Atto di appello e il principio di libertà delle forme

La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di proporre, nell’ipotesi di appello formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite ma è tenuto solamente a riproporle nella nuova fase di giudizio in modo chiaro e preciso.

Le eccezioni e le domande non accolte in primo grado possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea a evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse detta, tuttavia, deve essere fatta in modo specifico non essendo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte in primo grado. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte di Cassazione si è vista chiamare a decidere sul preteso error in procedendo del Giudice di gravame il quale, a dire del ricorrente, non avrebbe potuto pronunciarsi su due domande in quanto implicitamente rinunciate poiché non riproposte in sede d’appello. La parte completamente vittoriosa non ha l’obbligo di proporre appello incidentale. Qualora nel giudizio di primo grado il Giudice ritenga assorbite le eccezioni formulate dalla parte poi risultata vittoriosa quest’ultima, al fine di riproporle nella fase di gravame, non ha l’obbligo processuale di proporre un appello incidentale ma, diversamente, deve unicamente riproporle nel giudizio di appello in modo chiaro e non equivoco. Ciò in quanto la completa vittoria del giudizio è incompatibile con la proposizione di un appello incidentale. Appello e libertà delle forme. Il Supremo Collegio, inoltre, ha avuto modo di argomentare che l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ai sensi dell’art. 346 codice di rito ha l’obbligo di ripresentare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado. Tuttavia, nel rispetto del principio della libertà delle forme, dette possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea a evidenziare la volontà di riaprire la discussione sui temi decisi. Ne consegue che la riproposizione deve essere effettuata in modo specifico non essendo sufficiente il generico richiamo alle difese di primo grado. La liquidazione delle spese di lite. Infine la Corte ha avuto modo di osservare che il criterio della soccombenza, al fine di attribuire le spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che, in qualche grado di giudizio, la parte definitivamente soccombente abbia conseguito un esito favorevole.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 ottobre 2016 – 11 gennaio 2017, n. 413 Presidente Ambrosio – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- Il Tribunale di Sulmona accoglieva parzialmente le domande proposte da M.G. nei confronti del Comune di Castel di Sangro, il quale aveva chiamato in causa a titolo di garanzia C.A. per quanto qui ancora rileva, il giudice di primo grado accertava la responsabilità del Comune conduttore per i danni arrecati all’immobile dalla subconduttrice C. e condannava direttamente quest’ultima, ai sensi dell’art. 1595 cod. civ., a pagare al locatore M. , a titolo di risarcimento, la somma di Euro 1.849,37, oltre rivalutazione ed interessi, con compensazione delle spese di lite tra tutte le parti. 2.- Proposto appello principale da parte del M. ed incidentale da parte della C. e del Comune di Castel di Sangro, la Corte di appello di L’Aquila, con la sentenza qui impugnata, pubblicata l’11 febbraio 2013, ha accolto parzialmente gli appelli ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Comune di Castel di Sangro al pagamento, a titolo risarcitorio, in favore di M.G. della somma complessiva di Euro 1849,37, oltre accessori ha condannato altresì C.A. a tenere indenne il Comune di quanto sarebbe stato costretto a pagare al M. in forza della predetta condanna ha compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio. 3.- La sentenza è impugnata da C.A. e C.P. , quali uniche eredi legittime di C.A. , con due motivi. M.G. si difende con controricorso e memoria. Il Comune di Castel di Sangro non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1.- Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal resistente, che ne denuncia la tardività per essere decorso il termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis , tra la data di pubblicazione della sentenza 11 febbraio 2013 e la data di inoltro del ricorso per la notificazione a mezzo del servizio postale 31 marzo 2014 . La deduzione non tiene conto del fatto che il 29 marzo 2014, data della scadenza annuale, era sabato. Perciò, ai sensi dell’art. 155, comma quinto, cod. proc. civ. la cui applicazione è stata estesa a tutti i giudizi pendenti alla data del 10 marzo 2006 dall’art. 58, comma terzo, della legge 18 giugno 2009, n. 69 , il ricorso è tempestivo. 2.- Il primo motivo, col quale si contesta la condanna di Anna C. a tenere indenne il Comune di Castel di Sangro di quanto avrebbe pagato a M.G. , a titolo di risarcimento danni, è articolato in plurime censure, così enunciate in rubrica ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità quanto meno parziale della sentenza conseguente a violazione, per mancata e/o errata applicazione, dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 329, comma 2, 333 e 343 c.p.c., o comunque, quatenus opus, in relazione all’art. 346 c.p.c.” . Il mezzo pone le seguenti due contestazioni - il giudice d’appello non avrebbe potuto condannare la C. a tenere indenne il Comune di Castel di Sangro, poiché questo non aveva proposto appello incidentale, eventualmente condizionato, al fine di insistere nella domanda, avanzata invece in primo grado, di condanna della C. a tenerlo indenne da ogni pagamento che avrebbe dovuto corrispondere al M. - comunque, il giudice d’appello non avrebbe potuto condannare la C. perché il Comune non aveva riproposto quest’ultima domanda nemmeno ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. 