Operazioni sospette: l’obbligo di comunicazione al Ministero è in capo alla banca

In caso di estinzione di certificati di deposito al portatore eccedenti l’importo stabilito per legge, da parte di soggetto diverso da quello che ne aveva chiesto l’emissione, in mancanza di idonea attestazione da parte dell’esecutore materiale dell’operazione, si deve presumere la sussistenza di un’operazione sospetta, in quanto idonea a porsi quale strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio. Per questi motivi, la Cassazione richiede che la banca debba dare comunicazione di tali operazioni al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14065/16, depositata l’8 luglio. Il caso. Una banca proponeva opposizione per l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento irrogatagli dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, inerente la violazione dell’art. 5, comma 2, l. n. 197/91 cd. legge antiriciclaggio . L’opponente lamentava violazione dell’art. 14 l. n. 689/81 in quanto non rispettato il termine di 90 giorni per la notifica dell’infrazione, e riteneva non sussistente la contestata infrazione, in quanto l’estinzione di due certificati di importo superiore ad Euro 12.500 avvenuta ad opera di un soggetto diverso dall’originario sottoscrittore non comportava la ravvisabilità di un trasferimento tra soggetti diversi in violazione delle disposizioni antiriciclaggio. All’opposizione della banca veniva poi riunita quella proposta dal direttore della filiale in cui erano state effettuate le operazioni, altro destinatario dell’ingiunzione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze chiedeva invece il rigetto dell’opposizione di controparte, contestando l’assunta violazione dell’art. 14 l. n. 689/81. Il Tribunale rigettava entrambe le opposizioni. Sia il direttore che la banca si rivolgevano dunque alla Corte d’appello di Torino, che annullava l’ordinanza di ingiunzione con riguardo alla posizione del direttore, rigettando il gravame della banca. Avverso tale decisione ricorreva dunque per cassazione la banca. Il termine di 90 giorni per la notifica della violazione. I motivi di doglianza del ricorrente sono 4, analizzabili a coppie. Con i primi due motivi, il ricorrente lamenta violazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. degli artt. 14, comma 2, l. n. 689/81 e 1, d.l. n. 143/91, convertito in l. n. 197/91, in relazione al mancato rispetto del termine di 90 giorni e motivazione omessa o contraddittoria ex art. 360, n. 5, c.p.c. in ordine all’eccepita violazione dell’art. 14, comma 2, l. n. 689/81. La Corte ritiene tali motivi infondati. L’art. 14, comma 2, l. n. 689/81 recita Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di 90 giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di 360 giorni dall’accertamento . Tale disposizione, nel riferirsi all’accertamento e non alla data di commissione della violazione, va intesa nel senso che il termine di 90 giorni comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta l’attività amministrativa volta a verificare tutti gli elementi dell’infrazione. Tale accertamento coincide con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare – ex art. 13 l. cit. – l’esistenza di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, della condotta realizzata, con la valutazione dei dati acquisiti ed afferenti ai presupposti dell’infrazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione stessa, ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita ed a stimarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione come affermato, tra le altre, dalla sent. n. 18574/14 . Sarà peraltro il giudice di merito a valutare discrezionalmente la congruità del tempo utilizzato dall’accertamento, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato. L’obbligo di segnalazione degli intermediari. È vero poi che l’art. 5, comma 2, d.l. n. 143/91 – qui applicabile ratione temporis , poi abrogato dal d.lgs. n. 56/04 – prescriveva un obbligo di segnalazione delle operazioni bancarie in contanti gravante sugli intermediari abilitati – impersonalmente considerati – e non sul singolo funzionario addetto all’operazione l’art. 3 dello stesso d.l. però contemplava altresì fattispecie di obbligo di segnalazione gravante proprio sui dipendenti dell’azienda muniti della responsabilità dell’agenzia, con riguardo a operazioni finanziarie che, per le loro caratteristiche o altre circostanze, inducessero a ritenere che il denaro oggetto delle operazioni potesse provenire dai delitti di cui agli artt. 648- bis e 648- ter c.p L’esonero dall’obbligo di informazione al