Principio di non contestazione ante riforma 2009: solo se il fatto è riconosciuto o la difesa non sia incompatibile con il suo disconoscimento

Una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14652/16, depositata il 18 luglio. Il caso. Alfa s.r.l. aveva affidato un’ingente somma di denaro a Beta, società dedita al trasporto di valori. L’importo era stato però rubato a seguito di un furto e Alfa agiva in giudizio per la condanna di Beta al risarcimento dei danni patiti. In primo grado il Tribunale escludeva la responsabilità della convenuta. In appello, la Corte territoriale riteneva sussistente la responsabilità, ma considerava non provati i danni lamentati. La domanda risarcitoria veniva così respinta. Alfa ricorreva allora in Cassazione. Quando la circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica? Secondo il principio di non contestazione, come elaborato dalla giurisprudenza prima della riforma dell’art. 115 c.p.c. con legge n. 69/2009 , in tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento. Chiavi a disposizione della società di trasporto. Nella sentenza impugnata i giudici avevano ritenuto la responsabilità della convenuta perché la società di trasporto valori disponeva delle chiavi di apertura della cassaforte. Pertanto il furto, avvenuto senza effrazione, non poteva essere stato effettuato da soggetti estranei. La Corte d’Appello considerava quindi sussistente la responsabilità di Beta per non aver utilizzato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia. Accertato l’ an , tuttavia, i magistrati giudicavano non provata nel quantum la richiesta di risarcimento. Alfa affidava il proprio ricorso a due motivi. Nel primo si doleva del fatto che il quantum non era mai stato specificamente contestato dalla convenuta, pertanto doveva ritenersi superflua e irrilevante la prova sul punto come previsto dall’art. 115 c.p.c In argomento gli Ermellini osservano che il giudizio era iniziato in primo grado nel 2000, cioè prima della riforma della legge n. 69/2009, che, modificando l’art. 115 c.p.c., ha introdotto nel codice di procedura il principio di non contestazione. La Cassazione invero precisa che tale principio era già stato da tempo elaborato e riconosciuto in giurisprudenza, seppur con alcune particolarità rispetto all’effettiva codificazione” conseguente alla modifica del 2009. In particolare, l’art. 115 c.p.c. stabilisce oggi che la parte costituita ha l’onere di contestare specificamente i fatti dedotti e allegati dall’avversario. Nel caso in cui non lo faccia, il giudice deve porre a fondamento del proprio giudizio non solo le prove, ma anche i fatti non specificamente contestati che, quindi, devono essere considerati incontroversi”. Il principio analogo elaborato dalla giurisprudenza ante riforma del 2009 è leggermente diverso e prende spunto dall’art. 167 c.p.c La norma impone al convenuto di prendere posizione” sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. Di conseguenza, una circostanza dedotta dall’altra parte deve ritenersi pacifica se è stata espressamente ammessa e riconosciuta dall’avversario, oppure se quest’ultimo ha articolato la propria difesa in modo incompatibile con il disconoscimento della circostanza stessa così Cass. 23816/2010 e Cass. Sez. Un. 2951/2016 . Nel caso di specie, pertanto, la mancata contestazione” avrebbe potuto discendere o dal riconoscimento espresso dell’importo rubato o dallo sviluppo di una linea difensiva incompatibile con la negazione dell’entità delle somme sottratte. Al contrario la società convenuta aveva radicalmente negato la propria responsabilità nell’ an e tale tesi, evidentemente, non poteva comportare il riconoscimento del quantum della pretesa risarcitoria avversaria. Peraltro, osservano gli Ermellini, l’onere di contestazione sussiste solo per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ignoti così Cass. 3576/2013 e l’importo effettivo delle somme rubate è considerato estraneo alla sfera diretta di conoscibilità della convenuta Beta. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole del fatto che i giudici dell’appello avrebbero violato l’art. 101, comma 2, c.p.c. avendo deciso la controversia senza stimolare il contraddittorio tra le parti sul tema della mancata prova del danno, questione nuova” sollevata per la prima volta dalla Corte territoriale. Ancora una volta, Alfa pone a fondamento del proprio ricorso una norma non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame l’art. 101 c.p.c. è stato infatti modificato con la riforma del 2009 , ma in ogni caso la disposizione invocata non avrebbe avuto alcun effetto sulla questione. Infatti la questione della prova del danno apparteneva alla causa fin dall’inizio trattandosi di fatto costitutivo della