Responsabile il magistrato che omette di richiedere la revoca degli arresti domiciliari

Sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell'ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscono in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare il fondamentale diritto di libertà. Qualora la condotta del difensore abbia concorso a non allertare il PM, la stessa potrà incidere unicamente sulla determinazione della sanzione nella misura minima di legge della censura”.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 18397 della Corte di Cassazione, depositata il 20 settembre 2016. Il caso. Il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, a seguito di ispezione, veniva incolpata dell'illecito disciplinare di cui al d.lgs. n. 109/2006 artt. 1 e 2 lettere a e g per aver arrecato ingiusto danno ad imputato sottoposto a custodia cautelare per aver in due occasioni omesso di chiedere al GIP la revoca degli arresti domiciliari per scadenza del termine massimo di custodia cautelare. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con sentenza del 39/2016 riteneva la dott.ssa responsabile dell'incolpazione ascrittale, irrogando la sanzione della censura. Il magistrato ricorreva, quindi, in Cassazione affidando le proprie doglianze a due motivi di ricorso. Con il primo motivo la ricorrente lamentava che non vi era mai stato un provvedimento di assegnazione del fascicolo, ufficialmente assegnato ad altro magistrato e che la sentenza impugnata aveva ignorato che ella aveva avuto un ruolo limitato, essendo stata chiamata ad esprimere solo un parere sulla variazione dell'orario di lavoro e che, ancora, all'udienza preliminare, aveva presenziato in sostituzione, essendo errato parificarla al GUP, il quale solo aveva a disposizione il fascicolo. Con il secondo motivo rilevava l'erroneità della sentenza per non aver escluso l'esimente della scarsa rilevanza del fatto. La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso. Palese negligenza inescusabile? La Suprema Corte, in ordine al primo motivo di ricorso, dopo aver ricostruito la vicenda storico-processuale, ribadisce la correttezza della sentenza del CSM in linea con il principio per cui il comportamento del magistrato che omette di rilevare la scadenza dei termini custodiali è sicuramente idoneo a integrare la grave violazione di legge” derivante da palese negligenza inescusabile”, violativa anche del dovere di diligenza dei magistrati nell'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 1, comma 1, d.lgs. sugli illeciti disciplinari del 2006 . La Corte, richiamando il principio già affermato da precedente sentenza a SSUU n. 18191/2013, ricorda che sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell'ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscano in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare il fondamentale diritto di libertà. Ebbene, nel caso di specie, afferma la Corte, la decisione impugnata, con motivazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, ha evidenziato che entrambi i magistrati incolpati GUP e PM avevano conoscenza dello stato di fatto. Nemmeno viene condivisa la doglianza per cui il comportamento difensivo dell'imputato, che avrebbe posto in errore il magistrato condannato, doveva essere considerata quale esimente. La Corte conferma che bene ha fatto il CSM a considerare tale circostanza solo ai fini della mitigazione della sanzione. In ordine al secondo motivo la Corte, premesso che la previsione di cui all'articolo 3 bis d.lgs. n. 209/2006, ai sensi del quale l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa importanza era astrattamente applicabile al caso di specie, sottolinea che le valutazioni in merito costituiscono compito esclusivo del CSM che, nel caso di specie, ha espressamente escluso detta esimente alla luce della evidente grave compromissione dell'immagine del magistrato, nonché del danno arrecato dalla privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 5 luglio – 20 settembre 2016, numero 18397 Presidente Rordorf – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo La dott.ssa M.V. , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, è stata incolpata, all’esito di un’ispezione ordinaria al Tribunale di Pisa, dell’illecito disciplinare di cui al d.Lgs. numero 109 del 2006, artt. 1 e 2 lett. a e g per avere arrecato ingiusto danno alla persona di un imputato indicato nel capo di incolpazione sottoposto a custodia cautelare e ciò per avere in due occasioni omesso di chiedere al G.I.P. la revoca degli arresti domiciliari per intervenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare e, precisamente, allorché in data 2 novembre 2012 aveva