Possessio ad usucapionem e tipicità degli atti interruttivi

In tema di possesso ad usucapionem, con il rinvio all’art. 2943 c.c. da parte dell’art. 1165 c.c., la legge indica tassativamente gli atti interruttivi del possesso, con la conseguenza che non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli indicati dalla norma, pur nel caso in cui con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto.

Accertamento negativo della servitù e usucapione. Con la sentenza n. 21015/2016, depositata il 18 ottobre scorso, la Corte di Cassazione ha l’occasione di ribadire interessanti principi in tema di possesso ad usucapionem . La vicenda sottesa alla pronuncia riguarda l’azione di accertamento negativo di una servitù d’uso pubblico esercitata dai proprietari del fondo. Tanto in primo grado quanto in appello i giudici di merito accoglievano la domanda attorea affermando, per quanto qui interessa, che pure a fronte dell’uso della servitù di passaggio nel corso degli anni, i proprietari si erano opposti con vari atti alla servitù, con il conseguente venire meno della continuità d’uso per vent’anni. La decisione del giudice di merito veniva impugnata dall’Amministrazione, la quale deduceva la violazione degli artt. 1158 e 1165 c.c. avendo il giudice erroneamente applicato i principi di diritto affermati da tali disposizioni normative. Possesso, usucapione e contraria volontà del proprietario. La Corte ritiene fondati i motivi di ricorso, ricordando che per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa coscienza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’ animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà Cass. 26641/2013 . Ai fini del possesso ad usucapionem quindi, è necessaria la pacificità del possesso medesimo, non potendosi escludere tale requisito per la sola circostanza che il preteso titolare del diritto manifesti una volontà contraria all’altrui possesso, trattandosi di elemento rilevante al diverso fine di evidenziare la mala fede del possessore, con applicabilità del termine ventennale Cass. S.U. 2088/1990 . Ne deriva, che ai fini della continuità del possesso necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione del diritto, ciò che rileva è il comportamento del possessorie e non anche la contraria volontà del proprietario Cass. 15092/2003 . Conclude quindi la Corte rilevando che proprio il dissenso palesato dal titolare del diritto, escludendo la tolleranza, che costituisce ai sensi dell’art. 1144 c.c. un fattore impeditivo dell’acquisto del possesso, concorre a qualificare in senso possessorio e non detentivo l’antitetica condotta materiale dei terzi. La tipicità degli atti interruttivi del possesso. Aggiunge infine al Corte che in tema di possesso ad usucapionem , con il rinvio all’art. 2943 c.c. da parte dell’art. 1165 c.c., la legge indica tassativamente gli atti interruttivi del possesso, con la conseguenza che non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli indicati dalla norma, pur nel caso in cui con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto Cass. 14659/2012 . La Corte accoglie quindi anche tale motivo di gravame, ritenendo che i giudici di merito abbiano attribuito efficacia interruttiva del possesso ad atti inidonei ad avere tale effetto, in quanto detta interruzione può derivare solo da atti che implicano la perdita del potere materiale sulla cosa ovvero da atti giudiziali diretti a privare il possessore della possessio ad usucapionem .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 giugno – 18 ottobre 2016, n. 21015 Presidente Migliucci – Relatore Manna Svolgimento del processo B.I. e Br.Le. e Ca. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Savona il comune di per l’accertamento negativo di una servitù di uso pubblico su fondi di loro proprietà f. XX, mapp. omissis , negando, in particolare, che questi ultimi rientrassero nel tracciato della strada omissis . Il comune di resisteva in giudizio e domandava in via riconvenzionale l’accertamento dell’acquisto della servitù per usucapione. Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori. L’appello proposto dal comune di era respinto dalla Corte distrettuale di Genova con sentenza n. 889/11. Riteneva la Corte territoriale, condividendo l’accertamento operato al riguardo dal Tribunale, che l’ormai desueto tracciato della strada omissis , gravata da servitù pubblica di passo, non coincideva con quello della strada degli attori che l’esistenza di due diverse strade era oggettiva ed incontestabile e che la circostanza che entrambe collegassero tra loro le medesime località non comportava l’automatica acquisizione del diritto di uso pubblico sulla nuova via. Rilevava, ancora, la Corte territoriale che nonostante alcuni testi avessero riferito del passaggio generalizzato di persone sulla strada, da altre e numerose testimonianze era emerso che i proprietari non erano rimasti inerti. Essi avevano collocato cartelli segnalanti la proprietà privata apposto inizialmente una ?barra di chiusura non era chiaro, tuttavia, se all’inizio della strada o lungo il tratto di loro proprietà reagito, mediante impugnativa, agli interventi comunali di rimozione della stessa e di riapertura della strada sicché non poteva affermarsi che tale passaggio fosse avvenuto con continuità per vent’anni contro la volontà dei proprietari, risultando al contrario che questi ultimi avevano reagito ripetutamente facendo venir meno la continuità dell’uso. Inoltre ed infine, vari testi avevano riferito che la strada era stata realizzata intorno agli anni ‘70 ed inizialmente chiusa con una sbarra, e che negli anni ‘80 era stata richiesta ai proprietari l’autorizzazione del passaggio da parte