La morte dell’avvocato non sempre rileva ai fini della ragionevole durata del processo

Il decesso del difensore legale è, solitamente, causa di rallentamenti nel regolare sviluppo del procedimento. Ma questo non succede sempre la Cassazione, nella sentenza in commento, si occupa proprio di questi casi, con speciale attenzione alla loro rilevanza ai fini del conteggio della durata del processo.

Questo il tema di cui si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23451/16 depositata il 17 novembre. Il caso. Come spesso avviene, un processo celebrato dinanzi a un Tribunale italiano si protrae per un tempo esageratamente lungo. Nella vicenda in esame, l’irragionevole durata del processo, che si estende dal 2006 al 2012, viene anche formalmente riconosciuta dalla Corte d’appello di Caltanissetta, la quale condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di un indennizzo, in ottemperanza alle previsioni della cd. legge Pinto l. n. 89/2001 . Il giudice, tramite decreto, quantifica in due anni e otto mesi l’eccesso di durata del procedimento, ai quali, però, si ritiene debba essere detratto il segmento di otto mesi intercorso tra il decesso del difensore [] e la costituzione del nuovo difensore lasciando quindi una risarcibilità totale di due anni . Avverso tale decreto ricorre una sola parte del processo originario. Il conteggio del tempo nella legge Pinto. Il motivo di doglianza che interessa maggiormente è il secondo, nel quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. I, CEDU e dell’art. 2 della succitata legge Pinto. Prima di tutto, si dice, il diritto all’equa riparazione spetta a tutte le parti del giudizio presupposto, anche se contumaci secondariamente si specifica che il decesso dell’avvocato non aveva minimamente interferito con la durata del processo, atteso che l’udienza in cui la causa è stata decisa era quella originariamente fissata , motivo per il quale quegli otto mesi andrebbero anch’essi conteggiati ai fini del risarcimento. La Suprema Corte ritiene tale motivo fondato, richiamando una recente sentenza, la n. 23354/15, nella quale si era detto che il decesso del difensore, ove non venga dichiarato nel processo e non ne determini l’interruzione, appare del tutto ininfluente ai fini della determinazione della durata ragionevole del processo , a meno che a causa di quell’evento si sia comunque determinato un prolungamento dei tempi del giudizio . Questo, però, non è il caso della sentenza in esame, il che rende ingiustificata la detrazione del segmento temporale summenzionato. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 8 giugno – 17 novembre 2016, n. 26451 Presidente/Relatore Petitti Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'8 giugno 2016 dal Presidente relatore Dott. S.P Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Caltanissetta, il 16 luglio 2012, B.C. chiedeva la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento dell'indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Sicilia, con ricorso depositato il 4 maggio 2006 e deciso con sentenza depositata il 31 gennaio 2012 che l'adita Corte d'appello accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo che il giudizio presupposto, protrattosi per cinque anni e otto mesi, avesse avuto una durata irragionevole di due anni e otto mesi, dalla quale tuttavia, doveva essere detratto il segmento di otto mesi intercorso tra il decesso del difensore della ricorrente e la costituzione del nuovo difensore che, dunque, accertata una violazione del termine di durata ragionevole di due anni, la Corte d'appello liquidava un indennizzo di 1.500,00 euro che per la cassazione di questo decreto hanno proposto ricorso B.C., P.M., P.V., P.S. sulla base di tre motivi che l'intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della legge n. 89 del 2001, dell'art. 6, par. I, della CEDU e dell'art. 112 cod. proc. civ., in quanto la Corte d'appello ha pronunciato nei confronti della sola B.C.e non anche nei confronti degli altri ricorrenti che con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 6, par. I, della CEDU, dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001 nonché omesso esame di fatto decisivo, con riferimento alla detrazione effettuata dalla Corte d'appello del periodo intercorso tra il decesso del difensore e la costituzione del nuovo difensore, evidenziandosi come il diritto all'equa riparazione spetta a tutte le parti del giudizio presupposto, anche se contumaci con la precisazione che per effetto del decesso il giudizio presupposto non aveva subito alcuna interruzione, atteso che l'udienza in cui la causa è stata decisa era quella originariamente fissata che dunque, si sostiene, la irragionevole durata avrebbe dovuto essere determinata in due anni, otto mesi e sette giorni e l'indennizzo in curo 2.250,00 che con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 cod. proc. civ. e dell'ars. 2 del d.m. n. 55 del 2014, nonché omesso esame di fatto decisivo, e si censura il capo del decreto impugnato relativo alla disposta compensazione per metà delle spese di lite, giustificata dalla Corte d'appello solo con riferimento all'accoglimento parziale della domanda, in realtà inesistente atteso che la indicazione quantitativa era meramente indicativa ed era comunque accompagnata dalla precisazione o della somma maggiore o minore che verrà ritenuta congrua che il primo motivo di ricorso è fondato, atteso che dall'esame dell'atto introduttivo del giudizio dinnanzi alla Corte d'appello emerge chiaramente che la domanda di equa riparazione era stata proposta non solo da B.C., ma anche da P.M., P.V., P.S , i quali quindi hanno diritto anch'essi all'indennizzo per la irragionevole durata dle processo del quale sono stati parte che anche il secondo motivo è fondato che la Corte d'appello ha detratto dalla durata del giudizio presupposto il periodo intercorso tra il decesso del difensore e la costituzione del nuovo difensore, senza che il detto evento avesse provocato alcuna interferenza sul processo sino all'udienza in cui il ricorso è stato discusso e poi deciso che, invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare v. di recente, Cass. n. 23354 del 2015 , il decesso del difensore, ove non venga dichiarato nel processo e non ne determini l'interruzione, appare del tutto ininfluente ai fini della determinazione della durata ragionevole del processo, a meno che non si dimostri - ma ciò non emerge dal decreto impugnato - che a causa di quell'evento si sia comunque determinato un prolungamento dei tempi del giudizio che poiché, come rilevato, nella specie, ciò non emerge dal decreto impugnato, la detrazione dell'intero lasso di tempo intercorso tra il decesso del difensore e la costituzione del nuovo appare ingiustificata. che l'accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del terzo, concernente la disposta compensazione parziale delle spese del giudizio di merito che il decreto impugnato deve essere quindi cassato che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. che, invero, applicando il non contestato criterio di liquidazione individuato dalla Corte d'appello, detratta dalla durata complessiva del giudizio di cinque anni e nove mesi la durata ragionevole di tre anni, a ciascuno dei ricorrenti può essere liquidato un indennizzo complessivo di euro 2.062,50, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo che, dunque, il Ministero dell'economia e delle finanze deve essere condannato al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della indicata somma, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo che, quanto alle spese, le stesse seguono la soccombenza quelle del giudizio di merito, possono essere liquidate nella stessa misura già indicata dalla Corte d'appello, senza compensazione quelle del giudizio di cassazione, vanno liquidate nella misura di euro 800,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie che le spese, come liquidate, vanno poi distratte in favore del difensore delle ricorrenti, dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di euro 2.062,50, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo condanna inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio che liquida, quanto al grado di merito, in euro 1.198,50 per compensi, e, quanto al giudizio di legittimità, in curo 800,00, per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie dispone la distrazione delle spese del giudizio di cassazione in favore del difensore antistatario.