2.1.- Quanto al primo, è sufficiente osservare che il Comune di Castel di Sangro nei rapporti con la C. era stato vittorioso in primo grado. Infatti, il Tribunale non aveva pronunciato condanna alcuna nei confronti del Comune ed aveva, invece, direttamente posto a carico della C. , terza chiamata, la condanna al pagamento della somma liquidata a titolo risarcitorio in favore dell’attore M.G. . Ne consegue l’applicabilità del principio di diritto, secondo cui La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. così Cass. n. 14086/10 cfr. anche Cass. n. 24021/10 . La sentenza è conforme a questo principio, quanto alla presupposta insussistenza dell’onere del Comune di avanzare appello incidentale, sia pure condizionato. Non sono pertinenti le decisioni richiamate in ricorso poiché attengono alla diversa ipotesi in cui, in primo grado, il chiamante in garanzia sia rimasto vittorioso soltanto nei confronti dell’attore soccombente e, proposto appello da parte di quest’ultimo, l’originario convenuto intenda essere garantito per il caso di accoglimento totale o parziale del gravame principale proposto nei suoi confronti dall’attore soccombente cfr. Cass. n. 19927/07 . Diverso è il caso di specie, in cui il convenuto Comune, chiamante in garanzia, è stato vittorioso anche su questa domanda, rispetto alla quale è stata soccombente la chiamata in garanzia, C.A. . 2.2.- In merito al secondo profilo di censura, va richiamato il principio di diritto secondo cui in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice così Cass. n. 10796/09, ma anche Cass. S.U. n. 25246/08, in motivazione, citata pure dalle ricorrenti . Il principio appena richiamato va inteso nel senso che, se è vero che la presunzione di rinuncia non è impedita da un richiamo agli atti del primo grado, qualora questo sia del tutto generico, sì da tradursi in una mera formula di stile, quando ciò non sia accaduto e l’appellato abbia soltanto omesso -come nel caso di specie - di riproporre espressamente una determinata domanda, occorre tenere conto dell’intero contenuto delle difese e della posizione complessivamente assunta dall’appellato. Quando questi, con qualsiasi forma, abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito, va escluso che vi abbia rinunciato. Questo criterio interpretativo si presta alla decisione del caso di specie. Infatti, il Comune di Castel di Sangro, pur non avendo espressamente riproposto la domanda di essere tenuto indenne dalla C. , si è costituito in appello ed ha resistito, oltre che all’appello principale del M. rispetto al quale ha proposto anche appello incidentale , anche all’appello incidentale della C. volto, tra l’altro, a contestare l’errore del primo giudice nel porre direttamente a suo carico la condanna al pagamento della somma liquidata in favore dell’attore . La posizione processuale assunta dal Comune nel giudizio di secondo grado è incompatibile con la rinuncia dell’ente territoriale alla domanda di manleva già avanzata nei confronti della C. . Al contrario, a prescindere dalle espressioni adoperate e dalla mancata esplicita riproposizione di questa domanda, detta posizione è del tutto coerente con la volontà di mantenerla ferma la resistenza ad entrambi gli appelli manifesta inequivocamente la volontà del Comune che fosse confermata la condanna della C. , non solo nei confronti del M. , ma eventualmente anche o soltanto nei propri confronti, a fini di manleva. Va perciò esclusa la presunzione di rinuncia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 346 cod. proc. civ. ed il giudice che ha deciso in conformità ritenendo ribadita in questa sede la domanda di manleva, come si legge in sentenza non ha errato per ultrapetizione. Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato. 2.- Col secondo motivo, le ricorrenti denunciano violazione degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, cod. proc. civ. al fine di censurare la compensazione delle spese del primo e del secondo grado di giudizio. 2.1.- Il motivo è inammissibile per carenza di interesse. C.A. è stata parte soccombente in entrambi i gradi, in particolare rispetto alla domanda di garanzia impropria sulla quale si insiste col motivo in esame. Riguardo alla distinzione che viene fatta dalle ricorrenti tra l’esito del primo grado e quello del secondo, è sufficiente richiamare il principio di diritto per il quale Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole così, tra le altre, Cass. ord. n. 6369/13 . Conseguentemente, in applicazione del criterio della soccombenza, di cui all’art. 91 cod. proc. civ., la C. avrebbe dovuto sopportare le spese di entrambi i gradi di giudizio. Le ricorrenti non hanno perciò interesse ad impugnare la decisione di compensazione, loro favorevole. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma l bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di M.G. , nell’importo complessivo di Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.