11 centesimi alla volta… il valore di una class action può diventare considerevole

Da una causa in cui si obbliga un gestore di servizi alla restituzione di una cifra risibile nei confronti di un utente, per la quale, soprattutto, si arriva fino in Cassazione, si ha la possibilità di analizzare meglio l’opportunità e il fondamento logico delle class actions e la considerabilità o meno dell’esecuzione forzata per cause dal valore infimo

Così la Corte di Cassazione con le sentenze n. 1565/17 e 1566/17, depositate il 20 gennaio. Il caso. In due distinti procedimenti, la Telecom Italia s.p.a. veniva condannata da due giudici di pace alla restituzione di 0.11 €, pari all’ Iva applicata sulle spese postali di spedizione di una fattura . Avverso tali pronunce la società proponeva prima appello, e, una volta che quest’ultimo era stato rigettato, ricorso per Cassazione. Con unico motivo di doglianza, in entrambi i casi, la Telecom lamenta che la dichiarazione di inammissibilità dell’appello fosse erronea, in quanto il Tribunale aveva ritenuto che la controversia fosse decisa in via equitativa dal Giudice di pace ex art. 113 c.p.c. , non essendovi stata prova della conclusione del contratto con moduli o formulari. A ciò la ricorrente deduce la notorietà del fatto che un contratto concluso con una società quale la stessa, che fornisce servizi, specialmente nel campo delle comunicazioni, sarebbe contratto per adesione e, per altro verso, che il giudice di pace aveva espressamente asserito di decidere secondo diritto . Per questi motivi la qualificazione della decisione poteva essere discussa nuovamente dal Tribunale solo se proposta tramite appello incidentale. Il valore infimo della causa e l’art. 24 Cost Le resistenti, esperito controricorso, lamentano che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse della Telecom. A tal proposto, vi è un principio di diritto dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo, secondo il quale vi sarebbe difetto di interesse a promuovere l’espropriazione forzata qualora il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, sia di entità economica oggettivamente minima . Da ciò non deriverebbe violazione dell’art. 24 Cost., in quanto il diritto d’azione e la sua tutela vanno comunque contemperati con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi . E promuovere procedimenti per cause dal valore risibile potrebbe risultare in una compressione del diritto di tutti ad uno svolgimento regolare dei processi, contribuendo ulteriormente ad ingolfare la già lenta macchina giudiziaria. Secondo la Cassazione, comunque, il riferimento all’articolo della Costituzione non può essere applicato in fase cognitiva, durante la quale una sua applicazione comporterebbe che l’esclusione del diritto d’azione per lo scarso valore economico della pretesa ridondi a danno dello stesso resistente che ha agito in giudizio proponendo la domanda. Il valore della controversia nelle class actions. Essendo questa una controversia insorta tra utente di un servizio e il gestore dello stesso, il valore della controversia non può essere valutato solo dal lato del primo, ma deve essere considerato anche il punto di vista del secondo. Vista così, non si tratterebbe di valore infimo della causa, visto che di controversie del tipo di specie ve ne sono numerose altre , come testimoniato anche dalla doppia sentenza in esame. Secondo gli Ermellini, l’oggetto della controversia è certamente tale da essere riconducibile a quello delle cd. class actions in queste, ad esempio, non sono previste limitazioni per il valore del singolo consumatore o utente che vi partecipi, potendo così accadere che singolarmente il valore economico degli identici diritti tutelati sia infimo . Inoltre, l’azione di classe non è obbligatoria per il consumatore, il quale può anche decidere di non agire o agire singolarmente per questo non possono stabilirsi limiti legati al valore economico neanche in sede di esercizi di azione individuale. Il ricorso deve essere quindi accolto e la sentenza deve essere cassata, con pronuncia sul merito di accoglimento dell’appello della Telecom contro le sentenze del giudice di pace.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 13 dicembre 2016 – 20 gennaio 2017, n. 1565 Presidente Amendola – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue § 1. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, contro L.E. , nella qualità di erede di A.A. , avverso la sentenza n. 1234/2014, con cui il Tribunale di Benevento in data 18 maggio 2014, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’odierna ricorrente contro la sentenza n. 161 del 2012 del Giudice di Pace di Vitulano, con cui la Telecom Italia s.p.a. era stata condannata alla restituzione, in favore dell’intimata, dell’importo di Euro 0,11, pari all’IVA applicata sulle spese postali di spedizione di una fattura, relativa al rapporto di utenza inter partes, assumendo tale importo come non dovuto e l’IVA come erroneamente applicata. § 2. L’intimata ha resistito con controricorso. § 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., applicabile al ricorso nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 197 del 2016, di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 168 del 2016, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma e ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. § 4. Parte resistente ha depositato memoria. Considerato quanto segue § 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c. sono state svolte le seguenti considerazioni § 3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., in quanto appare manifestamente fondato. Queste le ragioni. § 4. Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’ art. 1342 c.c., nonché degli artt. 113 e 339 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 343 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. . Vi si lamenta che, per ritenere inammissibile l’appello evidentemente per i motivi dedotti , erroneamente il Tribunale abbia ritenuto che la controversia fosse stata decisa dal primo giudice in via equitativa, escludendo che si potesse ritenere il contrario ai sensi del terzo comma dell’art. 113 c.p.c., in quanto non vi sarebbe stata prova della conclusione del contratto con moduli o formulari. La ricorrente deduce, per un verso - evocando giurisprudenza della Corte Cass. nn. 4948 del 2013, 4949 del 2013, 4950 del 2013, 4951 del 2013, 4953 del 2013, 4955 del 2013 - che sarebbe fatto notorio quello che il contratto concluso con una società di fornitura di servizi sarebbe contratto per adesione e, per altro verso, che il giudice di pace aveva espressamente asserito di decidere secondo diritto, di modo che solo tramite un appello incidentale la qualificazione della controversia ai fini della regola di decisione avrebbe potuto essere ridiscussa in appello dal Tribunale. § 4.1. Entrambe le deduzioni appaiono fondate e, pertanto, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata, perché l’appello era ammissibile. Parte ricorrente chiede che la cassazione venga disposta senza rinvio, ricorrendo le condizioni per la decisione nel merito con il rigetto della domanda alla stregua della giurisprudenza della Corte. Al riguardo la ricorrente evoca le ordinanze nn. 17526/2013, 17613/2013, 17614/2013, 17797/2013, 17798/2013, 17800/2013, 17517/2013, 17531/2103, 7843/2014, 7844/2014, 7845/2014, 8226/2014, 7835/2014, 7836/2014, 5459/2014 e 5461/2014. Il Collegio potrà valutare la richiesta. . § 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione. § 2.1. Nella memoria parte resistente, peraltro, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per cassazione evocando Cass. n. 4228 del 2015, per sostenere che difetterebbe l’interesse della ricorrente alla sua proposizione. Senonché, in disparte ogni valutazione sulla condivisibilità del detto precedente, si deve rilevare in primo luogo che esso viene invocato in modo non pertinente, perché ha avuto ad oggetto l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata. Infatti, il principio di diritto enucleato dalla decisione dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo è stato il seguente In tema di procedimento esecutivo, qualora il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, sia di entità economica oggettivamente minima, difetta, ex art. 100 cod. proc. civ., l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata, dovendosi escludere che ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost. in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi ex art. 111 Cost. e 6 CEDU. Nella specie, il creditore, dopo aver ricevuto il pagamento della complessiva somma portata in precetto, pari ad Euro 17.854,94, aveva ugualmente avviato la procedura esecutiva, nelle forme del pignoramento presso terzi, per l’intero importo, deducendo, nel corso della procedura stessa, l’esistenza di un residuo credito di Euro 12,00 a titolo di interessi maturati tra la data di notifica del precetto e la data del pagamento . Ove, tuttavia, il riferimento all’art. 24 della Costituzione si intendesse suggerire un principio applicabile all’esercizio dell’azione di cognizione, come parrebbe emergere dalla lettura della motivazione, la quale fa riferimento anche all’interesse ad agire in sede cognitiva, si dovrebbe rilevare che la sua applicazione comporterebbe, in modo paradossale per chi l’ha invocato, che l’esclusione del diritto di azione per lo scarso valore economico della pretesa ridondi a danno dello stesso resistente, in quanto è lui che ha agito in giudizio introducendo una domanda di valore economico infimo. Poiché il detto infimo valore, secondo la logica accolta dal citato precedente, avrebbe precluso l’esperibilità dell’azione, l’applicazione del criterio di valutazione adoperato dal precedente stesso imporrebbe in questa sede di cassare la sentenza senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c. perché l’azione non poteva essere proposta. Né potrebbe pensarsi che la preclusione operi solo per chi eserciti il diritto di azione per un infimo importo economico in sede di impugnazione, tanto allorquando, come nella specie, il valore della causa anche in sede di impugnazione è rimasto il medesimo e non si è ridotto per fenomeni di acquiescenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c. rispetto a quello originario. Il Collegio osserva, comunque, che, avuto riguardo alla natura della controversia ed essendo evidente essa è di identico oggetto rispetto a numerose altre, dato che è controversia insorta fra l’utente di un servizio pubblico ed un gestore, indipendentemente dal rilievo che il valore della controversia, quando al quid disputandum , non potrebbe essere considerato dal solo versante dell’utente, ma andrebbe considerato anche da