La proponibilità delle mere difese “in ogni fase del giudizio”

Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, con la sentenza n. 24952/16 depositata il 6 dicembre. Il caso. La Corte d’appello respingeva il gravame proposto dagli appellanti nei confronti della sentenza del Tribunale che li aveva condannati a pagare in favore di un Condominio una somma di denaro a titolo di rimborso spese di riparazione di un muro comune. In particolare la Corte rilevava che la contestazione sull’appartenenza del diritto controverso non attenesse alla legittimazione ad causam , ma alla fondatezza della domanda di merito, costituendo dunque eccezione in senso proprio e come tale non rilevabile d’ufficio e inammissibile se sollevata la prima volta in appello rilevava poi che non risultava provata l’assenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 882 c.c. perché gli appellanti avevano omesso di dimostrare la responsabilità di altri soggetti rilevava infine che la rinunzia parziale alla comproprietà del muro non è prevista dalla legge e non esonera dal dovere di contribuzione alle spese di riparazione. Gli appellanti ricorrono per cassazione. La prova dei fatti impeditivi. I ricorrenti lamentano di non essere mai stati comproprietari del muro non avendone mai acquistato la comunione sostengono la tesi della rilevabilità d’ufficio del difetto di legittimazione passiva in ogni stato e grado del giudizio, rilevando che già il Tribunale e di conseguenza la Corte territoriale avrebbe dovuto provvedere in tal senso poiché nel titolo di proprietà depositato nel giudizio di primo grado vi erano tutti gli elementi per risolvere la questione. Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 2951/2016 , hanno affermato il principio per cui le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti . La S.C. rileva che dagli atti del giudizio di primo grado non era rilevabile la prova dei fatti impeditivi della titolarità del diritto di comproprietà sul muro di cui si discute, e questo perché il titolo d’acquisto dei ricorrenti non fu prodotto davanti al Tribunale, ma solo in appello. Vero è che la titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda che l’attore ha l’onere di allegare e provare, ma è anche vero che la stessa può dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora questi la riconosca espressamente oppure svolga difese incompatibili con la negazione della titolarità Cass. n. 29051/2016 . Nel caso di specie, in primo grado il convenuto il Condominio si confrontava con una tesi difensiva che dava per scontata la comproprietà originaria del muro. Non si capisce dunque per quale ragione l’attore dovesse farsi carico di un ulteriore onere probatorio superfluo volto a dimostrare la comunione del muro. In ogni fase del giudizio”. L’errore in cui incorrono i ricorrenti, sostiene la Suprema Corte, è il richiamo sic et simpliciter alla regola della proponibilità delle mere difese in ogni fase del giudizio” senza però coordinarla con gli altri principi generali – tra i quali ricordiamo quello della prova della titolarità della posizione soggettiva desumibile anche dalle difese del convenuto e quello del divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345 c.p.c Il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 settembre – 6 dicembre 2016, n. 24952 Presidente Bianchini – Relatore Orilia Svolgimento del processo 1 La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 14.6.2011 ha respinto il gravame proposto da S.F. e P.A. contro la sentenza 6.8.2007 del Tribunale che li aveva condannati a pagare in favore del Condominio di via omissis la somma di Euro 9.832,89 pari al 50% dell’intero a titolo di rimborso spese di riparazione di un muro comune. Per giungere a tale soluzione la Corte piemontese ha osservato, per quanto qui interessa - che la contestazione sulla appartenenza del diritto controverso non attiene alla legittimazione ad causam , ma alla fondatezza della domanda nel merito, costituendo eccezione in senso proprio, come tale non rilevabile di ufficio e quindi inammissibile ex art. 345 cpc se sollevata per la prima volta in appello - che non risultava provata l’assenza delle condizioni per applicare l’art. 882 cc perché gli appellanti non avevano dimostrato la responsabilità di altri soggetti, né era ammissibile una indagine ufficiosa al riguardo - che la rinunzia parziale alla comproprietà del muro risultante dall’atto notarile prodotto dagli appellanti non è prevista dalla legge e comunque non esonera dal dovere di contribuire alle spese di riparazione. 