Il Consiglio di Stato può “sconfinare” nel merito purché non si sostituisca alla P.A.

Le decisioni del Giudice Amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione solo qualora detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato alla P.A. , compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità esclusiva.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23395/16 depositata il 17 novembre. Questioni di etichetta. Una nota cantina della zona del Barolo, unitamente ad altri undici proprietari e conduttori di terreni della medesima area impugnavano avanti al TAR Lazio il d.m. 30 settembre 2010 recante le modifiche del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllate e garantita Barolo” nella parte in cui consentiva ai produttori di integrare le loro etichette con menzioni geografiche aggiuntive. A sostegno delle domande dei ricorrenti intervenivano altresì i Comuni dell’area del Barolo. Il Giudice Amministrativo accoglieva le istanze dei ricorrenti rilevando il potenziale rischio di confusione ingenerato nel consumatore dalle norme del disciplinare impugnato. Denominazione di Origine Controllata o qualcosa di più? Il Consiglio di Stato, adito in appello dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ricostruito il quadro normativo di riferimento, accoglieva il gravame. Secondo i Giudici dell’appello, difatti, il principio ispiratore della normativa comunitaria e nazionale in materia enologica deve essere quello di evitare confusioni in capo ai consumatori e il d.m. impugnato era perfettamente coerente con la ratio di evitare fraintendimenti in quanto costringe i produttori a utilizzare le proprie indicazioni geografiche aggiuntive, maggiormente specifiche. Tale decisione veniva a sua volta impugnata avanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Decisioni del Consiglio di Stato e valutazioni di merito la Corte ammette sconfinamenti”, ma con dei limiti. I ricorrenti denunciavano, per quanto qui di interesse, l’asserito eccesso di potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato. I Giudici, difatti, secondo la ricostruzione fornita dai ricorrenti, avrebbero esteso la propria giurisdizione al merito della vicenda, sostituendosi all’Amministrazione coinvolta, operando valutazioni e comparazioni tra interessi commerciali dei singoli soggetti e interesse pubblico alla corretta denominazione dei prodotti. Tuttavia, secondo le Sezioni Unite – che hanno respinto il gravame – la valutazione della portata della nozione dell’indicazione geografica aggiuntiva, quale è dato rilevare dal d.m. impugnato, è stata condotta dal Consiglio di Stato alla stregua della ricostruzione normativa operata e i richiami a fattispecie concrete avevano un mero valore esemplificativo, anche con riguardo alle modalità di emersione della specifica problematica. La Corte ha difatti ricordato che, sulla scorta del costante orientamento espresso, le decisioni del Giudice Amministrativo sono difatti viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione solo qualora detto Giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato alla P.A. , compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità esclusiva.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 3 – 17 novembre 2016, n. 23395 Presidente Roselli – Relatore Amoroso Svolgimento del processo Ta Cantina M. di M.B. & amp C. Società Agricola s.s. e altri undici proprietari e conduttori di terreni in Barolo, Cuneo, nella zona vinicola [] , impugnarono davanti al Tribunale amministrativo regionale del Tazio il d.m. 30 settembre 2010, recante le modifiche del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita Barolo, nella parte in cui aveva consentito che la detta denominazione potesse essere seguita da menzioni geografiche aggiuntive. I ricorrenti ritenevano infatti ingiustificata l’estensione della menzione [] anche a zone di produzione che []non sono, chiamandosi, ad esempio, [] oppure [] , e non invece, rispettivamente, [][]o [] oppure []Nbscatel o [] . Nel giudizio intervennero, per l’accoglimento del ricorso, il Comune di Barolo e R.G. , e per il suo rigetto la società Cantine dei Marchesi di Barolo. Il giudice amministrativo accolse la domanda sul rilievo che le denominazioni geografiche individuate dal decreto ministeriale confondevano le denominazioni assegnate alle diverse zone, comportando confusione per il consumatore, e quindi violando la ratio della normativa comunitaria e nazionale in materia. Il Consiglio di Stato, adito in appello dal Ministero delle politiche agricole e forestali, ricostruito il quadro normative di riferimento, segnatamente con riguardo alla disciplina delle sottozone e delle indicazioni geografiche aggiuntive nella legislazione nazionale, dettata prima dalla legge n. 164 del 10 febbraio 1992 e successivamente dal d.lgs. 8 aprile 2010, n. 61, recante tutela delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell’art. 