del gestore, di modo che allora non si tratterebbe di valore infimo sempre sulla base del criterio di valutazione dell’ homo economicus , assumerebbe rilievo comunque ostativo all’estensione del principio di diritto sopra ricordato un dato normativo l’oggetto della presente controversia è certamente tale da essere riconducibile a quello per cui il legislatore ha previsto la c.d. azione di classe con la disposizione dell’art. 140- bis del d.lgs. n. 205 del 2006, modificata dal d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 27 del 2012. Ebbene, l’azionabilità della pretesa di classe è stata prevista dal legislatore senza alcuna limitazione per il valore del singolo consumatore o utente che vi partecipino, potendo così accadere che singolarmente il valore economico degli identici diritti tutelati sia infimo. Poiché l’azione di classe non è obbligatoria e il consumatore o utente può agire singolarmente, è palese che l’assenza di limitazioni di valore economico della pretesa noli può non operare anche in sede di esercizi di azione individuale. § 2.2. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la sentenza dev’essere cassata perché l’appello era ammissibile. Non occorrendo accertamenti di fatto, ricorrono le condizioni per decidere nel merito con l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza del primo giudice, da cui consegue il rigetto della domanda della parte attrice. Le spese delle fasi di merito, sulle quali questa Corte deve provvedere, possono essere integralmente compensate, giacché è notorio che nella giurisprudenza di merito la questione di diritto dell’efficacia della normativa oggetto di giudizio è stata decisa in modi opposti. Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 140 del 2012. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Pronunciando sul merito, accoglie l’appello della Telecom contro la sentenza del Giudice di Pace di Vitulano e rigetta la domanda degli intimati. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna gli intimati alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seicento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 13 dicembre 2016 – 20 gennaio 2017, n. 1566 Presidente Amendola – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue § 1. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, contro G.G. avverso la sentenza n. 1232/2014, con cui il Tribunale di Benevento in data 18 maggio 2014, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’odierna ricorrente contro la sentenza n. 159 del 2012 del Giudice di Pace di Vitulano, con cui la Telecom Italia s.p.a. era stata condannata alla restituzione, in favore dell’ intimata, dell’importo di Euro 0,11, pari all’IVA applicata sulle spese postali di spedizione di una fattura, relativa al rapporto di utenza inter partes , assumendo tale importo come non dovuto e l’IVA come erroneamente applicata. § 2. L’intimata ha resistito con controricorso. § 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., applicabile al ricorso nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 197 del 2016, di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 168 del 2016, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma e ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. § 4. Parte resistente ha depositato memoria. Considerato quanto segue § 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c. sono state svolte le seguenti considerazioni § 3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., in quanto appare manifestamente fondato. Queste le ragioni. § 4. Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1342 c.c., nonché degli artt. 113 e 339 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 343 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. . Vi si lamenta che, per ritenere inammissibile l’appello evidentemente per i motivi dedotti , erroneamente il Tribunale abbia ritenuto che la controversia fosse stata decisa dal primo giudice in via equitativa, escludendo che si potesse ritenere il contrario ai sensi del terzo comma dell’art. 113 c.p.c., in quanto non vi sarebbe stata prova della conclusione del contratto con moduli o formulari. La ricorrente deduce, per un verso - evocando giurisprudenza della Corte Cass. nn. 4948 del 2013, 4949 del 2013, 4950 del 2013, 4951 del 2013, 4953de1 2013, 4955 del 2013 - che sarebbe fatto notorio quello che il contratto concluso con una società di fornitura di servizi sarebbe contratto per adesione e, per altro verso, che il giudice di pace aveva espressamente asserito di decidere secondo diritto, di modo che solo tramite un appello incidentale la qualificazione della controversia ai fini della regola di decisione avrebbe potuto essere ridiscussa in appello dal Tribunale. § 4.1. Entrambe le deduzioni appaiono fondate e, pertanto, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata, perché l’appello era ammissibile. Parte ricorrente chiede che la cassazione venga disposta senza rinvio, ricorrendo le condizioni per la decisione nel merito con il rigetto della domanda alla stregua della giurisprudenza della Corte. Al riguardo la ricorrente evoca le ordinanze nn. 17526/2013, 17613/2013, 17614/2013, 17797/2013, 17798/2013, 17800/2013, 17517/2013, 17531/2103, 7843/2014, 7844/2014, 7845/2014, 8226/2014, 7835/2014, 7836/2014, 5459/2014 e 5461/2014. Il Collegio potrà valutare la richiesta. . § 