Aiuta la collega a prostituirsi: sanzionato penalmente e licenziato

Il processo si conclude col patteggiamento. All’uomo, dipendente di un Ministero, viene addebitato il reato di favoreggiamento della prostituzione per avere aiutato una collega d’ufficio a proporsi come escort. Inevitabile il drastico provvedimento della Pubblica Amministrazione, ritenuto legittimo dai magistrati.

Doppia occupazione per la dipendente del Ministero ufficialmente impiegata pubblica, arrotonda lo stipendio proponendosi come escort. A darle una mano, anche a livello organizzativo, è un collega dello stesso ufficio. Questo comportamento costa carissimo all’uomo egli finisce sotto accusa per favoreggiamento della prostituzione”, patteggia la pena nel procedimento penale e, di conseguenza, perde il lavoro. Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14949/16, depositata il 20 luglio. Favoreggiamento. Contesto della strana vicenda è una Procura. Sospetti i comportamenti di due dipendenti, un uomo e una donna. Alcune verifiche portano alla luce una realtà da film lei ha scelto di prostituirsi e lui le ha fornito assistenza. Emerge, tra l’altro, che l’uomo ha anche attestato falsamente la presenza in ufficio della collega , consentendole così di conseguire indebitamente la retribuzione . Inevitabile il procedimento penale, che si conclude con una sentenza di patteggiamento definitiva . Secondo il Ministero della Giustizia sono stati accertati i gravi comportamenti dell’uomo, ossia il favoreggiamento della prostituzione della collega di lavoro. E ciò è sufficiente per arrivare al licenziamento , anche tenendo presente il gravissimo nocumento all’immagine, al prestigio e al decoro della Pubblica Amministrazione . E ora, nel contesto della Cassazione, il provvedimento drastico adottato dal Ministero viene ritenuto assolutamente legittimo. Non discutibile il peso della condotta tenuta dall’uomo. A confermarlo anche il procedimento penale, conclusosi con l’applicazione della pena su richiesta delle parti . Tale chiusura del processo permette di considerare certi tre dati primo, l’accertamento del fatto secondo, la sua illiceità penale terzo, l’affermazione che l’uomo compiuto il fatto addebitatogli. E difatti, aggiungono i giudici, vi è stata sentenza di applicazione della pena per il reato di favoreggiamento della prostituzione . Nessun dubbio, di conseguenza, sul nocumento arrecato alla Pubblica Amministrazione. Inevitabile ritenere compromesso in maniera definitiva il vincolo fiduciario tra il Ministero e il dipendente , che deve dire addio al proprio posto di lavoro. E irrilevante, concludono i magistrati, è il fatto che l’uomo abbia presentato richiesta di trasferimento presso un altro ufficio giudiziario .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 aprile – 20 luglio 2016, numero 14949 Presidente Macioce – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza dei Tribunale di Rimini, rigettava l'impugnativa dei licenziamento disciplinare intimato dal Ministero della Giustizia a D.N. M., in servizio presso la Procura di Rimini, per comportamenti di rilevanza penale, accertati nel procedimento penale conclusosi con sentenza di patteggiamento definitiva, e consistenti nell'aver favorito la prostituzione di una collega di lavoro ed in concorso con quest'ultima nell'aver attestato falsamente la presenza in ufficio della stessa e nell'averle fatto indebitamente conseguire la retribuzione. A base dei decisum la Corte distrettuale, dopo aver rilevato la non equiparabilità della posizione della collega coinvolta nei fatti contestati con quella del D.N. per essere stato solo a quest'ultimo contestato il reato di favoreggiamento della prostituzione, poneva il fondante rilievo secondo il quale la sanzione irrogata risultava proporzionata alla gravità dei fatti quali emergenti dagli atti dei procedimento penale e tanto per il gravissimo nocumento all'immagine, al prestigio e al decoro della PA. Né riteneva la Corte dei merito che la decisione del dipendente di mutare la sede di servizio poteva essere ritenuta idonea a ripristinare il vincolo fiduciario oramai irrimediabilmente venuto meno. Avverso questa sentenza il D.N. ricorre in cassazione sulla base di quattro censure. La parte intimata resiste con controricorso. Motivi della decisione Gbn