La buona fede del terzo rileva solo se la misura di prevenzione è successiva al codice antimafia

Spetta al giudice civile - e non alla sezione per le misure di prevenzione del tribunale penale – l'accertamento, in via definitiva, della risoluzione di un contratto e del connesso credito risarcitorio nei confronti di una società colpita da sequestro e confisca quali misure del prevenzione antimafia, se le dette misure sono state emesse prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 codice antimafia .

Tale in sintesi, il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5790/17 pubblicata l'8 marzo. Il caso. Il giudizio trae origine dalla richiesta di dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare di locazione per inadempimento, nonché di condanna al risarcimento danni, operata da due promissari locatori nei confronti della società promittente conduttrice. Seguiva l'appello e poi il ricorso in Cassazione da parte di questa, dal momento che la sentenza di primo grado, come quella di secondo grado, erano state favorevoli ai promissari locatori. In appello la società, in persona dell'amministratore giudiziario, contestava la decisione in quanto, per quanto qui interessa, con decreto del Tribunale di Palermo ex l. n. 575/1965 e ss. modifiche le quote della società erano state sottoposte a sequestro penale antimafia e l'amministratore della società era stato sospeso e sostituito dall'amministratore giudiziario. Conseguentemente, si affermava, del terzo creditore che volesse promuovere la procedura espropriativa, si sarebbe dovuta verificare la buona fede ad opera del giudice dell'esecuzione penale dunque, il giudizio civile avrebbe dovuto essere sospeso in attesa dell'esito di quello penale. Teoria del ricorrente necessità dell'accertamento in sede penale della buona fede. In Cassazione il ricorso della società, sostanzialmente col primo motivo, rileva che la decisione di appello contrasta con la soluzione interpretativa consolidata” secondo cui in presenza di misura di prevenzione patrimoniale ex l. n. 575/1965 è necessario verificare non solo la sussistenza di un titolo da parte del terzo, ma anche la sua buona fede, cioè l'assenza di qualsivoglia collegamento del diritto vantato con l'attività illecita la contestazione troverebbe riscontro nell'art. 52, e ss, d.lgs. n. 159/2011, nonché la decisione a Sezioni Unite della Corte n. 10532/13 . Col secondo motivo, insiste nel rilevare la necessità di accertare see il rapporto, pur non essendo stato disconosciuto in primo grado il contratto ai sensi dell'art. 215 c.p.c., fosse volto ad eludere la disciplina di prevenzione patrimoniale antimafia si asseriva quindi la violazione del predetto art. 215, in relazione alle norme di cui all'art. 2- ter e ss., l. n. 575/1965 e, ancora, 52 e ss., d.lgs. n. 159/2911. La decisione della Corte l'accertamento de quo non spetta al giudice penale. La Corte innanzitutto rileva che il decreto di sequestro di prevenzione, del novembre 2009, è stato emesso dopo l'instaurazione del giudizio civile de quo e che la confisca veniva disposta un anno dopo. Il codice antimafia è del 2011 e la disciplina transitoria di cui all'art. 117 prevede espressamente che anche la norma di cui all'art. 52 non si applica ai procedimenti nei quali alla data di entrata in vigore del decreto medesimo sia stata già formulata la proposta di applicazione della misura di prevenzione per questi, dunque, si applicano le norme previgenti, di cui alla l. n. 575/1965 in particolare, l'art. 2- ter e ss. che nulla prevedono circa l'accertamento nello stesso procedimento di prevenzione e la soddisfazione concorsuale dei crediti vantati da terzi. Dunque, nel riportarsi ad altro proprio precedente - sentenza n. 10890/13 -, la Corte conclude che l'unica sede idonea all'accertamento è quella civile la sentenza del 2013, appunto, stabiliva la competenza del giudice civile all'accertamento - di un diritto di credito vantato con ricorso per decreto ingiuntivo - essendo la misura di prevenzione antimafia stata adottata prima dell'entrata in vigore del codice antimafia del 2011 così concludeva riferendosi ad un caso di accertamento del credito fatto valere con ricorso per decreto ingiuntivo. Ciò vale, dunque, prosegue la Corte anche per l'accertamento delle vicende contrattuali e connesse conseguenze di tipo patrimoniale, per cui la precedente legge 575 non ha una norma come quella dell'art. 52. Dunque, in tali casi il processo civile non va sospeso per consentire l' accertamento in sede penale dell'elemento della buona fede dei terzi creditori. Così come, si afferma, è opponibile, nei confronti dell'amministratore giudiziario, il contratto per cui è causa, dal momento che ha data certa anteriore al provvedimento di prevenzione. L'accertamento del credito ha una disciplina transitoria diversa dall'esecuzione del credito. La Corte nega poi possa trovare applicazione al caso di specie quanto deciso nel precedente richiamato dal ricorrente sentenza a Sezioni Unite n. 10532/13 quella sentenza negava l'opponibilità allo Stato, in