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione. § 2.1. Nella memoria parte resistente, peraltro, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per cassazione evocando Cass. n. 4228 del 2015, per sostenere che difetterebbe l’interesse della ricorrente alla sua proposizione. Senonché, in disparte ogni valutazione sulla condivisibilità del detto precedente, si deve rilevare in primo luogo che esso viene invocato in modo non pertinente, perché ha avuto ad oggetto l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata. Infatti, il principio di diritto enucleato dalla decisione dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo è stato il seguente In tema di procedimento esecutivo, qualora il credito, di natura esclusivamente patrimoniale, sia di entità economica oggettivamente minima, difetta, ex art. 100 cod. proc. civ., l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata, dovendosi escludere che ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost. in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi ex art. 111 Cost. e 6 CEDU. Nella specie, il creditore, dopo aver ricevuto il pagamento della complessiva somma portata in precetto, pari ad Euro 17.854,94, aveva ugualmente avviato la procedura esecutiva, nelle forme del pignoramento presso terzi, per l’intero importo, deducendo, nel corso della procedura stessa, l’esistenza di un residuo credito di Euro 12,00 a titolo di interessi maturati tra la data di notifica del precetto e la data del pagamento . Ove, tuttavia, il riferimento all’art. 24 della Costituzione si intendesse suggerire un principio applicabile all’esercizio dell’azione di cognizione, come parrebbe emergere dalla lettura della motivazione, la quale fa riferimento anche all’interesse ad agire i sede cognitiva, si dovrebbe rilevare che la sua applicazione comporterebbe, in modo paradossale per chi l’ha invocato, che l’esclusione del diritto di azione per lo scarso valore economico della pretesa ridondi a danno dello stesso resistente, in quanto è lui che ha agito in giudizio introducendo una domanda di valore economico infimo. Poiché il detto infimo valore, secondo la logica accolta dal citato precedente, avrebbe precluso l’esperibilità dell’azione, l’applicazione del criterio di valutazione adoperato dal precedente stesso imporrebbe in questa sede di cassare la sentenza senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c. perché l’azione non poteva essere proposta. Né potrebbe pensarsi che la preclusione operi solo per chi eserciti il diritto di azione per un infimo importo economico in sede di impugnazione, tanto allorquando, come nella specie, il valore della causa anche in sede di impugnazione è rimasto il medesimo e non si è ridotto per fenomeni di acquiescenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c. rispetto a quello originario. Il Collegio osserva, comunque, che, avuto riguardo alla natura della controversia ed essendo evidente essa è di identico oggetto rispetto a numerose altre, dato che è controversia insorta fra l’utente di un servizio pubblico ed un gestore, indipendentemente dal rilievo che il valore della controversia, quando al quid disputandum , non potrebbe essere considerato dal solo versante dell’utente, ma andrebbe considerato anche da del gestore, di modo che allora non si tratterebbe di valore infimo sempre sulla base del criterio di valutazione dell’ homo economicus , assumerebbe rilievo comunque ostativo all’estensione del principio di diritto sopra ricordato un dato normativo l’oggetto della presente controversia è certamente tale da essere riconducibile a quello per cui il legislatore ha previsto la c.d. azione di classe con la disposizione dell’art. 140- bis del d.lgs. n. 205 del 2006, modificata dal d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 27 del 2012. Ebbene, l’azionabilità della pretesa di classe è stata prevista dal legislatore senza alcuna limitazione per il valore del singolo consumatore o utente che vi partecipino, potendo così accadere che singolarmente il valore economico degli identici diritti tutelati sia infimo. Poiché l’azione di classe non è obbligatoria e il consumatore o utente può agire singolarmente, è palese che l’assenza di limitazioni di valore economico della pretesa non può non operare anche in sede di esercizi di azione individuale. § 2.2. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la sentenza dev’essere cassata perché l’appello era ammissibile. Non occorrendo accertamenti di fatto, ricorrono le condizioni per decidere nel merito con l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza del primo giudice, da cui consegue il rigetto della domanda della parte attrice. Le spese delle fasi di merito, sulle quali questa Corte deve provvedere, possono essere integralmente compensate, giacché è notorio che nella giurisprudenza di merito la questione di diritto dell’efficacia della normativa oggetto di giudizio è stata decisa in modi opposti. Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 140 del 2012. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Pronunciando sul merito, accoglie l’appello della Telecom contro la sentenza del Giudice di Pace di Vitulano e rigetta la domanda degli intimati. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna gli intimati alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seicento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.