Il dies a quo per usucapire l’immobile dell’ex marito

Ai fini del decorso del termine utile per l’usucapione di una porzione di bene immobile da parte di uno degli ex coniugi, assume rilevanza la data della separazione giudiziale e non il momento in cui era emersa la crisi coniugale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20568/16, depositata il 12 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Cagliari veniva investito della richiesta di rilascio di alcune porzioni immobiliari intentata dall’attore nei confronti della ex moglie che, costituitasi a sua volta in giudizio, invocava l’intervenuta usucapione della proprietà dei beni immobili in oggetto. La sentenza di prime cure, che accoglieva la domanda dell’attore, veniva impugnata dalla convenuta dinanzi alla Corte d’appello che confermava la prima pronuncia sostenendo che non poteva considerarsi dimostrato il possesso in via esclusiva degli spazi contesi. La ex moglie ricorre dunque dinanzi alla Corte di Cassazione dolendosi per aver i giudici d’appello ricondotto il dies a quo del possesso ad usucapionem alla data di inizio del giudizio di separazione dei coniugi e non dal momento effettivo in cui era cominciata la separazione di fatto, come risultante dalle emergenze processuali. Separati in casa. Il motivo non trova accoglimento. I Giudici di legittimità ripercorrono infatti la vicenda evidenziando come correttamente il provvedimento impugnato, pur dando atto della deteriorazione dei rapporti tra i coniugi in epoca antecedente alla sentenza di separazione, abbia escluso che il possesso ad usucapionem della ricorrente potesse farsi risalire al periodo di convivenza comunque intercorso tra le parti prima della pronuncia giudiziale di separazione, durante il quale essi vivevano come separati in casa”. Non è infatti ipotizzabile che in quel periodo ognuno dei due coniugi utilizzasse una singola porzione dell’immobile, come peraltro risultava anche dalle emergenze processuali e in particolare dalle dichiarazioni rese da un testimone e dalla deposizione del figlio della coppia. In conclusione, fermo restando che il giudizio di cassazione non conferisce al Giudice di legittimità la possibilità di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, dovendo limitarsi al sindacato sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, la S.C. esclude ogni censura mossa al provvedimento impugnato e rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 giugno – 12 ottobre 2016, n. 20568 Presidente Mazzacane – Relatore Falabella Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 15 gennaio 2003 D.F. conveniva avanti al Tribunale di Cagliari P.P. per chiedere la sua condanna al rilascio delle porzioni di immobile relative al vano ufficio, al ballatoio esterno e alla terrazza di cui al f. omissis , sub 11 del locale catasto, di sua esclusiva proprietà in forza di atto pubblico del 27 novembre 1962. L’attore esponeva che con atto pubblico del 27 novembre 1962 aveva acquistato un’area fabbricabile, sita in omissis , sopra la quale aveva costruito il piano terreno dell’abitazione di via omissis che con atto pubblico del 20 gennaio 1965 aveva venduto a P.P. , con cui poi si era sposato il 30 novembre 1977, una porzione di circa 90 mq del terrazzo di copertura del piano terra dell’immobile summenzionato che sul rispettivo tratto di detto lastrico solare egli e P.P. avevano costruito ciascuno il proprio appartamento che egli aveva pure realizzato, sulla parte di copertura di sua proprietà, un vano ufficio, un ballatoio esterno, una terrazza ed un ripostiglio che si era separato da P.P. con sentenza del 23 ottobre 2001, poi confermata dalla Corte di Appello di Cagliari con pronuncia del 17 maggio 2002, passata in giudicato che nel corso del giudizio di separazione di primo grado P.P. aveva ottenuto, con provvedimento del 19 febbraio 1992, l’assegnazione del vano indicato nella planimetria come ufficio, mentre al marito era stato imposto di realizzare un diverso accesso alla sua proprietà che la sentenza di separazione di secondo grado aveva respinto la richiesta della moglie di assegnazione della casa coniugale, con la conseguenza che il provvedimento del 19 febbraio 1992 doveva essere considerato come revocato che in seguito al passaggio in giudicato della decisione di appello l’occupazione del vano ufficio da parte della convenuta era divenuta priva di titolo, come pure l’utilizzo della terrazza, del ballatoio esterno e del ripostiglio. La convenuta si costituiva e chiedeva, in via riconvenzionale, che fosse accertato il suo acquisto per usucapione della proprietà dei beni da lei posseduti. In particolare, deduceva che l’ordinanza del 19 febbraio 1992, che le aveva assegnato il vano ufficio, il ballatoio, la terrazza ed il ripostiglio, non poteva essere considerata come tacitamente