caso di confisca dei beni, di un'ipoteca iscritta sul bene confiscato ciò in virtù della norma di diritto transitorio di cui all'art. 1, comma 194 e ss., l. n. 228/2012, Legge di stabilità 2013 che vieta, con decorrenza dalla entrata in vigore della medesima legge, l'inizio o il proseguio di azioni esecutive per i crediti non soggetti al libro 1, del codice antimafia libro 1 che comprende il citato art. 52 sempre se alla data dell'entrata in vigore della legge il bene non sia già stato trasferito, assegnato o se facente parte di una quota indivisa, pignorato. Quella decisione interveniva a giudicare sulla diversa questione attinente al titolare di un diritto reale di garanzia su di un bene oggetto di confisca antimafia. Le Sezioni Unite risolvevano un contrasto con riferimento alle azioni esecutive tra l'orientamento che riteneva la competenza del giudice penale al fine dell'accertamento della buona fede e quello che riteneva del giudice civile e davano atto del superamento del conflitto per effetto della citata l. n. 228/2012. Ora, spiega la Corte, la l. n. 228/2012 non può trovare applicazione al nostro caso a parte che qui non trovano applicazione le norme di quella legge che modificano il codice antimafia, nel caso inapplicabile, soprattutto, perchè i commi da 194 a 206 contengono una disciplina transitoria volta esclusivamente a regolare l'ambito delle azioni esecutive e non quello dell'accertamento dei diritti di credito, come il caso de quo, che, infatti, è un processo di cognizione e non di esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 dicembre 2016 – 8 marzo 2017, n. 5790 Presidente Di Amato – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1. L.G. e D.F., promittenti locatori di un immobile ad uso commerciale in forza di preliminare di locazione stipulato in data 21 aprile 2008 con l’amministratore della società Tris s.r.l., promittente conduttrice, citarono in giudizio quest’ultima dinanzi al Tribunale di Marsala, con ricorso depositato l’8 ottobre 2009 e notificato il 2 novembre 2009, chiedendo che fosse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della società e questa fosse condannata al risarcimento dei danni. 2. Rimasta contumace la società Tris s.r.l., il Tribunale di Marsala, con sentenza del 17 novembre 2010, dichiarò la risoluzione del contratto preliminare e condannò la società al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 40.000,00 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo ed alle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00, ed accessori. 3. La società Tris s.r.l., in persona dell’amministratore giudiziario, propose appello, esponendo che le quote della società erano state sottoposte a sequestro penale antimafia ai sensi della legge n. 575 del 1965 e succ. mod., con decreto del Tribunale di Palermo - sezione misure di prevenzione del 17/18 novembre 2009, e che, con lo stesso decreto, era stata disposta, ai sensi dell’art. 3 quater della detta legge, la sospensione dell’amministratore unico della società, sostituendo a lui l’amministratore giudiziario. Dedusse, come primo motivo di gravame, che, essendo i beni sociali vincolati alle finalità indicate dalla normativa antimafia, qualora il terzo - che assuma di essere creditore - promuova un’azione giudiziaria per il soddisfacimento del suo diritto chiedendo di dare corso ad una procedura espropriativa , è necessario che ne venga riconosciuta la buona fede che questo accertamento è di competenza del giudice dell’esecuzione penale che perciò il giudizio civile avrebbe dovuto essere sospeso fino al compimento dell’accertamento da parte del giudice penale. Propose altri due motivi di appello con i quali, nel merito, contestava la pretesa risarcitoria degli appellati e sosteneva l’inadempimento di questi ultimi per non aver effettuato, entro i termini contrattuali, i lavori di adattamento dell’immobile promesso in locazione e perché questo mancava del certificato di abitabilità. Gli appellati L. e D. si costituirono, resistendo al gravame. Con la decisione qui impugnata, pubblicata il 3 giugno 2013, la Corte di Appello di Palermo ha rigettato l’appello, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate, in favore degli appellati, nell’importo di 2000,00, oltre accessori. 4. Avverso la sentenza la Tris s.r.l., in persona del suo amministratore giudiziario e legale rappresentante, propone ricorso affidato a due motivi. L.G. e D.F. si difendono con controricorso. Motivi della decisione 1. Col primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2 ter e ss. della L. n. 575/1965 e ss. mm., nonché agli arti. 52 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011 Codice Antimafia - Necessità di accertamento della buona fede del creditore . Il ricorrente ripropone le deduzioni svolte col primo motivo di appello e sostiene che il giudice si sarebbe discostato da una soluzione interpretativa consolidata per la quale, in presenza di misura di prevenzione patrimoniale ai sensi della legge n. 575 del 1965, non sarebbe sufficiente che il terzo creditore abbia un titolo opponibile alla procedura ma dovrebbe dimostrare anche di aver agito in buona fede, per mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita. Riscontro di questo assunto si troverebbe nell’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 codice antimafia , nonché nella decisione a Sezioni Unite della Cassazione n. 10532/2013. 