent. 14488/2003 la giurisprudenza di queste sezioni unite, applicando analoghi criteri adottati per delineare i limiti di sindacabilità della giurisdizione del giudice amministrativo, ha ripetutamente precisato che la Corte dei Conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, che, ai sensi dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, numero 241, devono essere ispirati a criteri di economicità e di efficacia secondo il canone indicato nell’art. 97 Cost. - che assumono rilevanza sul piano della legittimità, non della mera opportunità, dell’azione amministrativa pertanto, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa deve estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo e, quindi, apprezzare se gli strumenti utilizzati dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei ai fini di interesse pubblico da perseguire con risorse pubbliche, e non potendo, comunque, prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti sentt. nnumero 4283 e 12102 del 2013, 831 e 20728 del 2012, 10069 e 12902/2011 . Nel richiamare, pertanto, i suindicati criteri, queste Sezioni Unite hanno affermato la possibilità di un’estesa applicazione della I. numero 241 del 1990, le cui clausole generali consentono in sede giurisdizionale un controllo di ragionevolezza sulle scelte operate dalla pubblica amministrazione. Ne consegue che il criterio di razionalità nella valutazione delle scelte cui si riferisce la giurisprudenza contabile non è strumento limitato all’esame del merito, che conserva la sua rilevanza solo se inserito in un metodo di valutazione che lo individua come summa di sintomi dell’eccesso di potere, ma investe nella sua interezza il percorso logico seguito dall’amministrazione, onde evitare la deviazione dell’attività amministrativa dai propri fini istituzionali, che devono essere perseguiti nel quadro complessivo degli equilibri della finanza pubblica cui il giudizio amministrativo-contabile è specificamente orientato. L’irragionevolezza equivale al vizio della funzione di contro, l’esigenza di razionalità insita nello svolgimento della funzione amministrativa corrisponde a correttezza e adeguatezza della funzione di modo che la ragionevolezza consente di verificare la completezza dell’istruttoria, la non arbitrarietà e la proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché la logicità e l’adeguatezza della decisione finale allo scopo da raggiungere. In questo contesto, gli obblighi di servizio diventano obblighi di risultato e il mancato raggiungimento degli obiettivi, laddove comporti un danno per la pubblica amministrazione e sia imputabile al dolo o alla colpa grave degli operatori, può essere oggetto di valutazione in sede giurisdizionale di responsabilità. Il giudice contabile ha, per tale via, il potere di accertare tutti i fatti e comportamenti causa di danno erariale e, pertanto, ferma restando la scelta dell’amministratore di apprestare gli strumenti più idonei al soddisfacimento degli obiettivi dell’ente, valuta i modi di attuazione delle scelte discrezionali alla luce del parametro della conformità a criteri di efficacia ed economicità che, avendo acquistato dignità normativa , assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa. Alla stregua dei richiamati principi, deve escludersi che nella fattispecie vi sia stato, da parte del giudice contabile, alcun superamento dei limiti della propria giurisdizione. Nel verificare, infatti, se la esternalizzazione dei compiti o servizi necessari all’attività istituzionale dell’ente pubblico consortile rispondesse ai requisiti dettagliatamente previsti dalla legge, la Corte dei conti si è mantenuta nell’ambito di valutazione della legittimità, in rapporto a parametri normativi definiti, dell’azione amministrativa, essendosi limitata, nel negare che il soggetto la s.r.l. Sedit così liberamente concepito e creato dall’autorità amministrativa, privo di personale e financo di sede sociale e in concreto fornitore di servizi ugualmente effettuati dall’ente pubblico, avesse soddisfatto parametri minimi di economicità ed efficacia, al doveroso accertamento dei fatti rilevanti ai fini dell’applicazione della norma è chiaramente da escludere, pertanto, che la Corte abbia espresso valutazioni di opportunità, o di mera non condivisione, della scelta operata. 2.- Con il secondo motivo i ricorrenti deducono Difetto di giurisdizione della Corte dei Conti art. 360 comma 1, numero 1 c.p.c. contestando la giurisdizione anche sotto il profilo dei consolidati principi in materia di società di capitali partecipate da enti pubblici, profilo non valutato e rilevabile di ufficio e per la prima volta in cassazione. La procura della Corte dei Conti infatti ha valutato il rischio di impresa per non aver il consorzio beneficiato di utili dalla partecipazione societaria, ma sia l’iniziale partecipazione societaria, sia i successivi investimenti, costituiscono rischio di impresa e quindi il danno è indiretto del socio pubblico, derivante dall’attività negativa della Sedit, ed infatti i ricorrenti sono stati citati anche come Presidente e componente del cda della Sedit, ma al riguardo le Sezioni Unite hanno affermato che esula dalla giurisdizione contabile il pregiudizio al patrimonio delle società avuto riguardo all’autonoma personalità delle stesse, ed infatti la giurisdizione contabile nella previsione del R.D. del 1934 numero 1214 art. 13 è per i danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni. Nel caso di specie la principale perdita economica riguarda la Sedit e quindi se mai la responsabilità poteva esser quella ordinaria per mala gestio dei suoi amministratori, ma se la P.A. sceglie di partecipare a società private soggiace alla disciplina di queste. Il danno inferto al patrimonio sociale che indirettamente danneggia il socio pubblico non implica danno erariale, ma privato, riferibile alla società e non ai soci, che sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione, i cui conferimenti sono assorbiti nel patrimonio sociale. Ed infatti la giurisdizione contabile sussiste soltanto nel caso di società in house providing, aventi delle specifiche caratteristiche che non ha la Sedit, e con controllo analogo a quello che esercita l’ente pubblico al suo interno, sì da configurare una subordinazione gerarchica della partecipata. Dunque se il danno dedotto non investe il consorzio, ma la Sedit, anche per questa ragione non vi è giurisdizione contabile. Ribadito - S.U. 19667/2003 - che la responsabilità amministrativo - contabile nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici trova fondamento nell’art. 1 ult. comma della legge numero 20 del 1994 e non nel R.D. 1214/1934 secondo cui è la presentazione del conto il presupposto della sottoposizione dell’agente al giudizio, il motivo è inammissibile in quanto prospettante un profilo di giurisdizione assolutamente nuovo, mai accennato nelle fasi di merito. Inoltre è totalmente inconducente posto che il danno allegato dal Procuratore Generale della Corte dei Conti e accertato dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti era ed è quello arrecato al Consorzio in proprio. Concludendo il ricorso va rigettato e va dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti. I ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti di cui all’art. 13, c.1 quater del d.P.R. numero 115/2002 per il versamento da parte dei soccombenti di un ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per l’impugnazione. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione della Corte dei Conti. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, c.1 quater del d.P.R. numero 115/2002 per il versamento da parte dei soccombenti di un ulteriore importo, pari al contributo unificato dovuto per l’impugnazione.