Decreto di espulsione: traduzione obbligata nella lingua ufficiale dello straniero

Illogica la decisione con cui viene utilizzato un altro idioma, seppur conosciuto dalla maggioranza dei connazionali dell’immigrato. Così il provvedimento firmato dal Prefetto è a rischio nullità.

Decreto di espulsione tradotto in una lingua ampiamente diffusa nel Paese d’origine dello straniero. Procedura assolutamente errata, soprattutto perché essa ha dato per scontato che quell’idioma fosse conosciuto dall’uomo, di origini tunisine. Nuovamente in discussione, quindi, l’allontanamento dall’Italia Cassazione, ordinanza n. 22145/2016, Sezione Sesta Civile, depositata il 2 novembre . Lingua. A firmare il decreto di espulsione nei confronti di un tunisino è il Prefetto di Perugia. Il provvedimento, però, non viene tradotto in arabo , bensì in lingua francese . Scelta, questa, ritenuta legittima dal Giudice di pace, perché la lingua francese , viene spiegato, è ampiamente conosciuta nel Paese d’origine dello straniero, benché l’idioma ufficiale in Tunisia sia l’arabo . Di parere completamente opposto, invece, i magistrati della Cassazione. A loro avviso, difatti, è evidente la nullità del provvedimento espulsivo per difetto di traduzione in lingua conosciuta dallo straniero. Per i magistrati, innanzitutto, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di pace, non vi è alcun potere del giudice di sindacare la norma di legge che impone la traduzione del decreto espulsivo in lingua nota alla persona espulsa . Allo stesso tempo, viene sottolineato che la necessità della traduzione del decreto di espulsione non può essere superata dalla traduzione in un’altra lingua non ufficiale, ma nota alla maggioranza degli abitanti del Paese di origine dell’immigrato .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 giugno – 2 novembre 2016, n. 22145 Presidente Ragonesi – Relatore De Chiara Premesso Che il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue 1. - Il sig. H.F., cittadino tunisino, propose ricorso avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Perugia l'11 giugno 2014, lamentando, tra l'altro, il difetto di traduzione del provvedimento in arabo, unica lingua a lui nota. II Giudice di pace di Perugia ha respinto il ricorso sull'assunto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la norma che prevede l'imperatività di procedere a traduzione nella lingua dell'espellendo può essere soggetta a sindacato da parte del Giudice che deve applicarla nel caso concreto , e che il provvedimento prefettizio era stato tradotto in lingua francese, lingua ampiamente conosciuta nel paese d'origine del ricorrente, benché lingua ufficiale del medesimo sia l'arabo. 2. - Il sig. F. ha quindi proposto ricorso per cassazione, articolando quattro motivi di censura. A seguito del rinnovo della notifica del ricorso, disposto da questa Corte, l'autorità intimata ha resistito con controricorso. 3. - E' fondato e assorbente il primo dei motivi di ricorso, con cui viene reiterata l'eccezione di nullità del provvedimento espulsivo per difetto di traduzione in lingua conosciuta dall'interessato. E', infatti, manifestamente errata in diritto l'affermazione, che si legge nell'ordinanza impugnata e assolutamente estranea alla giurisprudenza di questa Corte , di un potere del giudice di sindacare la norma di legge art. 13, comma 7, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 che impone la traduzione del decreto espulsivo in lingua nota alla persona espulsa né la necessità della traduzione in tale lingua può essere superata dall'avvenuta traduzione in altra lingua nella specie quella francese nota alla maggioranza degli abitanti del paese di origine dell'interessato, senza neppure affermare - e tantomeno motivare - che essa sarebbe nota anche a quest'ultimo. Sul punto, invero, le difese dell'autorità controricorrente integrano la motivazione del provvedimento impugnato, piuttosto che limitarsi a sostenerla. che detta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite che non sono state presentate memorie Considerato Che il collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione sopra trascritta che pertanto il ricorso va accolto e il decreto impugnato va cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto enunciato all'ultimo capoverso della relazione sopra trascritta e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al Giudice di pace di Perugia in persona di altro magistrato.