1.1.- Col secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 215 c.p.c. in relazione all’art. 2 ter e ss. della L. n. 575/1965 e ss. mm., nonché agli artt. 52 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011 codice antimafia ” . Il ricorrente critica la sentenza per aver ritenuto opponibile all’amministrazione giudiziaria il contratto preliminare stipulato dall’amministratore della società poi sottoposta a sequestro, attribuendo rilevanza al mancato disconoscimento in primo grado, senza considerare che si sarebbe dovuto accertare se il rapporto in questione non fosse finalizzato ad eludere la disciplina di prevenzione patrimoniale antimafia. Conclude sostenendo che il giudice avrebbe potuto ritenere opponibile il preliminare solo se si fosse accertata la buona fede dei terzi contraenti. 2.- I motivi sono manifestamente infondati. Giova precisare che dal ricorso e dalla sentenza risulta che il decreto di sequestro di prevenzione è stato emesso il 17/18 novembre 2009, dopo l’instaurazione del presente giudizio introdotto con ricorso depositato l’8 ottobre 2009 , e che con successivo decreto, del 25 ottobre/2 novembre 2010, il Tribunale di Palermo - sezione misure di prevenzione dispose la confisca dell’intero capitale sociale e del relativo patrimonio aziendale della società Tris s.r.l Questi dati di fatto sono sufficienti ad escludere l’applicabilità delle norme, invocate dal ricorrente, di cui agli artt. 52 e seg. del d.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011 codice antimafia . L’art. 117 di questo decreto prevede infatti che le disposizioni contenute nel libro I tra le quali vi sono quelle degli artt. 52 e seg. relative alla tutela dei terzi non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti” . Le norme previgenti sono quelle degli artt. 2 bis e seg. della legge n. 575 del 1965 e succ. mod. Questa legge, così come via via modificata, non contiene disposizioni analoghe a quelle degli artt. 57 e seg. del codice antimafia, volte a regolare l’accertamento - nello stesso procedimento di prevenzione - e la soddisfazione concorsuale - previa verifica e dopo la formazione dello stato passivo e del piano di pagamento - dei crediti vantati da terzi nei confronti di società o di aziende sottoposte a misure di prevenzione antimafia. Ne consegue che l’unica sede idonea al relativo accertamento è quella del giudizio civile, come d’altronde già affermato da questa Corte con la sentenza n. 18909/13 per la quale Spetta al giudice civile - e non alla sezione per le misure di prevenzione del tribunale penale la competenza ad accertare in via definitiva la esistenza e l’entità di un credito azionato con ricorso per decreto ingiuntivo relativamente a prestazioni contrattuali intercorse con una società il cui intero capitale e 11 complesso dei beni aziendali siano stati colpiti da provvedimento di confisca quale misura di prevenzione antimafia ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, allorché detta misura sia stata adottata dal giudice penale in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 Nuovo Codice Antimafia ” . A maggior ragione, in mancanza nella legge n. 575 del 1965 e succ. mod. di disposizioni volte a regolare, a seguito della procedura di prevenzione, la sorte dei contratti, delle azioni e dei rapporti pendenti analoghe a quella degli artt. 52, comma quarto, 55 e 56 del d.lgs. n. 159 del 2011, qui non applicabili , le vicende contrattuali e le loro conseguenze di ordine patrimoniale possono costituire soltanto oggetto di giudizio civile. In questo giudizio è, peraltro, legittimato ad agire od a resistere l’amministratore nominato dal tribunale - sezione misure di prevenzione col provvedimento di sequestro, per il quale già la legge n. 575 del 1965 prevede l’autorizzazione a stare in giudizio da parte del giudice delegato ex artt. 2 septies e 3 quater della legge n. 575 del 1965 e succ. mod. . Facendo seguito al citato precedente di cui a Cass. n. 18909/13, va perciò affermato che spetta al giudice civile - e non alla sezione per le misure di prevenzione del tribunale penale - la competenza ad accertare in via definitiva la risoluzione del contratto e la sussistenza e l’ammontare del credito risarcitorio consequenziale facente capo ad una società il cui intero capitale e il complesso dei beni aziendali siano stati colpiti da provvedimenti di sequestro e confisca quale misura di prevenzione antimafia ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 e succ. mod., allorché dette misure siano state adottate dal giudice penale in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 Codice Antimafia . 2.1.