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88, e chiarita la funzione dell’indicazione geografica aggiuntiva, ha accolto il gravame considerato che l’obiettivo primario della normativa comunitaria e nazionale è quello di evitare confusioni fra i consumatori e che lo scopo della contestata previsione del d.m. impugnato era proprio quello di evitare la confusione che si sarebbe potuta creare costringendo alcuni produttori, come le Cantine Marchesi di Barolo, ad utilizzare necessariamente nell’etichetta una indicazione geografica aggiuntiva [] , laddove avrebbe potuto alimentare confusione fra gli operatori e soprattutto nei consumatori , il giudice d’appello ha reputato che il d.m. impugnato non poteva ritenersi emanato in carenza di istruttoria o fosse illogico, come ritenuto dal TAR. Nei confronti della decisione hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di un complesso motivo, illustrato con successiva memoria, la Cantina M. di M.B. & amp C. Società Agricola s.s., Serio BO. , l’Azienda Agricola BO.SE. s.s., BO. Fratelli Serio & amp Ba. s.a.s., la Azienda Agricola B.G. & amp Figli s.s. di B.M. , G. ed E. , F.M. , S.L. , Sc.Pi.Lu. , e la Tenuta Carretta s.r.l. Resistono con controricorso, illustrato con memoria, il Ministero delle politiche agricole e forestali e la Cantina dei Marchesi di Barolo spa, che propone ricorso incidentale condizionato. I ricorrenti principali resistono al ricorso incidentale con controricorso. Motivi della decisione Con il ricorso principale viene denunciata violazione delle norme sulla giurisdizione artt. 111 Cst., 362 cpcomma 7, 91, e 110 ss. del d.lgs. 2-7-2010, n. 104 , eccesso di potere giurisdizionale . I ricorrenti lamentano che il giudice d’appello abbia superato i limiti della generale giurisdizione di legittimità, estendendo la propria giurisdizione al merito della vicenda, sostituendosi alle valutazioni proprie dell’amministrazione, effettuando una comparazione tra l’interesse commerciale di un singolo soggetto e l’interesse pubblico alla corretta denominazione dei prodotti, e quindi alla corrispondenza di questa con i luoghi da essa indicati deducono poi diniego di giurisdizione lamentando che avverso il decreto sarebbe stata dedotta anche una questione procedurale, vale a dire la mancanza dell’impulso dei produttori interessati per la modifica del disciplinare, che era stata dichiarata assorbita dal TAR ma poi non esaminata dal Consiglio di Stato, che pure, accogliendo l’impugnazione, aveva rigettato il ricorso di primo grado e confermato il decreto ministeriale opposto. Con il ricorso incidentale condizionato la Cantine Marchesi di Barolo censura la sentenza impugnata per avere, confermando sul punto la sentenza del TAR, affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia, contestata in primo grado ed in appello. Con riguardo alla prima doglianza del ricorso principale il Collegio osserva che la valutazione della portata della nozione dell’indicazione geografica aggiuntiva, quale è dato rilevare dal decreto ministeriale impugnato, è condotta dal Consiglio di Stato alla stregua della ricostruzione normativa operata, ed i richiami a fattispecie concrete hanno valore esemplificativo, anche con riguardo alle modalità di emersione della specifica problematica. Secondo l’insegnamento di questa Corte, le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato alla P.A. , compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso tale sindacato è esercitabile dalla S.C. anche quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di fare ricorso a quella speciale forma di giurisdizione di merito che è la giurisdizione di ottemperanza Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302 15 marzo 1999, n. 137 . Con la seconda doglianza i ricorrenti denunciano a ben vedere un’omessa pronuncia. In proposito questa Corte ha affermato che il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato con il quale si deduce l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni, può integrare motivo inerente alla giurisdizione, denunciatile ai sensi dell’art. 362 cod. procomma civ., solo se il rifiuto della giurisdizione è giustificato dalla ritenuta estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, non quando si prospettino come omissioni dell’esercizio del potere giurisdizionale errori in iudicando o in procedendo Cass. sez. un., 26 gennaio 2009, n. 1853 il ricorso col quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 cod. procomma civ., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta Cass., sez. un. 8 febbraio 2013, n. 3037 . In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Sussistono, infine, i presupposti per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso principale inammissibile, assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.