espresso parere favorevole sull’istanza dell’imputato di modifica degli orari di lavoro esterno e in data 28 novembre 2012, quando, quale pubblico ministero, aveva presenziato all’udienza preliminare, sicché la cessazione dello stato custodiale era intervenuta, con un ritardo di 111 giorni, in data 15 febbraio 2013, allorquando gli atti erano pervenuti al Tribunale di Pisa, competente per il giudizio. Con sentenza numero 39 in data 8 marzo 2016 la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura C.S.M. ha ritenuto la dott. M. responsabile dell’incolpazione ascrittale ed - esclusa l’applicazione dell’art. 3 bis d.Lgs. numero 109 del 2006 - le ha Irrogato unitamente al G.I.P. cui era stata ascritta analoga incolpazione la sanzione della censura, osservando che a in via di principio sussiste la responsabilità del magistrato, quando sia rilevabile una carenza di controllo da parte del giudice, depositario dell’obbligo di vigilanza sul rispetto dei termini custodiali e al quale compete l’adozione delle misure organizzative organizzative idonee a mantenere sempre sotto controllo i termini di scadenza b nella specie, lo stato di privazione della libertà personale dell’imputato era noto sia al P.M. che al G.I.P., già in epoca antecedente all’udienza preliminare, come si evinceva dallo stesso parere espresso dal primo e dal conseguente provvedimento del secondo ed una normale diligenza avrebbe imposto - sia per il P.M. che per il G.I.P. - di acquisire gli atti del procedimento per effettuare, già in quella sede, un controllo sulla situazione del soggetto ristretto e in attesa di giudizio, quantomeno al fine di conoscere i motivi che avevano determinato l’applicazione della misura o il titolo dei reati ascritti all’imputato, anche perché, avuto riguardo al titolo di reato contestatogli, non era indifferente l’individuazione dell’orario in cui lo stesso sarebbe stato libero di circolare per svolgere il suo lavoro di badante c le condotte negligenti emergevano per tabulas anche in sede di udienza preliminare del 28 novembre 2012, risultando nel modulo prestampato presente nel fascicolo di udienza e intestato udienza preliminare, l’annotazione che l’imputato era stato autorizzato a comparire sotto scorta, con la conseguenza che andava disattesa ogni difesa, sia del P.M. che del G.I.P., intesa a far valere la concreta assenza di elementi in ordine alla sottoposizione dell’indagato a misura restrittiva, essendo emerso dai riscontri documentale che, a tal fine, darebbe stato sufficiente sfogliare il fascicolo di udienza. Avverso questa decisione ricorre M.V. , articolando due motivi. Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte del Ministero della Giustizia. La ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 1 e 2, co. 1 lett. a e g d.Lgs. numero 109 del 2006 art. 606, lett. b cod. proc. penumero . nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli atti del processo come specificamente individuati art. 606, lett. b cod. proc. penumero . Al riguardo parte ricorrente deduce a che i magistrati cui incombe l’obbligo di vigilanza delle scadenze dei termini di custodia cautelare e dai quali è concretamente esigibile un obbligo di tal fatta sono esclusivamente il pubblico ministero, che risulta assegnatario e titolare del fascicolo, nonché il G.U.P. del procedimento b che la decisione impugnata ha, del tutto, ignorato il fatto che non vi era mai stato un provvedimento di assegnazione del fascicolo ad essa M. , posto che di detto fascicolo era titolare altro magistrato della Procura identificato in ricorso , il quale tale era rimasto, anche all’esito dell’udienza preliminare come risultava dalla circostanza che lo stesso aveva predisposto personalmente la lista testi e, comunque, era confermato anche dall’intestazione della copertina del fascicolo del P.M. e che, pur essendovi deputato, non aveva effettuato alcun controllo e rilievo in ordine al superamento dei termini custodiali di fase c che la decisione impugnata ha, quindi, ignorato le proprie difese e, segnatamente, che essa ricorrente aveva avuto un ruolo limitato, per essere stata chiamata a esprimere un parere su una modesta variazione di orario dell’orario lavorativo 30 minumero , peraltro disimpegnando tale incombente nel corso di un turno particolarmente impegnativo e, comunque, facendo affidamento sullo stesso comportamento dell’indagato che aveva chiesto una variazione dell’orario di lavoro, senza lamentare la scadenza del termine d che anche all’udienza preliminare, essa M. era presente in sostituzione e che, erroneamente, la sua posizione era stata parificata a quella del G.U.P., il quale solo aveva a disposizione il fascicolo e aveva altresì autorizzato l’indagato a recarsi con i propri mezzi all’udienza. 