2 Contro tale sentenza lo S. e la P. ricorrono per Cassazione con unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 cpc a cui resiste il Condominio di via omissis con controricorso. Motivi della decisione I ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 101, 102 e 345 cpc nonché l’omessa e insufficiente motivazione dolendosi del mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in appello. Affermano di non essere mai stati comproprietari del muro non avendone mai acquistato la comunione, come si evince dal loro atto di acquisto. Sostengono la tesi della rilevabilità di ufficio del difetto di legittimazione passiva in ogni stato e grado del giudizio, rilevando che già il Tribunale avrebbe dovuto provvedere in tal senso e lo stesso avrebbe dovuto fare la Corte d’Appello perché nel titolo di proprietà atto per notaio Podio depositato nel giudizio di primo grado vi erano tutti gli elementi per risolvere la questione. Questa censura è infondata, anche se si rende necessario correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 ultimo comma cpc, essendo comunque il dispositivo conforme al diritto. Le sezioni unite, intervenute di recente per dirimere un contrasto sulla natura giuridica della contestazione in ordine alla reale titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio, hanno affermato il principio secondo cui le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 Rv. 638372 . Nel caso che ci occupa, dagli atti del giudizio di primo grado non era certamente rilevabile la prova dei fatti impeditivi della titolarità del diritto di comproprietà sul muro su cui oggi i ricorrenti incentrano la loro difesa perché il loro titolo di acquisto l’atto per notaio Podio del 3.4.1980 non fu prodotto davanti al Tribunale, ma solo in appello, come si evince chiaramente dalla consultazione del fascicolo di parte che la natura procedurale del vizio dedotto consente di compiere in questa sede v. fascicolo di parte davanti al Tribunale e attestazione di deposito del 21.3.2011 in appello . È vero che, come affermato dalle sezioni unite, la titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare ma è altrettanto vero che - come pure precisato dalle sezioni unite - essa cioè la titolarità della posizione soggettiva, ndr può essere provata in positivo dall’attore, ma può dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità v. S.U. sentenza n. 29051/2016 cit. in motivazione Ebbene, in primo grado il Condominio era stato chiamato a confrontarsi con una tesi difensiva che dava assolutamente per scontata la comproprietà originaria del muro, tant’è che invocava un successivo atto di rinunzia parziale a tale comproprietà dunque non si vede perché mai, a fronte di una simile condotta processuale dei convenuti, l’attore dovesse farsi carico di un ulteriore onere probatorio - volto cioè a dimostrare che lo S. e la P. , unitamente alla loro unità abitativa, avevano acquistato anche la comunione del muro - onere non reso necessario dalla difesa avversaria, ma anzi reso superfluo v. in particolare atto di rinunzia parziale a comunione di muro in data 15.7.2002 regolarmente prodotto . Per le stesse ragioni, non può condividersi l’affermazione dei ricorrenti secondo cui anche il Tribunale aveva l’onere di rilevare di ufficio il difetto della titolarità dal lato passivo del rapporto. La produzione - lo si ripete - per la prima volta in appello dell’atto Podio da parte del nuovo difensore degli S. -P. si poneva decisamente in contrasto con la previsione dell’art. 345 cpc, trattandosi di documento nuovo e dunque il suo esame era precluso alla Corte torinese, non essendo stata neppure dedotta l’impossibilità, per causa non imputabile, della produzione in primo grado, o l’indispensabilità. Né - contrariamente a quanto sostenuto in ricorso - risulta che l’atto P. , perno della tesi oggi sostenuta dagli S. -P. , fosse stato prodotto in giudizio dal Condominio perché esso non si rinviene neppure nel fascicolo dell’attore del resto, nemmeno l’indice lo riporta . In conclusione, l’errore di fondo in cui mostrano di incorrere i ricorrenti - e lo dimostra chiaramente il contenuto della memoria ex art. 378 - sta nel richiamare sic et simpliciter la regola della proponibilità delle mere difese in ogni fase del giudizio senza però coordinarla con gli altri principi generali, come quello, pure richiamato dalle sezioni unite, della prova della titolarità della posizione soggettiva desumibile anche dalle difese del convenuto v. sopra e quello del divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345 cpc. Il ricorso va pertanto respinto con addebito di spese alla parte soccombente. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200.00 per esborsi oltre accessori di legge.