la prima censura il ricorrente deduce omessa motivazione sulla istanza di ammissione delle prove orali e violazione degli artt. 24 Cost., 112, 113, 115, 116 cpc e 2697 cc. Sostiene il D.N. che tali prove ove ammesse avrebbero attestato la condotta irreprensibile tenuta da esso ricorrente durante tutti gli anni di servizio e avrebbero consentito d'individuare l'esatta portata dei fatti storici. Con il secondo motivo il D.N. denuncia omessa e comunque insufficiente motivazione e violazione del CCNL. Assume il ricorrente che la Corte di Appello ha erroneamente ricostruito, sulla base degli atti penali acquisiti, la reale gravità e portata dei fatti addebitati e non ha tenuto conto che il CCNL per comportamenti e molestie anche di carattere sessuale prevede una sanzione conservativa. Con la terza critica il ricorrente allega vizio di motivazione e violazione del CCNL. Prospetta il D.N. che erroneamente la Corte dei merito non ha valutato l'equiparabilità della sua posizione rispetto a quella della collega coinvolta nei fatti e non ha considerato, sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, il CCNL. Con l'ultima censura il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di norma collettiva. Denuncia il D.N. che la Corte dei merito ha erroneamente valutato il ravvedimento e non ha considerato che il CCNL prevede quale circostanza attenuante proprio il ravvedimento. Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate. Preliminarmente va rilevato che la Corte del merito, quanto agli addebiti, ha ritenuto che gli stessi non erano stati sostanzialmente contestati e si è attenuta, relativamente alla ricostruzione dei fatti storici, alla sentenza penale definitiva pronunciata ex articolo 444 cpp ritenendo che, a norma degli artt. 445 e 653 cpp, come modificati dalla legge 27 marzo 2001 numero 97, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ha efficacia di giudicato - nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità - quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso Cfr. in tal senso per tutte Cass. S.U. 31 ottobre 2012 numero 18701 . Tanto rende evidente l'inammissibilità della prova articolata dal D.N. tendente sostanzialmente ad una diversa ricostruzione dei fatti di cui trattasi. Circa, poi, le altre censure per vizio di motivazione, va annotato che dopo la modifica dell'articolo 360, primo comma, numero 5 , cpc ad opera dell'articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, convertito in legge 7 agosto 2012, numero 134, applicabile nella specie, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi dei tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili che nel caso in esame non ricorrono V. per tutte Cass. 9 giugno 2014 numero 12928 e Cass. S.U. 7 aprile 2014 numero 8053 . Ciò esclude conseguentemente la rilevanza dei dedotti vizi di motivazione in ragione di una prospettata erronea valutazione degli atti di causa che non risultano neanche depositati insieme al ricorso a norma dell'articolo 369 numero 4 cpc. Relativamente alla affermata non equiparabilità tra la posizione del ricorrente e quella della collega coinvolta nei fatti per cui è causa è sufficiente annotare che la Corte del merito razionalmente esclude siffatta equiparabilità sul rilievo che per il D.N., e solo per lui, vi è stata sentenza di applicazione della pena per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Le ipotesi, poi, previste dal contratto collettivo ai fini dell'applicazione di una sanzione meno grave di quella irrogata al ricorrente sono diverse da quelle contestate ed accertate. Da ultimo va rimarcato che il c.d. ravvedimento, rappresentato, nella specie, dalla richiesta di trasferimento presso un altro ufficio giudiziario, è stato valutato dalla Corte territoriale ed è stato ritenuto inidoneo a ripristinare il vincolo fiduciario oramai irrimediabilmente venuto meno per il gravissimo nocumento all'immagine, al prestigio ed al decoro della P.A. Il ricorso, in conclusione, va rigettato. Le spese dei giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 qoater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 per il versamento da parte del ricorrente dì un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità liquidate in E. 3000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.