Irragionevole durata del processo: si computa anche il periodo in cui il ricorrente era minorenne

Con il caso prospettato, la Corte ha avuto modo di esprimere il principio di diritto secondo il quale, nel calcolo del periodo temporale per il risarcimento non patrimoniale da irragionevole durata del processo, va computato anche il periodo nel quale il minore – nelle more divenuto maggiorenne – agiva in giudizio con la rappresentanza dei genitori.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13560, depositata il 1° luglio 2016. Il caso. Con sentenza del 10 gennaio 2014, la Corte d’appello di Salerno accoglieva la domanda con cui si chiedeva il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della l. n. 89/01, per l’irragionevole durata di un processo civile instaurato dai genitori del ricorrente con atto di citazione del 26 settembre 2005, non ancora definito al momento della presentazione della domanda. Con il ricorso, egli chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale subito in relazione alla ritenuta durata eccedente quella ragionevole. La Corte accoglieva la domanda, calcolando in 1 anno e 4 mesi la durata irragionevole del giudizio presupposto. Avverso tale sentenza muoveva ricorso per cassazione il ricorrente. L’argomento della Corte d’appello non è condivisibile. Con i primi due motivi di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della l. n. 89/01, art. 2, commi 2 e 3, degli artt. 1223, 1226, 1226, 2056 c.c., nonché degli artt. 6 par. 1 e 13 della C.E.D.U., oltre ad omessa motivazione, con riferimento alla ritenuta illegittimità ed erroneità del decreto impugnato nella parte in cui aveva considerato non indennizzabile, in suo favore, il segmento temporale di durata del processo iniziato dai suoi genitori – quando egli era minorenne – in rappresentanza legale dello stesso, decorrente dalla notifica dell’atto di citazione sino alla data della sua costituzione. Entrambi i motivi vengono ritenuti fondati dalla Corte. La S.C. non ritiene condivisibile la ricostruzione argomentativa della Corte d’appello, con cui escludeva dal calcolo del periodo temporale della irragionevole durata del processo il tempo in cui il ricorrente odierno aveva agito come minorenne rappresentato dai genitori. Non ritiene ciò condivisibile in ragione della distonia con l’impianto e la ratio della l. n. 89/01, con l’art. 6, par. 1, della C.E.D.U. e con la corretta interpretazione dell’art. 75 c.p.c Il minore d’età è titolare del diritto all’equa riparazione? Già nel 2013, con la sent. n. 5067, la stessa Corte aveva dato risposta affermativa, sostenendo che il minore fosse titolare del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo. E ciò in vista di art. 111 Cost., comma 2, con cui viene garantito il diritto alla ragionevole durata del processo a tutte le parti e la salvaguardia delle esigenze organizzative dell’apparato giudiziario art. 6, par. 1, C.E.D.U., che assicura tale diritto ad ogni persona e quindi anche ai minori la l. n. 89/01, art. 2, comma 2, che riconosce il diritto all’equa riparazione a chi ha subito un danno per violazione dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U. e, infine, poiché la stessa corte aveva già riconosciuto tale diritto anche alla persona incapace. Peraltro, la Corte ricorda quanto aveva già affermato con la sent. n. 19015/10 , ossia che la rappresentanza processuale del minore non cessa automaticamente allorché questi diventa maggiorenne ed acquista capacità processuale, perché è necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione con un atto del processo. Quindi, se il minore divenuto maggiorenne non si è costituito in proprio nel corso della fase processuale in cui ha raggiunto la maggiore età, continuerà ad essere rappresentato legittimamente dai genitori, ma sarà comunque onerato a costituirsi in via autonoma negli ulteriori gradi di giudizio ai fini del computo ulteriore del periodo di durata del processo per l’individuazione dell’eventuale segmento di protrazione temporale irragionevole del processo nei suoi confronti. Si computa il periodo decorso fino al raggiungimento della maggiore età. Per queste ragioni, la Corte espone il principio di diritto secondo cui, in tema di equa riparazione, ex art. 2, l. n. 89/01, nel computo complessivo da compiere ai fini della determinazione della irragionevole durata del processo, in un giudizio civile a cui abbiano partecipato ab origine i genitori di un minore, occorre tener conto anche del periodo decorso fino al raggiungimento della maggiore età da parte del minore stesso e di quello relativo alla protrazione del giudizio nell’ambito della medesima fase processuale in cui i genitori siano rimasti costituiti, per effetto dell’operatività dell’ultrattività della relativa rappresentanza processuale, rimanendo, naturalmente impregiudicato il diritto del rappresentato ad intervenire, nell’ambito della stessa fase, con la sua costituzione volontaria in conseguenza del raggiungimento della maggiore età .