Provvedimenti sui minori con doppia cittadinanza: decide il giudice dello Stato di residenza abituale

Ai fini del riparto della giurisdizione e della individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori con doppia cittadinanza non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 4 della Convenzione de L’Aja, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale. Pertanto, deve ritenersi sussistere la giurisdizione dello Stato che presenti col minore il collegamento più stretto, che va individuato con lo Stato in cui il minore ha residenza abituale.

E’ quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 1310 depositata il 19 gennaio 2017. Il caso. Il giudizio nasce dalla domanda di affidamento e mantenimento di un minore promossa nell’ambito di un giudizio di separazione personale. Il Tribunale adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, rilevando che, al momento della proposizione della domanda, il minore si trovava in Brasile. Impugnata la decisione, la Corte d’appello riformava la pronuncia sul presupposto che il luogo di residenza abituale dell’intero nucleo familiare fosse in Italia in particolare, veniva ritenuta irrilevante la circostanza che il minore si trovasse momentaneamente in Brasile in quanto ivi illegittimamente trattenuto dalla madre. Quest’ultima si rivolgeva, quindi, alla Corte di Cassazione. Giurisdizione in materia di provvedimenti a protezione del minore. Sotto un primo profilo, la ricorrente invoca l’applicazione degli artt. 3 e 4 della Convenzione de L’Aja, che attribuiscono rilievo allo Stato di cui il minore è cittadino. Nel respingere il motivo di ricorso, i Giudici di legittimità rilevano, innanzitutto, che il minore aveva doppia cittadinanza, italiana e brasiliana. Detta circostanza – a giudizio degli Ermellini – rendeva applicabile il principio per il quale, ai fini del riparto della giurisdizione e della individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta cfr. Cass. SS.UU. n. 1/01 quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione dell’art. 42 l. n. 218/1995, il quale rinvia alla Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961. Nel caso di minore con doppia cittadinanza, poi, non può applicarsi l’art. 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale. Alla luce di ciò, deve quindi ritenersi sussistente la giurisdizione dello Stato che presenti col minore il collegamento più stretto, individuato con lo Stato in cui il minore ha residenza abituale. Criterio della residenza abituale del minore. Invero, la pronuncia innanzi richiamata ha escluso l’applicabilità dell’art. 19 l. n. 218/1995, che prevede, tra più cittadinanze, la prevalenza di quella italiana, in quanto, essendo – in quella fattispecie – i cittadini interessati cittadini dell’Unione Europea, ciò avrebbe dato luogo ad una discriminazione fondata sulla nazionalità, vietata dall’art. 12 del Trattato CE. Tuttavia, le Sezioni Unite osservano che le disposizioni di cui agli artt. 13 e ss., e quindi anche l’art. 19, riguardano il diritto applicabile a determinati rapporti di diritto internazionale, mentre l’art. 42 riguarda la giurisdizione. Pertanto, ciò che rileva nella concreta fattispecie è unicamente l’art. 42 l. n. 218, che appunto richiama la Convenzione de L’Aja, il cui art. 1 dispone la competenza delle autorità di residenza abituale del minore sulle misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni. Esclusa, quindi, l’applicabilità degli artt. 3 e 4, e considerato che la Corte di merito, con accertamento in fatto adeguatamente motivato, ha individuato in Italia la residenza abituale del minore al momento della domanda, correttamente è stata ritenuta sussistente la giurisdizione italiana.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 20 dicembre 2016 – 19 gennaio 2017, n. 1310 Presidente Rordorf – Relatore Didone Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1.- La ricorrente ha proposto ricorso per cassazione - affidato a tre motivi contro la sentenza con la quale la Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione del tribunale, ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in ordine alla domanda di affidamento e mantenimento del figlio minore T. proposta dal coniuge della ricorrente nell’ambito del giudizio di separazione personale promosso dinanzi al Tribunale di Pisa. Resiste con controricorso il coniuge della ricorrente. Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno depositato memoria. 1.1.- La Corte di merito ha ritenuto applicabile la Convenzione Internazionale dell’Aja del 1961 e il criterio di collegamento della residenza abituale del minore in luogo del Regolamento CE 2001/2003 ritenuto applicabile dal tribunale. Ha affermato che, in virtù dell’art. 5 c.p.c., richiamato dall’art. 8 della l. n. 218/1995, la giurisdizione andava determinata con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, con irrilevanza dei mutamenti successivi. Ha accertato che, alla data del 20 dicembre 2012, alla luce di sentenza pronunciata tra le parti che aveva respinto la domanda della madre per il rientro in Brasile dell’altro figlio minore, E.D. , divenuta definitiva, risultava che il luogo di residenza abituale dell’intero nucleo familiare andava individuato in Pontedera. Pertanto, la circostanza che nel dicembre 2012 il minore T. si trovasse in Brasile doveva essere intesa nel senso che tale luogo costituiva quello dell’illecito trattenimento da parte della madre, come tale ininfluente ai fini della individuazione del giudice avente giurisdizione sui provvedimenti inerenti il minore medesimo. Infine, le deduzioni dell’appellata fondate su provvedimenti provvisori emessi dal giudice brasiliano, il quale aveva già ritenuto la propria competenza, erano inammissibili perché tendenti ad introdurre una circostanza nuova, mai dedotta in primo grado e non adeguatamente documentata, avendo la G. prodotto con la comparsa di risposta copia di due provvedimenti del Tribunale di Sergipe non tradotti in lingua italiana. 2.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e nullità del procedimento lamentando che sia stata attribuita efficacia di giudicato a sentenza che aveva pronunciato in relazione a figlio minore diverso da T. , il quale si trovava in Brasile con la madre, talché in virtù della Convenzione del 1961 solo il giudice brasiliano poteva accertare l’avvenuta sottrazione internazionale di minore. Invoca un provvedimento con il quale le autorità brasiliane hanno escluso di dare corso alla domanda di rientro di T. presentata dal padre e un provvedimento della magistratura brasiliana notificata l’11 giugno 2014 che in via cautelare ha disposto l’affidamento del minore predetto alla madre. 2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della Convenzione dell’Aja del 1961 sulla protezione dei minori nonché dell’art. 42 della l. n. 218/1995 lamentando che la corte di appello abbia tenuto conto della decisione del Tribunale per i minorenni di Firenze traendone una conseguenza ulteriore riguardante T. nonostante i giudici italiani fossero incompetenti. Inoltre, la decisione del tribunale per i minorenni sarebbe in contraddizione con decisione assunta da autorità competente ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1980 in tema di sottrazione di minori. Deduce che l’art. 1 della Convenzione deve essere letto unitamente agli artt. 3 e 4 della stessa Conv. che attribuiscono rilievo allo Stato di cui il minore è cittadino. Nel caso concreto T. ha la doppia cittadinanza e dovrebbe prevalere la cittadinanza effettiva, ossia quella brasiliana, visto che da quattro anni il minore vive in Brasile. La ricorrente richiama il principio enunciato da queste Sezioni unite con la sentenza n. 1 del 9/1/2001. 2.3.- Con il terzo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 8, 12 e 13 della Convenzione dell’Aja del 1980 l. n. 64/1994 nonché dell’art. 8 della CEDU, dell’art. 3 Conv. New York l. n. 176/1991 e art. 117 Cost Secondo la parte ricorrente, i giudici del merito non hanno tenuto conto del superiore interesse del minore omettendo di valutare il contesto di vita familiare e sociale nel quale è inserito il minore T. e il rapporto che il minore ha con la madre in Brasile. La necessità di tenere conto di tali esigenze impone di attribuire la competenza ai giudici del luogo nel quale il minore si trova. 3.- Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità della documentazione prodotta in udienza dalla ricorrente perché non relativa ai fatti processuali di cui all’art. 372 c.p.c 4.