- Pertanto, è corretta la sentenza impugnata che ha escluso che il processo civile potesse essere sospeso per dare corso all’accertamento della buona fede degli attori mediante incidente di esecuzione penale ed ha delibato le pretese dei promittenti locatori secondo la disciplina dei contratti. Parimenti è corretto in diritto l’accertamento dell’opponibilità del preliminare nei confronti dell’amministratore nominato dal tribunale misure di prevenzione, succeduto all’organo amministrativo della società Tris s.r.l. che l’aveva stipulato, perché contenuto in scrittura privata avente data certa anteriore al sequestro tanto da essere dedotto in giudizio con ricorso dell’8 ottobre/2 novembre 2009 precedente il decreto di sequestro di prevenzione del 17 novembre 2009 . 3.- Non è pertinente il richiamo fatto dal ricorrente alla sentenza a Sezioni Unite n. 10532/2013, con la quale si è affermato il seguente principio di diritto Nel conflitto tra l’interesse del creditore a soddisfarsi sull’immobile ipotecato e quello dello Stato a confiscare i beni, che siano frutto o provento di attività mafiosa, deve prevalere il secondo, onde è inopponibile allo Stato l’ipoteca iscritta su di un bene immobile confiscato, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, prima che ne sia stata pronunciata l’aggiudicazione nel procedimento di espropriazione forzata, in virtù della norma di diritto transitorio prevista dall’art. 1, comma 194, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Essa è intervenuta in merito alla situazione - diversa da quella oggetto del presente giudizio - del terzo titolare di un diritto reale di garanzia su un bene oggetto di confisca antimafia. Proprio riguardo a questa situazione si era formato l’orientamento giurisprudenziale – richiamato dall’amministratore giudiziario sia in appello che nel ricorso - in ragione del quale il terzo, anche quando avesse agito in sede esecutiva prima dell’instaurazione del processo di prevenzione, dopo la confisca, si sarebbe dovuto rivolgere, per la tutela del proprio diritto, al giudice dell’esecuzione penale nelle forme e secondo le modalità previste dagli artt. 665 e segg. cod. proc. pen. Cass. civ. n. 12535/99 e n. 6661/05, nonché, tra le tante, in sede penale, Cass. pen. n. 45572/07 e n. 32648/09 perché ne fosse accertata la buona fede. A questo peraltro era contrapposto altro orientamento, pure presente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la tutela del terzo si sarebbe dovuta demandare invece al giudice civile cfr. Cass. civ. n. 16227/03, n. 845/07, n. 20664/10 . Su questo contrasto erano state chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite cfr. Cass. ord. n. 2340/12 , le quali hanno dato atto del superamento di ogni precedente interpretazione in forza delle norme sopravvenute di cui ai comma da 194 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 sulle quali cfr., oltre a Cass. S.U. n. 10532/13 cit., Cass. S.U. n. 10533 e n. 10534/ 2013, nonché Cass. n. 23428/13 e n. 5472/15, ed, ancora, Cass. ord. n. 24535/14 . La legge n. 228 del 2012 non trova però applicazione nel caso di specie. Prescindendo dalle modifiche da essa apportate al codice antimafia qui non rilevanti per l’inapplicabilità di quest’ultimo , nemmeno rilevano i comma da 194 a 206 dell’art. 1, pur se relativi ai beni confiscati all’esito di procedimenti di prevenzione ai quali si applica la disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 come nel caso in oggetto . Infatti, si tratta di una disciplina transitoria che - come è fatto palese dal principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite - è volta a regolare esclusivamente l’inizio o la prosecuzione di azioni esecutive sui beni confiscati, nonché il soddisfacimento dei creditori muniti di ipoteca iscritta su questi beni anteriormente alla trascrizione del sequestro antimafia, oltre che dei creditori pignoranti ed intervenuti nelle procedure esecutive iniziate prima della trascrizione del sequestro. Fatta eccezione per queste ipotesi, le norme da ultimo introdotte non si occupano dell’accertamento dei diritti di credito vantati dai terzi nei confronti di soggetti o beni sottoposti a misure di prevenzione. 3.1.- Sebbene il ricorrente accenni al fatto che nel caso di specie vi sarebbe stata una richiesta di dare corso . ad una procedura esecutiva , si tratta di cenno incompatibile con la vicenda processuale. Questa attiene ad un processo di cognizione e ha ad oggetto la sorte di un contratto preliminare di locazione, relativo ad un bene di proprietà di terzi il sequestro e la confisca hanno riguardato le quote del la società contraente. La risoluzione del contratto e l’accertamento del credito risarcitorio, nonché la condanna al relativo pagamento ottenuta dai terzi con la sentenza pronunciata nei confronti della società assoggettata a misura di prevenzione, vanno tenuti distinti dall’esecuzione di questa condanna, di cui non è dato qui occuparsi. Il ricorso va perciò rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei resistenti, nell’importo complessivo di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.