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, sentenza 4 febbraio – 1 luglio 2016, n. 13560 Presidente Manna – Relatore Falaschi Svolgimento del processo P.B. chiedeva alla Corte di appello di Salerno, con ricorso depositato in data 5 marzo 2012, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un processo civile di risarcimento danni da infortunio instaurato dai propri genitori allorquando egli era minorenne con atto di citazione notificato il 26.09.2005 dinanzi al Tribunale di Catanzaro e non ancora definito al momento della presentazione della domanda, invocando la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale subito in relazione alla ritenuta durata eccedente quella ragionevole, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Nella costituzione del resistente Ministero, la Corte di appello adita, con decreto, depositato il 10 gennaio 2014, accoglieva, per quanto di ragione, il ricorso proposto e, per l’effetto, determinata in un anno e quattro mesi la durata irragionevole del giudizio presupposto, condannava il convenuto Ministero al risarcimento del danno non patrimoniale, in favore del ricorrente, nella misura di Euro 1.333,20, oltre interessi legali dalla domanda, con compensazione delle spese processuali. Avverso il menzionato decreto ha proposto ricorso per cassazione il P. , sulla base di tre motivi. Il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata. Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cc., nonché degli arti. 6 paragr. 1 e 13 della C.E.D.U., oltre ad omessa motivazione, con riferimento alla ritenuta illegittimità ed erroneità del decreto impugnato nella parte in cui aveva considerato non indennizzabile, in suo favore, il segmento temporale di durata del processo iniziato dai suoi genitori quando egli era minorenne , in rappresentanza legale dello stesso, decorrente dalla notifica dell’atto di citazione sino alla data della sua costituzione. I primi due motivi - che possono essere esaminati congiuntamente siccome strettamente connessi sono fondati e devono, pertanto, essere accolti. La Corte di merito ha escluso la indennizzabilità del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo con riferimento al periodo temporale in cui l’odierno ricorrente era ancora minorenne ed avevano agito, in sua rappresentanza, nella causa risarcitoria i suoi genitori, rilevando che, una volta che lo stesso si era poi autonomamente costituito in giudizio al raggiungimento della maggiore età, non sarebbe potuto subentrare nel patema d’animo o nell’ansia da aspettativa della decisione patiti dai genitori, ragion per cui, solo a decorrere dalla data in cui lo stesso aveva assunto la qualità di parte in proprio, si sarebbe potuto calcolare ex novo l’eventuale maturazione di una ulteriore ed autonoma eccedenza di durata del processo stesso ai fini dell’indennizzo richiesto. La richiamata ricostruzione argomentativa non è condivisibile, dal momento che si pone in distonia, sotto il profilo logico-sistematico, con l’impianto e la ratio della L. n. 89 del 2001, oltre che con l’art. 6, paragr. 1, della C.E.D.U. e con la corretta interpretazione dell’art. 75 c.p.c La questione implicata dalla doppia censura del ricorrente consiste nello stabilire se il soggetto minore d’età sia o meno titolare del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e della L. 24 marzo 2001, n. 89 con riferimento al disposto di cui all’art. 2, comma 1 . Questa Corte con pronuncia n. 5067 del 2013, cui il collegio ritiene di dare continuità, ha dato risposta affermativa sulla base dei concorrenti rilievi già enunciati da Cass. n. 11338 del 2011 alla stregua dei quali a l’art. 111 Cost., comma 2, garantisce a tutte le parti il diritto alla ragionevole durata del processo la legge può prevedere - come in effetti prevede - a questo scopo la realizzazione del diritto ad un giudizio equo ed imparziale in modi diversi, purché ragionevolmente idonei, componendo l’interesse a garantire l’imparzialità del giudizio con i concomitanti interessi ad assicurare la speditezza dei processi, la cui ragionevole durata è oggetto, oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale, come oggi espressamente risulta dal dettato del citato art. 111 Cost., comma 2 e la salvaguardia delle esigenze organizzative dell’apparato giudiziario v., in proposito, Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2002 b il menzionato art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali assicura, in particolare, tale diritto ad ogni persona e, dunque, anche alla parte minore d’età c la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, nel riconoscere il diritto ad una equa riparazione a chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea non può che interpretarsi in senso