- Il ricorso deve essere rigettato. Occorre premettere che la sentenza della corte di merito, nella parte in cui ha ritenuto inammissibili, perché nuove, le argomentazioni fondate su provvedimenti del giudice brasiliano tardivamente e non ritualmente prodotti, non è stata neppure genericamente impugnata. Talché le censure che su quei provvedimenti sono fondate, sono inammissibili. Anche la censura che si fonda sugli artt. 3 e 4 della Convenzione dell’Aja e sulla cittadinanza del minore T. è infondata perché, come è dedotto dalla stessa ricorrente, il minore ha doppia cittadinanza, italiana e brasiliana. Circostanza che rende applicabile il principio enunciato da queste Sezioni unite con sentenza n. 1/2001, invocata proprio dalla ricorrente per il quale ai fini del riparto della giurisdizione e della individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta pertanto quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 42 della legge n. 218 del 1995, il quale rinvia alla Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961 e, nel caso di minore con doppia cittadinanza, non può applicarsi l’articolo 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale. Pertanto deve ritenersi sussistere la giurisdizione dello Stato che presenti col minore il collegamento più stretto, che va individuato con lo Stato in cui il minore ha la residenza abituale. Per vero, la pronuncia innanzi richiamata Sez. U, n. 1/2001 ha escluso l’applicabilità dell’art. 19 della legge n. 218 del 1995, che prevede, tra più cittadinanze, la prevalenza di quella italiana, in quanto, essendo i soggetti interessati - nella vicenda allora decisa - cittadini dell’Unione Europea, avrebbe dato luogo ad una discriminazione fondata sulla nazionalità, vietata dall’articolo 12 del Trattato C.E. Sennonché, le disposizioni di cui agli artt. 13 e ss., e quindi anche l’art. 19, riguardano il diritto applicabile a determinati rapporti di diritto internazionale, mentre l’art. 42 riguarda la giurisdizione. Ciò che rileva nella concreta fattispecie è unicamente l’art. 42 della legge n. 218, che richiama la Convenzione de L’Aja del 1961, adottata il 5 ottobre 1961, Ratificata e resa esecutiva con la Legge 24 ottobre 1980 n. 742, il cui art. 1 dispone che Le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, salve le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso, della presente Convenzione, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni . Esclusa, per le ragioni innanzi indicate, l’applicabilità degli artt. 3 e 4, e considerato che la corte di merito, con accertamento in fatto adeguatamente motivato, ha individuato in Pontedera, quindi in Italia, la residenza abituale del minore al momento della domanda art. 5 c.p.c. e 8 l. n. 218/1995 , correttamente è stata ritenuta sussistente la giurisdizione italiana. Invero, la corte di merito ha fatto applicazione del principio per il quale, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo Sez. U, n. 13916 del 2006 . Dunque, correttamente ha tenuto fermo l’accertamento operato tra le parti in altro giudizio, nel senso dell’effettivo radicamento del minore a Pontedera e sulla mancanza di una decisione comune dei genitori in ordine al trasferimento del nucleo familiare in Brasile così Sez. 1, n. 16648 del 2014, che ha reso definitiva la decisione del tribunale per i minorenni in relazione al rientro dell’altro figlio minore , ritenendo, per converso, illecito, ai sensi dell’art. 3 Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, il mancato rientro in Italia del minore T. . 5.- Quanto al terzo motivo, va rilevato innanzitutto che il parametro della residenza abituale, posto a salvaguardia della continuità affettivo relazionale del minore, non è in contrasto ma, al contrario, valorizza la preminenza dell’interesse del minore Sez. 1, n. 16648 del 2014 . Il giudice del merito, nel privilegiarlo, ha escluso che sussistessero condizioni fattuali ostative alla scelta della conservazione del luogo ove si era svolta in passato la sua vita pag. 13 decreto impugnato . D’altra parte, il parametro CEDU costituito dall’art. 8 della Convenzione entrerà in gioco quando - stabilita la giurisdizione del giudice alla luce del criterio della residenza abituale del minore - saranno in concreto assunti i provvedimenti relativi all’affidamento e al diritto di visita. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.