Danno da spamming: nessun risarcimento per poche email indesiderate

In tema di violazione della privacy, determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11, d.lgs. n. 196/2003, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva. Pertanto non comporta alcun danno risarcibile il fatto di aver ricevuto 10 email indesiderate, di contenuto pubblicitario, nell’arco di 3 anni, costituendo al più un modesto disagio o fastidio senz’altro tollerabile.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 3311 dell’8 febbraio 2017. Il caso. Un uomo citava in giudizio la SIAA Società italiana avvocati amministrativisti chiedendone la condanna al risarcimento del danno per aver inviato, senza il suo consenso, vari messaggi di posta elettronica al proprio indirizzo email. La convenuta evidenziava che i dati relativi alla casella di posta elettronica del ricorrente erano stati chiesti all’Ordine degli avvocati di appartenenza dello stesso, sicché ricorreva l’esimente di cui all’art. 24, comma 1, lett. c , d.lgs. n. 196/2003. La domanda veniva rigettata poiché, a prescindere dai profili relativi alla legittimità del trattamento dei dati personali, non v’era alcuna prova dell’esistenza e dell’entità del danno, avendo la SIAA inviato solo dieci email nell’arco di tre anni. L’attore si rivolge, quindi, alla Corte di Cassazione. Gravità della lesione e serietà del danno. Il ricorrente censura la pronuncia per avere esaminato la domanda risarcitoria sotto il profilo della responsabilità civile di diritto comune art. 2043 c.c. , anziché a norma dell’art. 2050 c.c. richiamato dall’art. 15 d.lgs. n. 196/2003. Ebbene, nel rigettare il motivo di ricorso, la Suprema Corte reputa corretta la decisione del giudice di merito, atteso che il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione” e della serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato. In altri termini, non è la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy a determinare una lesione ingiustificabile del diritto, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva. Responsabilità aggravata. Oltre a respingere il ricorso, gli Ermellini ritengono di accogliere l’istanza del PG di condanna del ricorrente per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., avendo egli abusato dello strumento processuale. Com’è noto, la norma citata ha introdotto una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte sia dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dell’avversario. Nella specie, il ricorrente aveva percorso tutti i gradi di giudizio per un danno ipotetico e futile, consistente al più in un modesto disagio o fastidio, senz’altro tollerabile, collegato al fatto di avere ricevuto dieci email indesiderate nell’arco di tre anni, sicché doveva ritenersi certamente integrato l’abuso punito dalla norma.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 ottobre 2016 – 8 febbraio 2017, n. 3311 Presidente Di Palma – Relatore Lamorgese Fatti di causa Con ricorso depositato il 2 maggio 2011, S.G. ha convenuto in giudizio la SIAA Società italiana avvocati amministrativisti e ha chiesto di accertarne la responsabilità e di condannarla al risarcimento del danno, indicato in Euro 360,00, per il fatto di avergli inviato, senza il suo consenso, vari messaggi di posta elettronica al proprio indirizzo email. La convenuta ha chiesto il rigetto della domanda, esponendo che i dati relativi alla casella di posta elettronica del S. erano stati chiesti all’Ordine degli avvocati di Milano e che, pertanto, ricorreva l’esimente di cui all’art. 24, comma 1, lett. c , d.lgs. n. 196/2003 che autorizza il trattamento dei dati provenienti da pubblici elenchi o registri senza il consenso dell’interessato che il ricorrente aveva chiesto di non inviargli più comunicazioni ma lo aveva fatto con una email inviata da un indirizzo diverso che non consentiva di comprendere che la richiesta provenisse da lui che non vi era alcuna prova dell’esistenza di danni collegabili alla propria condotta. Il Tribunale di Roma, con sentenza 13 dicembre 2012, ha rigettato la domanda poiché, a prescindere dai profili relativi alla legittimità del trattamento dei dati personali, non v’era alcuna prova dell’esistenza e dell’entità del danno, avendo la SIAA inviato solo dieci email nell’arco di tre anni. Il S. ricorre per cassazione avverso questa sentenza sulla base di due motivi illustrati da memoria l’intimata si è difesa con controricorso. Ragioni della decisione La preliminare eccezione, sollevata dall’intimata SIAA, di inammissibilità del ricorso per cassazione per saltum è infondata infatti, le sentenze in materia di tutela della privacy non sono appellabili ma ricorribili direttamente per cassazione, a norma dell’art. 152, comma 13, del d.lgs. 30 giugno 2003, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. l settembre 2011, n. 150, le cui norme sono applicabili ex art. 36 esclusivamente ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, mentre quello in esame è stato introdotto dal S. in data 2 maggio 2011, tanto più che l’art. 10, sesto comma, del d.lgs. n. 150/2011 ha ribadito l’inappelabilità delle sentenze in materia. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame su un fatto decisivo, consistente nella richiesta di ordinare alla convenuta la cessazione definitiva degli invii dei messaggi di posta elettronica, essendosi il tribunale pronunciato soltanto sulla domanda di risarcimento del danno. Il motivo è inammissibile. L’omessa pronuncia su una domanda, eccezione o istanza introdotta in giudizio integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente al giudice di legittimità di effettuare - a condizione che il motivo di ricorso sia adeguato e indipendentemente dall’esistenza di vizi della motivazione sul punto - l’esame degli atti del giudizio di merito, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto, come nella specie, a norma dell’art. 360, primo comma, n 5, c.p.c. Cass. n. 1196/2007, n. 22759/2014, n. 22952/2015 . Inoltre, alla luce della novella della citata norma, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi Cass., sez. un., n. 8053 e 8054/2014 . Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., 15 e 152 n. 2 d.lgs. n. 196 del 2003 e 91 c.p.c., per avere esaminato la domanda risarcitoria sotto il profilo della responsabilità civile di diritto comune art. 2043 c.c. , anziché a norma dell’art. 2050 c.c. richiamato dall’art. 15 d.lgs. n. 196 cit., nonché per la condanna alla rifusione delle spese di lite. Il motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice di merito fatto applicazione del condivisibile principio secondo cui il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato , in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del medesimo codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito Cass. n. 16133/2014 che, nella specie, lo ha espresso con motivazione adeguata e incensurata. Il generico profilo concernente la doglianza sulle spese è inammissibile, avendole il giudice di merito regolate secondo il principio della soccombenza. Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Merita accoglimento l’istanza del PG di condanna del ricorrente per responsabilità aggravata, a norma dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., che ha introdotto ex art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69 una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte sia dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dell’avversario, avendo il ricorrente abusato dello strumento processuale e dovendo per questo essere sanzionato Cass. n. 7726/2016, n. 17902/2010 . Egli ha percorso tutti i gradi di giudizio per un danno, indicato in Euro 360,00, ipotetico e futile, consistente al più in un modesto disagio o fastidio, senz’altro tollerabile v. Cass., sez. un., n. 26972/2008 , collegato al fatto, connesso ad un uso ordinario del computer, di avere ricevuto dieci email indesiderate, di contenuto pubblicitario, nell’arco di tre anni. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 1100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, nonché al pagamento di Euro 1500,00 per responsabilità aggravata. Sussistono i presupposti per il pagamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo dovuto per legge a titolo di contributo unificato. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.