Ministero. Anche il terzo e il quarto motivo sono, per la Corte di Cassazione, infondati. Essi denunciano violazione e erronea interpretazione degli artt. 1 e 3 l. n. 689/81, in relazione agli artt. 1, comma 1, e 5, comma 2, d.l. n. 143/91, convertito in l. n. 197/91, sostenendo che tutti i profili colposi fossero ascrivibili al direttore della filiale e non certo alla banca stessa. Inoltre, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., si deduce lacuna motivazionale della sentenza d’appello quanto al dolo o alla colpa della banca. Sostiene la Corte che l’ultima parte del comma 2 dell’art. 5, d.l. n. 143/91, per le ipotesi di operazioni finanziarie che celino trasgressioni alla normativa sui trasferimenti di contante anomali, esonera i responsabili del punto operativo dell’ufficio dall’obbligo di informare direttamente il Ministero, chiamandoli a segnalare l’operazione al titolare dell’attività o al legale rappresentante - che sarà poi tenuto agli adempimenti di cui all’art. 3, comma 2 -, impegnando dunque gli intermediari abilitati ad effettuare le operazioni di trasferimento di denaro ad un’attenta predisposizione di moduli organizzativi per il rilevamento e la segnalazione delle operazioni sospette, in modo da prevenire dunque le omesse segnalazioni. L’obbligo di comunicazione della banca di operazioni sospette. Da ciò consegue poi che la banca debba dare comunicazione dell’avvenuta estinzione di certificati di deposito al portatore eccedenti l’importo stabilito dalla legge, da parte di soggetto diverso da quello che ne aveva chiesto l’emissione, giacché in mancanza di idonea attestazione da parte dell’esecutore materiale dell’operazione, si deve presumere la sussistenza di un’operazione sospetta, in quanto idonea a porsi quale strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio. Non avendo dunque la banca posto la necessaria attenzione e prudenza e dunque, non avendo segnalato l’ipotesi di infrazione nella negoziazione dei certificati di deposito, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 aprile – 8 luglio 2016, numero 14065 Presidente Petitti – Relatore Scarpa Svolgimento del processo Con ricorso del 27.2.2007 davanti al Tribunale di Vercelli, la Banca Intesa San Paolo spa proponeva opposizione per l'annullamento dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento della somma di € 25.306,00, irrogata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con decreto dirigenziale numero 63473/2007, emesso il 17.1.2007 e notificato il 2.2.2007, inerente la violazione dell'art. 5, comma 2, della legge numero 197/1991 cd. legge antiriciclaggio . L'opponente esponeva che l'art. 14 della legge numero 689/1981 prescrive che, nel caso in cui l'infrazione non sia contestata immediatamente, la stessa deve essere notificata entro 90 giorni dall'accertamento che, nel caso di specie, la contestazione da parte del Ministero dell'infrazione traeva origine dalla lettera della Guardia di Finanza di Vercelli del 12.12.2002, ricevuta dal Dicastero in data 14.1.2003 che il Ministero, senza effettuare alcuna ulteriore attività di accertamento, aveva notificato il verbale di contestazione dell'infrazione soltanto in data 30.5.2003, con conseguenti tardività ex art. 14 della legge numero 689/1981 ed estinzione dell'obbligazione di pagamento che, comunque, considerata la lettera dell'art. 5, comma 2, della legge numero 197/1991, non sussisteva la contestata infrazione, in quanto l'estinzione di due certificati di importo superiore ad € 12.500,00 avvenuta ad opera di soggetto diverso dall'originario sottoscrittore, non comportava la ravvisabilità di un trasferimento fra soggetti diversi in violazione delle disposizioni antiriciclaggio che per tale ragione la banca ricorrente non aveva proceduto alla segnalazione dell'operazione al Dicastero, uniformandosi alle prescrizioni della lettera circolare dell'A.B.I. numero 187 del 17 gennaio 1996 che l'atto di accertamento era annullabile anche perché alla contestazione non aveva proceduto il competente Ufficio Italiano dei Cambi. Si costituiva il Ministero dell'Economia e delle Finanze chiedendo il rigetto dell'opposizione di controparte e contestando, in particolare, l'assunta violazione dell'art. 14 della legge numero 689/1981, in quanto il decreto sanzionatorio aveva posto a base della contestazione la lettera del Comando Nucleo di Polizia Tributaria del 12.12.2002, nonché la lettera del 21.3.2003, pervenuta il 10.4.2003. All'opposizione proposta da Banca Intesa San Paolo spa veniva riunita l'opposizione proposta da altro destinatario dell'ingiunzione, L.C., direttore della filiale