di privati ed essendo stata notificata la citazione nel 1999, era chiaro che non si era in presenza di un uso pubblico protratto per vent’anni, poiché almeno inizialmente tra il 1979 e il 1999 il passaggio era avvenuto per tolleranza dei proprietari. Per la cassazione di tale sentenza il comune di propone ricorso affidato a tre motivi. Resistono con controricorso B.I. e Br.Le. e Ca. . Motivi della decisione L - Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1158 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c La sentenza impugnata, afferma parte ricorrente, ha ritenuto necessaria ai fini dell’usucapione della servitù d’uso pubblico l’assenza di un comportamento oppositivo da parte dei proprietari della strada Ma ciò rileva ai soli fini del possesso di buona o di mala fede, mentre il possesso valevole per l’usucapione deve essere pacifico, cioè non violento. La servitù d’uso pubblico richiede che il passaggio risponda ad un’utilità pubblica e che l’uso protratto avvenga non solo uti cives ma anche misconoscendo ogni contrario diritto del proprietario. 2. - Il secondo motivo espone la violazione dell’art. 1165 c.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. La sentenza impugnata, si sostiene, ha attribuito efficacia interruttiva del possesso ad atti, quali le ripetute reazioni contrarie dei proprietari al passaggio pubblico, inidonei all’effetto. L’interruzione, infatti, può derivare soltanto da atti che implichino la perdita del potere materiale sulla cosa ovvero da atti giudiziali diretti a privare, ope iudieis , il possessore della possessio ad usucapionem . 3. - Col terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1144 ex., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per aver dato rilievo, in senso impeditivo del possesso della servitù pubblica, ad atti di tolleranza non transitori, non saltuari e non dettati da parentela, amicizia o buon vicinato. 4. - I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati. 4.1. - Per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’ animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà Cass. n. 26641/13 . Correlativamente, la giurisprudenza di questa Corte afferma anche che in tema di possesso ad usucapionem , che il codice vigente assoggetta alle stesse condizioni contemplate dal codice del 1865 con la formula possesso legittimo , inclusa quella della pacificità del possesso medesimo, tale requisito non può essere escluso per la sola circostanza che il preteso titolare del diritto manifesti una volontà contraria all’altrui possesso, trattandosi di elemento rilevante al diverso fine di evidenziare la mala fede del possessore con la conseguente applicabilità del termine ventennale C9ss. S.U. n. 2088/90 . Pertanto, anche ai fini della continuità del possesso, necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione, quel che rileva è il comportamento del possessore, non già la volontà contraria del proprietario Cass. n. 15092/03 . Anzi, proprio il dissenso palesato dal titolare del diritto, escludendo la tolleranza, la quale a sua volta costituisce un fattore impeditivo dell’acquisto del possesso art. 1144 ex. , concorre a qualificare in senso possessorio e non detentivo l’antitetica condotta materiale dei terzi. 4.2. - In tema di possesso ad usucapionem , con il rinvio fatto dall’art. 1165 all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, cosicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti Cass. n. 14659/12, la quale da tale premessa ha tratto la conclusione per cui non può costituire atto interruttivo dell’usucapione l’opposizione alla domanda di usucapione abbreviata, né l’atto di intervento nel procedimento, non implicando tali atti una domanda diretta al concreto recupero del godimento del bene, in tesi posseduto e goduto in via esclusiva dai comproprietari che chiedono la declaratoria di usucapione contro gli altri comproprietari esclusi dal possesso . 4.3. - La sentenza impugnata mostra di aver equivocato su tali concetti. Essa ha accordato rilievo decisivo proprio e solo alla volontà contraria dei proprietari della strada e alle loro varie reazioni contro il passaggio pubblico, ora per escludere un possesso idoneo all’usucapione ora per ritenerne l’avvenuta interruzione senza tuttavia individuare con esattezza, in quest’ultimo caso, alcuno dei modi previsti dall’art. 2943 c.c., richiamato dall’art. 1165 c.c Né la Corte genovese ha accertato le condizioni per applicare l’art. 1167 c.c., del resto neppure citato nella sentenza impugnata. Da quest’ultima risulta che i proprietari della strada vi abbiano apposto in epoca non precisata una sbarra per impedire l’accesso di terzi, ma non si comprende se tale privazione del passaggio pubblico si sia protratta per oltre un anno e in assenza di una vittoriosa azione recuperatoria. Anzi, la Corte genovese ha attribuito importanza non alla durata il che sarebbe stato rilevante dell’impedimento, ma alla pronta reazione dei proprietari di per sé sola irrilevante nell’impugnare i provvedimenti amministrativi che avevano imposto loro di riaprire la strada al pubblico transito. 5. - L’accoglimento dei suddetti motivi assorbe l’esame del terzo, incentrato su di un profilo, quella della tolleranza, il cui rilievo è escluso dalle considerazioni appena svolte. 6. - La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, che nel provvedere ad un rinnovato esame del merito si atterrà ai principi di diritto enunciati al paragrafo 4.1. che precede. 7. - Ai sensi dell’art. 385, 3 comma c.p.c. al giudice di rinvio è rimesso anche il regolamento delle spese di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, che provvederà anche sulle spese di cassazione.