2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 3 bis d.Lgs. numero 109 del 2006 art. 606, lett. b cod. proc. penumero , nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli atti del processo come specificamente individuati art. 606, lett. b cod. proc. penumero . Al riguardo parte ricorrente deduce l’erroneità della decisione anche nel punto in cui ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza del fatto, posto a che il giudizio avrebbe dovuto articolarsi anche sul grado di colpevolezza, esaminando le circostanze addotte dalla difesa e segnatamente il fatto che essa ricorrente non era titolare del fascicolo ed aveva dovuto occuparsene solo incidentalmente e sempre in via di urgenza, in un contesto di un notevole carico di lavoro b che del tutto illogicamente è stata equiparata, soprattutto in sede di udienza preliminare, la posizione del G.U.P. e del P.M. c che, a tutto voler concedere, il ritardo nella scarcerazione ad essa imputabile non era di 111 giorni, ma di appena sei giorni, quali quelli intercorsi tra i due episodi contestatele. 3. Il ricorso non merita accoglimento. 3.1. La condotta omissiva ascritta all’odierna ricorrente consiste nell’infrazione di cui all’art. 2 lett. g D.Lgs. numero 109 del 2006, in comb. disp. con la lett. a del medesimo art. 2, per avere omesso in due occasioni di richiedere la scarcerazione di un imputato, sottoposto al regime degli arresti domiciliari, nonostante la scadenza dei termini custodiali. In particolare i dati di fatto emergenti dalla decisione impugnata, peraltro non controversi, sono i seguenti il termine di custodia cautelare di fase era scaduto il 1 novembre 2012 e, quindi, successivamente alla data del 3 settembre 2012 in cui il titolare del fascicolo aveva richiesto il rinvio a giudizio il termine era, invece, ormai scaduto allorché in data 21 settembre 2012 il difensore dell’imputato, prospettando che lo stesso era agli arresti domiciliari, richiedeva un mutamento dell’orario per svolgere l’attività lavorativa già in precedenza autorizzata mutamento, per il quale, la dott. M. , quale P.M. di turno, esprimeva parere favorevole anche all’udienza preliminare del 28 novembre 2012 la dott. M. ometteva di rilevare la scadenza dei termini e, quindi, di assumere le relative conclusioni infine lo stato custodiale cessava in data 15 febbraio 2013, allorché il fascicolo istruito a Firenze ai sensi dell’art. 51 comma 3 quinquies cod. proc. penumero perveniva a Pisa per il giudizio. Ciò posto e considerato che in via di principio il comportamento del magistrato che omette di rilevare la scadenza dei termini custodiali è sicuramente idoneo a integrare la grave violazione di legge derivante da palese negligenza inescusabile , violativa anche del dovere di diligenza dei magistrati nell’esercizio delle funzione di cui all’art. 1, comma 1, del decreto legislativo sugli illeciti disciplinari del 2006 cfr. ex multis, Sez. Unite 3 luglio 2012 numero 11069 , si osserva che la difesa della ricorrente - in particolare con il primo motivo - è focalizzata su un duplice versante da un lato si rimarca, la non titolarità del fascicolo, istruito da altro sostituto dello stesso ufficio del P.M., cui incombeva l’obbligo di vigilare sulla persistenza delle condizioni cui era subordinata la situazione custodiale, e, dall’altro, si evidenziano una serie di circostanze il comportamento dello stesso difensore, che, per primo, tralasciava di rilevare la scadenza dei termini e, anzi, dava per scontata la non scadenza, chiedendo la variazione dell’orario di lavoro la mole di lavoro espletata dall’incolpata durante il turno le carenze del fascicolo a disposizione nel corso dell’udienza che avrebbero concorso alla non esigibilità della condotta omessa. 3.2. Nessuno dei rilievi coglie nel segno. Sotto il primo versante si osserva che le argomentazioni dell’incolpata, volte ad escludere la stessa titolarità del dovere rimasto inosservato, postulando un intervento limitato e occasionale nella vicenda, appaiono sostanzialmente affidate alle circostanze in cui si verificò il primo episodio contestato quello relativo al parere espresso per la modifica dell’orario lavorativo , il quale, peraltro, nell’iter argomentativo della decisione impugnata assume una valenza secondaria, servendo principalmente ad evidenziare come la dott. M. fosse già a conoscenza o almeno fosse in grado di esserlo della situazione custodiale dell’imputato, ancor prima dell’udienza preliminare. Soprattutto le stesse argomentazioni obliterano il dato che, almeno nel secondo dei due episodi ascritti, era la dott. M. , quale rappresentante del P.M. in udienza, il magistrato su cui istituzionalmente incombeva l’obbligo di verificare la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini, al fine di formulare le consequenziali richieste. 