revocata, in quanto la pronuncia di rigetto della richiesta di assegnazione della casa coniugale aveva riguardato l’intero immobile e non una porzione dello stesso e, in quanto, comunque, le porzioni in contestazione erano nella sua disponibilità esclusiva fin dal 1965. Il Tribunale di Cagliari, istruita la causa con la produzione di documenti e l’escussione di testi, accoglieva la domanda dell’attore, dichiarandolo proprietario del vano ufficio, del ballatoio esterno, del ripostiglio e della terrazza, e rigettava la domanda riconvenzionale della convenuta, che condannava a rilasciare le suindicate porzioni dell’immobile. P.P. proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza depositata il 5 dicembre 2011, rigettava il gravame. A sostegno della decisione adottata la Corte isolana evidenziava che non era stato provato che P.P. avesse utilizzato in via esclusiva gli spazi oggetto di causa osservava, in particolare, che la deposizione della teste S. non era idonea a dimostrare il possesso di P.P. . Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione P.P. , articolandolo su un unico motivo. D.F. resiste con controricorso. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso P.P. denuncia l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo del giudizio, poiché la corte territoriale non aveva tenuto conto che la separazione di fatto dei coniugi risaliva al 1981. In particolare, afferma la ricorrente che la Corte di appello di Cagliari avrebbe errato nel considerare come dies a quo del possesso ad usucapionem la data di inizio del giudizio di separazione fra i coniugi nel 1991 , senza valutare il contenuto della lettera dalla medesima ricorrente inviata al marito nel 1981, da cui emergeva che la separazione di fatto era cominciata in tale anno. Il motivo è infondato. La Corte territoriale, pur dando atto che già nel 1981 i rapporti tra i coniugi si erano deteriorati, tant’è che l’odierna ricorrente aveva manifestato l’intenzione di allontanarsi dall’abitazione familiare - come documentato da una lettera prodotta in atti -, ha osservato che, nondimeno, la convivenza era pacificamente proseguita fino al 1991, anno di instaurazione del giudizio di separazione ha quindi concludentemente escluso che il possesso ad usucapionem della ricorrente potesse farsi risalire al periodo della prolungata convivenza ritenendo del tutto inverosimile che ognuno dei coniugi utilizzasse una singola porzione dell’immobile evenienza, quest’ultima, che, secondo il giudice dell’impugnazione, non aveva trovato alcun riscontro. A tal fine il giudice del gravame si è soffermato sul contenuto della deposizione del teste S. che, secondo l’appellante, aveva fornito precise indicazioni quanto alla mancata occupazione delle porzioni immobiliari rivendicate. Ha osservato, al riguardo, che il detto testimone si era limitato a riferire di aver visto l’odierna ricorrente curare le piante della terrazza, circostanza questa ritenuta non decisiva, avendo riguardo al fatto che P.P. si occupava della complessiva gestione della casa , in quanto il marito era impegnato nella conduzione di un esercizio commerciale situato al piano terreno. Ha osservato inoltre essere del tutto irrilevante il fatto che la testimone avesse visto quotidianamente D. all’interno del proprio esercizio commerciale, reputando che questo attendesse alla propria attività lavorativa, senza che ciò potesse assumere significato i fini della prova del possesso esclusivo dei beni in contestazione. La stessa Corte di merito ha poi ulteriormente valutato le risultanze istruttorie soffermandosi sulla deposizione del figlio della coppia, il quale si era limitato a confermare che la madre provvedeva alla cura, alla pulizia e all’arredamento della casa circostanze, queste, correttamente reputate non sintomatiche del possesso esclusivo nell’ambito di vincoli nascenti dal rapporto coniugale e familiare. Infine, il giudice distrettuale ha messo in evidenza che gli altri testi sentiti, C. e M. , avevano dichiarato che l’odierno controricorrente aveva mantenuto la disponibilità della terrazza e dello sgabuzzino anche nel periodo successivo all’emissione dell’ordinanza del 1992. Avendo riguardo a tale articolato impianto motivazionale, da ritenere esauriente e pienamente congruo sul piano logico, la sentenza impugnata si sottrae a censura. È da ricordare in proposito, che come è ben noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge Cass. 4 novembre 2013 n. 24679 Cass. 16 novembre 2011, n. 27197 Cass. 6 aprile 2011, n. 7921 Cass. 21 settembre 2006, n. 20455 Cass. 4 aprile 2006, n. 7846 Cass. 9 settembre 2004, n. 18134 Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357 . Il ricorso va allora respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna pare ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.