di Vercelli, che aveva eseguito l'operazione per cui è causa. Con sentenza del 18.12.2008 il Tribunale di Vercelli rigettava entrambe le opposizioni. Per quanto in questa sede ancora specificamente rilevi, il Tribunale rigettava l'eccezione di tardività della notifica della contestazione per inosservanza del termine di novanta giorni ex art. 14 della legge numero 68911981, osservando che l'ultimo atto di accertamento compiuto dal Ministero era rappresentato dalla comunicazione dei Comando Nucleo di Polizia Tributaria di Vercelli della Guardia di Finanza ricevuta il 10 o 14 .4.2003, con la quale erano state ottenute informazioni relative all'identificazione del direttore della filiale di Vercelli della Banca San Paolo. In ordine al merito, il Tribunale osservava che, ai sensi dell'art. 2 della legge antiriciclaggio, all'atto della presentazione all'incasso, da parte di tale M., dei due certificati di deposito al portatore, la banca opponente avrebbe dovuto acquisire i dati identificativi del soggetto e verificare se questi agiva nel proprio interesse oppure per conto di terzi, e di seguito appurare, mediante richiesta alla filiale dell'istituto bancario San Paolo IMI di Casale Monferrato, presso la quale i due titoli erano stati emessi, se il soggetto a cui favore i titoli erano stati rilasciati coincideva con il presentatore all'incasso oppure era da identificarsi in un soggetto delegante o in un terzo tale accertamento avrebbe fatto sorgere l'obbligo di comunicazione al Ministero ai sensi dell'art. 5 della legge 197/1991. Ciò tanto più considerata l'entità particolarmente elevata delle somme di danaro portate all'incasso £. 490.000.000 . Sia L.C. che la Banca Intesa San Paolo spa proponevano appello, con costituzione del Ministero. La CORTE D'APPELLO di TORINO, con sentenza numero 843/2012 del 15/05/2012, annullava l'ordinanza ingiunzione con riguardo alla posizione del C. rilevando come, sulla base dell'art. 5, comma 2, della legge numero 197/1991, fosse esclusa l'addebitabilità dell'infrazione ai singoli funzionari , mentre rigettava il gravame della Banca. Sempre per quanto rilevi ancora in questo grado, la Corte d'Appello di Torino, relativamente alla dedotta decorrenza del termine di cui all'art. 14, legge numero 689 del 1981, considerava come le attività di accertamento precedenti l'emanazione dell'ordinanza ingiunzione debbano essere valutate in concreto, affermando che, nella specie, occorresse reputare quale ultimo atto di accertamento, dies a quo di detto termine, la nota della Guardia di Finanza dei 10 aprile 2003, contenente informazioni relative all'identificazione del direttore della filiale. Né sarebbe possibile, ad avviso della Corte territoriale, in mancanza di una palese dilatorietà dell'attività della Pubblica Amministrazione, sindacare la rilevanza o meno di detto accertamento. Quanto al merito, la Corte di Torino delinea in sentenza i contorni di fatto della vicenda. L'addebito ha ad oggetto l'omessa segnalazione di operazioni finanziarie per un ammontare di lire 490 milioni, equivalenti ad curo 253.063, eseguite in violazione dell'ari. 1, comma 1, della legge numero 197 del 1991, operazioni consistite nell'avvenuta presentazione all'incasso, presso la filiale di Vercelli della Banca, in data 9 novembre 2000 e in data 19 novembre 2000, di due certificati di deposito al portatore, rispettivamente di lire 262.295.083 e di lire 59.016.394, emessi in data 9 novembre 1995 e in data 19 dicembre 1995 da soggetto diverso, originario richiedente e proprietario dei titoli, rispetto al presentatore all'incasso. Dalle risultanze documentali emerge, in sostanza, che il presentatore all'incasso, tale M., provvide a depositare i certificati di deposito sul proprio conto corrente presso la filiale di Vercelli dell'istituto bancario San Paolo, poi confluito nella Banca Intesa San Paolo spa, e che i titoli in questione appartenevano a tale N correntista presso altra filiale dello stesso istituto bancario. La Corte d'Appello confutava, allora, le giustificazioni addotte dalla Banca, circa una pretesa impossibilità di accertare la diversità tra il soggetto richiedente e proprietario dei titoli ed il soggetto presentatore all'incasso dei medesimi, in quanto accertamento, oltre che doveroso per il banchiere, nella specie appariva anche agevole, trattandosi di due correntisti dell'istituto San Paolo. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino la Banca Intesa San Paolo spa ha proposto ricorso in quattro motivi. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, intimato, ha limitato la propria attività difensiva alla partecipazione all'udienza di discussione. Motivi della decisione Il primo motivo di ricorso della Banca Intesa San Paolo s.p.a. denuncia violazione, ex art. 360, numero 3, c.p.c., degli artt. 14, comma 2, della legge numero 689/1981, 5 e 1, d. l. numero 143/1991, convertito in legge numero 197/1991. Si ribadisce quanto già enunciato come motivo d'appello. Il dies a quo per la notificazione degli estremi della contestata violazione doveva decorrere dal 12.12.2002 o dal 14.1.2003, data, rispettivamente, di spedizione o di ricezione della comunicazione inoltrata al Ministero dal Comando Nucleo provinciale di Polizia Tributaria di Vercelli, a nulla rilevando il ricevimento in data 10 o14 .4.2003 della comunicazione relativa all'identificazione del Direttore della filiale di Vercelli. La prima comunicazione era, infatti, già completa circa gli elementi oggettivi dell'infrazione, mentre del tutto erronea era l'esigenza, avvertita dal Ministero, di procurarsi i dati del funzionario, essendo quella contemplata dall'art. 5 d. 1. numero 143/1991, convertito in legge numero 197/1991 vigente ratione temporis una violazione propria dell'intermediario, ovvero della Banca San Paolo IMI, soggetto già noto al Ministero sin dal 14.1.2003. Il secondo motivo di ricorso deduce la motivazione omessa o contraddittoria ex art. 360, numero 5, c.p.c. in ordine all'eccepita violazione dell'art. 14, comma 2, legge numero 689/1981. Si ripetono, sotto il profilo del difetto di motivazione, le stesse considerazioni poste a base dei primo motivo di ricorso. Il terzo motivo allega la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 1 e 3 della legge numero 689/1981, in relazione agli artt. 1, comma 1, e 5, comma 2, del d. 1. numero 143/1991, convertito in legge numero 197/1991. Vi si sostiene che tutti i profili colposi sottolineati dalla Corte di merito fossero ascrivibili al direttore della Filiale di Vercelli e non certo a Banca Intesa San Paolo. Il quarto motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, numero 5 c.p.c., espone la lacuna motivazionale della sentenza della Corte di Torino quanto al dolo o alla colpa della Banca, limitandosi a trascrivere per intero uno stralcio dell'atto di appello recante censure alla decisione di primo grado. I primi due motivi di ricorso, che per la loro logica connessione vanno esaminati congiuntamente, si rivelano infondati. L'art. 14, comma 2, della legge numero 689 del 1981, dispone che Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento . Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, tale disposizione, nel riferirsi all'accertamento e non alla data di commissione della violazione, va intesa nel senso che il termine di novanta giorni comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta - o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie - , l'attività amministrativa volta a verificare tutti gli elementi dell'infrazione. L'accertamento non coincide, quindi, con l'iniziale, generica o approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare, secondo le modalità previste dall'art. 13 della stessa legge, l'esistenza di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, della condotta realizzata, e richiede la valutazione dei dati acquisiti ed afferenti ai presupposti dell'infrazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell'infrazione medesima, ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita ed a stimarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione tra le più recenti, Cass. 02/04/2014, numero 7681 Cass. 03/09/2014, numero 18574 Cass. 02/12/2011, numero 25836 . Compete, peraltro, al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per l'accertamento, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato arg. da Cass. 13/12/2011, numero 26734 . Non è pertanto censurabile la motivazione della Corte di Torino, laddove la stessa ha ritenuto che il termine di novanta giorni, nel caso di specie, sia cominciato a decorrere soltanto allorchè il Ministero ottenne, in data 10 aprile 2004, l'ultima informativa recante l'identificazione del direttore della filiale di Vercelli, essendo tale notizia necessaria per la contestazione dell'infrazione ipotizzata dall'Amministrazione, contestazione che effettivamente il Ministero notificò pure a L.C E' vero che l’art. 5, comma 2, del d.l. 03/05/1991, numero 143 qui applicabile catione temporis, poi abrogato dal dlgs. 20 febbraio 2004, numero 56 , come chiarito da questa Corte, successivamente ai fatti di causa, con la sentenza 14/10/2008, numero 25134, prescriveva un obbligo di segnalazione delle operazioni bancarie in