3.3. Sotto l’altro versante si rammenta - giusta principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte - che la disapplicazione della norma che impone la liberazione dell’indagato può essere giustificata solo da un elemento esterno all’illecito, necessario a delimitarne portata e funzione, cioè da una circostanza che rientri nella categoria delle c.d. condizioni di esigibilità dell’ottemperanza al precetto normativo, che impone i termini di carcerazione preventiva nella fase cautelare, oltre i quali la lesione del diritto di libertà diviene ingiustificata ed evidenzia la gravità della violazione di legge in rapporto all’inviolabile diritto fondamentale di libertà tutelato dalla carta costituzionale. In tale prospettiva è stato affermato da queste Sezioni Unite che sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero, in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell’ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscano in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare la lesione del fondamentale diritto di libertà sentenza 29 luglio 2013, numero 18191 . Orbene, nessuna delle circostanze su cui si appunta la difesa della ricorrente presenta siffatti caratteri, dovendo - con specifico riferimento alla condotta tenuta all’udienza preliminare - evidenziarsi come le deduzioni della ricorrente si infrangono contro la considerazione, in diritto, che eventuali carenze del fascicolo non si risolvono in cause di esonero da responsabilità e contro l’accertamento in fatto - quale svolto nella decisione impugnata e non sindacabile in questa sede - che entrambi i magistrati incolpati sia il G.U.P. sia il P.M. erano in grado di evincere la situazione custodiale dall’annotazione circa il trasferimento dell’imputato nell’aula di udienza. 3.4. Quanto, poi, al fatto che, in ultima analisi, abbia per così dire, concorso a non allettare il P.M. la stessa condotta del difensore dell’imputato, è sufficiente osservare che - quali che siano state le ragioni di tale condotta strategia difensiva o, all’opposto, negligenza del legale - si tratta di circostanza che, unitamente alle altre richiamate dalla ricorrente e allo stesso fatto concorrente eventualmente ascrivibile al titolare del fascicolo anche per il periodo successivo all’udienza preliminare , può incidere ed evidentemente ha inciso sulla determinazione della sanzione nella misura minima di legge della censura , ma che non evidenzia una condizione di inesigibilità della condotta, nei termini sopra precisati. 3.5. Le considerazioni che precedono danno contezza anche del rigetto del secondo motivo, sostanzialmente incentrato sulle medesime circostanze di fatto. Valga considerare che la previsione di cui all’art. 3 bis, D.Lgs. numero 109 del 2006, ai sensi del quale l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, allorché, sebbene realizzatasi la fattispecie di illecito, il fatto, per particolari circostanze, anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico a tutela del quale un determinato comportamento è stato in astratto considerato dal legislatore idoneo ad integrare l’illecito stesso. Ciò posto e precisato che il limitato arco temporale in cui si sono verificate le due condotte omissive, non vale ad escludere la cor responsabilità dell’incolpata per il periodo successivo all’udienza preliminare, fino all’emersione del superamento dei termini, si osserva che le valutazioni di cui all’art. 3 bis cit. costituiscono compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, da svolgere sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche oggettive della vicenda addebitata. Orbene siffatta valutazione, nel caso specifico, vi è stata ed è stata, altresì, sufficientemente motivata, avendo la sezione disciplinare escluso l’esimente alla luce della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato, nonché del danno arrecato dalla privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo . 4. In definitiva il ricorso va rigettato. Nulla è da provvedere sulle spese in difetto di attività difensiva dell’intimato Ministero. Si ravvisano i presupposto di cui all’art. 52 D.Lgs. numero 196 del 2003, giusta richiesta formulata dalla ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dispone, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. numero 196 del 2003, che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici, o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della ricorrente riportati nella sentenza.