pretesa dell’attrice. La Corte quindi rigetta il ricorso e la sentenza impugnata rimane confermata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 aprile – 18 luglio 2016, n. 14652 Presidente Ambrosio – Relatore Sestini Svolgimento del processo La società La Perla s.r.l., esercente un impianto di rifornimento di carburanti, convenne in giudizio la Sipro - Sicurezza e Protezione s.r.l., con cui aveva stipulato un contratto di trasporto valori, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del furto delle somme custodite all’interno della propria cassaforte. La convenuta resistette alla domanda, provvedendo tuttavia a chiamare in causa - per l’eventuale manleva - la propria assicuratrice Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., che si costituì in giudizio contestando l’operatività della garanzia. Il Tribunale rigettò la domanda dell’attrice ritenendo che non fosse risultata provata la responsabilità della convenuta. La Corte di Appello di Roma, pur ritenendo accertata la responsabilità della Sipro, ha rigettato il gravame della La Perla sul rilievo che la domanda risarcitoria era risultata priva di adeguati riscontri probatori in ordine al quantum indicato dall’appellante in 218.050.000 . Ricorre per cassazione la soc. La Perla, affidandosi a due motivi illustrati da memoria resistono, con distinti controricorsi, la Carige Assicurazioni s.p.a. già subentrata alla Levante Norditalia e la Sipro - Sicurezza Professionale s.r.l. quest’ultima propone anche ricorso incidentale cui resistono sia la soc. La Perla che la Carige. Motivi della decisione 1. La Corte di Appello, rilevato che soltanto la Sipro conosceva il codice e disponeva delle chiavi di apertura della cassaforte, ha ritenuto altamente improbabile che il furto - compiuto senza effrazione - fosse stato commesso da terzi estranei e ha concluso che la Sipro era certamente responsabile anche per non aver dimostrato di avere utilizzato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia e che il furto era dunque conseguenza del comportamento inadempiente della Sipro ciò premesso, ha tuttavia negato il risarcimento, ritenendo che la domanda fosse risultata priva di adeguati riscontri probatori in ordine al quantum , poiché la documentazione prodotta dalla La Perla non era idonea a provare la sottrazione di 218 milioni di lire. 2. Col primo motivo del ricorso principale , la soc. La Perla deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 C.P.C. e dell’art. 2697 c.c., censurando la Corte per non avere applicato il principio secondo cui la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del diritto dedotto da uno dei due contendenti lo rende incontroverso e non più bisognevole di prova rileva, infatti, che non era stato contestato il fatto storico dell’ammanco nell’importo indicato dall’attrice ed assume che ciò rendeva irrilevante e superflua la prova sul punto, mentre la contestazione dell’an, involgente esclusivamente il profilo della responsabilità, non esonerava i convenuti dall’onere di contestare il quantum della pretesa. 2.1. Al riguardo, la Sipro ha dedotto - in fatto - che, costituendosi in giudizio, aveva contestato la domanda risarcitoria sia nell’an che nel quantum e che, con la memoria di replica alla conclusionale avversaria, aveva rilevato che l’attrice non aveva dimostrato né la natura né l’entità del danno lamentato in diritto, ha rilevato come il nuovo testo dell’art. 115 C.P.C. introdotto dalla l. n. 69/2009 non era applicabile ad attività processuali risalenti all’anno 2000, aggiungendo - in relazione al principio di non contestazione elaborato dalla giurisprudenza anteriormente all’anzidetta novella – che l’avvenuta contestazione di qualsivoglia responsabilità a suo carico non poteva che ritenersi estesa al quantum poiché la contestazione del fatto a monte è incompatibile con l’ammissione del fatto a valle ha escluso, altresì, che fosse risultato violato l’art. 2697 c.c. in quanto la Corte aveva correttamente posto a carico dell’attrice l’onere di provare l’entità del danno. 