contanti, ex art. 1, comma 1, del medesimo d.l. numero 143 del 1991, gravante sugli intermediari abilitati, ovvero sugli intermediari impersonalmente considerati, quale ad esempio l'azienda di credito, e non sul singolo funzionario o sul cassiere addetto all'operazione. E' però anche vero che l’art. 3 del d.l. numero 143/1991 contemplava altresì fattispecie di obbligo di segnalazione gravante proprio sui dipendenti dell'azienda di credito muniti della responsabilità dell'agenzia, e ciò con riguardo ad operazioni finanziarie che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita , inducessero a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale . La comunicazione pervenuta al Ministero il 10 aprile 2003 portò, quindi, all'amministrazione la notizia completa circa gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta realizzata, e così consenti alla stessa di compiere la valutazione finale dei dati acquisiti afferenti agli elementi dell'infrazione. Anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso meritano trattazione congiunta e si rivelano infondati. Le censure che tali motivi introducono trovano risposta nella motivazione dello stesso precedente di questa Corte citato dalla ricorrente Cass. 14/10/2008, numero 25134 . L'ultima parte del comma 2 dell'art. 5, d.l. 143/1991, per le ipotesi, ivi contemplate, di operazioni finanziarie che celino trasgressioni alla normativa sui trasferimenti di contante anomali di gravità tale da non essere sospette di coprire gli illeciti penali considerati nell'art. 3 , esonera i responsabili del punto operativo o dell'ufficio dall'obbligo di informare direttamente il Ministero, chiamandoli a segnalare l'operazione al titolare dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato, il quale è poi tenuto agli adempimenti di cui all'art. 3, comma 2. Il sistema così allestito impegna, pertanto, gli intermediari abilitati ad effettuare le operazioni di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore, ad un'attenta predisposizione di moduli organizzativi per il rilevamento e la segnalazione delle operazioni sospette, con il risultato di prevenire le omesse segnalazioni. Premesso che le infrazioni che attivano l'obbligo per gli intermediari abilitati di riferire al Ministero, ai sensi del comma 2 dell'art 5 in esame, vanno intese nel senso di ipotesi astrattamente suscettibili di dar luogo ad operazioni finanziarie sospette, è innegabile che una banca debba, a tal fine, dare comunicazione dell' avvenuta estinzione di certificati di deposito al portatore eccedenti l'importo stabilito dalle legge, da parte di soggetto diverso da quello che ne aveva chiesto l'emissione, giacché, in mancanza di idonea attestazione da parte dell'esecutore materiale dell'operazione, si deve presumere la sussistenza di un'operazione sospetta, in quanto idonea, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, a porsi quale strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio. Quando un certificato di deposito al portatore viene presentato per l'estinzione da un soggetto diverso da quello che lo abbia richiesto o che ne risulti titolare in base alle evidenze della banca, va evidentemente ritenuto che il titolo sia stato trasferito da un soggetto ad un altro. Alla Banca Intesa San Paolo, intermediario abilitato, impersonalmente considerato, come imposto proprio dalla norma applicata, i giudici del merito hanno quindi opposto il difetto della necessaria attenzione e prudenza per non aver segnalato l'ipotesi di infrazione nella negoziazione dei certificati di deposito intervenuta tra il M. ed il N La Corte d'Appello ha congruamente superato le argomentazioni svolte dalla Banca appellante, sottolineando come l'obbligo di segnalazione dell'operazione prescindesse dall'acquisita certezza di un trasferimento fra soggetti diversi, escludendo la necessità di apposite indagini da parte dell'operatore bancario, richiamando gli obblighi di identificazione e di registrazione previsti dall'art. 2 del d.l. numero 143/1991, evidenziando come la diversità tra il soggetto richiedente e proprietario dei titoli ed il soggetto presentatore all'incasso dei medesimi fosse, nel caso concreto, ancor più agevole, trattandosi di due correntisti dell'Istituto San Paolo, seppure presso filiali diverse. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, per l'attività difensiva svolta dall'intimato Ministero, limitata alla discussione orale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute in questo giudizio, che liquida in complessivi € 1.000,00, per compensi. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.