2.2. Pur dovendosi escludere che nel presente giudizio iniziato nell’anno 2000 possa operare direttamente il novellato art. 115, 1 co. C.P.C. applicabile, ex art. 58, co. 1 l. n. 69/2009, ai giudizi iniziati dopo il 4.7.2009 , deve tuttavia valutarsi se la Corte abbia comunque violato il principio di non contestazione già da tempo elaborato dalla giurisprudenza di legittimità alla luce della previsione dell’art. 167, 1 co. C.P.C., che impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda il tutto in relazione al dato pacifico - che la Sipro ha incentrato le proprie difese sulla radicale negazione della propria responsabilità senza contestare specificamente l’entità della somma asportata dalla cassaforte. Al riguardo si osserva - la circostanza che non risulti applicabile l’art. 115 c.p.c. comporta la necessità di fare riferimento esclusivamente al principio di non contestazione così come configurabile sulla base della previsione dell’art. 167 c.p.c. nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda , a prescindere dalla previsione del novellato art. 115 c.p.c. il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita , che, con l’utilizzo dell’avverbio specificamente , richiede al convenuto che intenda contestare i fatti dedotti dall’attore di farlo in modo specifico” - in riferimento al principio di non contestazione - come desumibile dall’art. 167 c.p.c. - questa Corte ha affermato che, in tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica - in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica - se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento Cass. n. 23816/2010 il principio è stato recentemente ribadito dalle SS.UU., che hanno rilevato come la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta possa rendere superflua la prova del fatto allegato dall’attore e hanno precisato che ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo Cass., S.U. n. 2951/2016 - ne consegue che, nel caso in esame, la mancata contestazione circa l’entità delle somme trafugate che avrebbe esonerato l’attrice dall’onere della relativa prova avrebbe potuto conseguire – alternativamente - all’espresso riconoscimento dell’importo da parte della convenuta o all’articolazione di una difesa incompatibile con la negazione della somma indicata dall’attrice circostanze tutte non risultanti né dal contenuto della comparsa di costituzione della Sipro come trascritta in ricorso né dal tenore delle censure articolate dalla ricorrente, che si incentrano sul dato della mancanza di contestazione circa l’ammontare indicato dall’attrice, senza però spiegare perché la recisa contestazione della domanda in punto di responsabilità comportasse comunque - il riconoscimento della somma indicata o fosse incompatibile con la sua contestazione - va peraltro considerato che l’onere di contestazione - la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ignoti Cass. n. 3576/2013 cosicché, nel caso di specie, essendo il dato dell’effettivo importo trafugato estraneo alla sfera di diretta conoscibilità da parte della convenuta, la ricorrente avrebbe dovuto suffragare la deduzione della violazione del principio di non contestazione con l’indicazione delle circostanze che avevano reso tale dato noto alla Sipro. 3. Col secondo motivo nullità della sentenza ex art. 360 C.P.C. n. 4 per violazione sia dell’articolo 183 C.P.C. che dell’art. 101 C.P.C. , la ricorrente si duole che la Corte abbia sollevato la questione della mancata prova del danno mai sollevata dalle parti, né dal giudice in corso di causa soltanto con la sentenza, così violando il diritto della difesa a vedersi assegnato un termine per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2 C.P.C. . 3.1. Il motivo è infondato. Premesso che non può trovare applicazione diretta la norma dell’art. 101, 2 co. c.p.c. introdotta dalla l. n. 69/2009 e applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore , ma caso mai il principio giurisprudenziale del divieto della pronuncia della terza via , va rilevato che la questione dell’esistenza e dell’entità del danno apparteneva alla causa fin dall’inizio, quale fatto costitutivo della pretesa risarcitoria il giudice non ha dunque introdotto una questione nuova”, ma ha semplicemente ritenuto non adeguatamente provato il danno. 4. Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento dell’ incidentale proposto dalla Sipro, in quanto condizionato all’accoglimento del primo. 5. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite fra le due ricorrenti, ai sensi del testo originario dell’art. 92 c.p.c. applicabile ratione temporis, trattandosi di causa iniziata nell’anno 2000 in base al principio di causalità, le ricorrenti vanno invece condannate in solido - al pagamento delle spese processuali sostenute dalla Carige. 6. Trattandosi di ricorsi proposti successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, in relazione alla ricorrente principale non anche in ordine a quella incidentale, atteso che il suo ricorso è stato dichiarato assorbito e non rigettato o dichiarato inammissibile o improcedibile . P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale compensate le spese di lite fra le ricorrenti, condanna le medesime ricorrenti, in solido, a rifondere alla Carige Assicurazioni s.p.a. le spese processuali, liquidate in 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre rimborso delle spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.