conforme a rade disposizione pattizia e, perciò, nel senso che anche la parte minore d’età - che, quale persona che non ha il libero esercizio dei diritti, abbia partecipato al giudizio per mezzo del proprio rappresentante legale art. 75 c.p.c., comma 2 in tal senso v. Cass. n. 6116 del 2008 - è titolare dello stesso diritto d tale diritto è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte anche alla persona incapace infatti, è stato enunciato il principio per cui, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 il danno non patrimoniale è una conseguenza che, secondo l’id quod plerumque accidit, si accompagna alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e il risarcimento di tale pregiudizio spetta pure all’interdetto che di esso sia stato parte, perché, a prescindere da ogni riferimento al dolore emozionale, detto danno è destinato in ogni caso a rilevare, e ad essere pertanto risarcito, nella sua componente oggettiva di offesa per la lesione del diritto ad un procedimento giurisdizionale che si deve svolgere nei tempi ragionevoli prescritti dalla Costituzione e dalla CEDU, a causa della conseguente perdita dei vantaggi personali conseguibili da una sollecita risposta del servizio giustizia cfr. Cass. n. 10412 del 2009 . Pertanto, nel computo complessivo da operare in funzione della determinazione della irragionevole durata del processo ed ai fini del correlato riconoscimento del diritto all’equa riparazione, deve tenersi conto, in un giudizio civile a cui abbiano partecipato i genitori di un minore quali suoi rappresentati legali , anche del periodo decorso fino al raggiungimento della maggiore età da parte del minore stesso che, appunto, abbia partecipato al giudizio debitamente rappresentato . A tal proposito deve, peraltro, ricordarsi v., ad es., Cass. n. 1206 del 2002 e Cass. n. 19015 del 2010 che la rappresentanza processuale del minore non cessa automaticamente allorché questi diventa maggiorenne ed acquista, a sua volta, la capacità processuale, rendendosi necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione con un atto del processo, specificandosi, però, che questo principio dell’”ultrattività della rappresentanza opera soltanto nell’ambito della stessa fase processuale, attesa l’autonomia dei singoli gradi di giudizio. Da tanto consegue che se il minore, divenuto nelle more maggiorenne, non si sia costituito in proprio nel corso della fase processuale in cui ha raggiunto la maggiore età, continua ad essere rappresentato legittimamente dai genitori costituitisi ab origine , egli è, tuttavia, onerato a costituirsi in via autonoma negli ulteriori eventuali gradi di giudizio ai fini del computo ulteriore - ed in continuità con quello maturato nel grado precedente - del periodo di durata del processo allo scopo della individuazione dell’eventuale segmento di protrazione temporale irragionevole del processo nei suoi confronti. Alla stregua delle riportate argomentazioni deve, perciò, essere affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 6 marzo 2001, n. 89, art. 2 nel computo complessivo da compiere ai fini della determinazione della irragionevole durata del processo, in un giudizio civile a cui abbiano partecipato ah origine i genitori di un minore quali suoi rappresentati legali , occorre tener conto anche del periodo decorso fino al raggiungimento della maggiore età da parte del minore stesso e di quello relativo alla protrazione del giudizio nell’ambito della medesima fase processuale in cui i genitori siano rimasti costituiti, per effetto dell’operatività dell’ultrattività della relativa rappresentanza processuale, rimanendo, naturalmente, impregiudicato il diritto del rappresentato ad intervenire, nell’ambito della stessa fase, con la sua costituzione volontaria in conseguenza del raggiungimento della maggiore età precisandosi che la sua costituzione autonoma è, comunque, necessaria, ai fini in questione, nei successivi gradi di giudizio . Pertanto, nella specie - pacifico essendo che il giudizio presupposto ha avuto inizio con la citazione del 26 settembre 2005 e non ancora concluso al momento della domanda di equa riparazione - la Corte di Salerno, nel considerare la durata complessiva del processo in funzione del conseguente computo di quella da qualificarsi irragionevole , avrebbe dovuto considerare anche il segmento temporale in cui P.B. aveva agito in giudizio, nell’ambito della stessa fase processuale, con la rappresentanza legale dei genitori ai sensi dell’art. 75 c.p.c. e congiungerlo con quello successivo, nell’arco della stessa fase, decorrente dal momento della sua intervenuta costituzione in giudizio quale maggiorenne e legittimato in proprio a partecipare al giudizio , in tal senso ricalcolando il dedotto danno non patrimoniale riconducibile all’effettivo intervallo temporale della durata irragionevole del giudizio presupposto sulla scorta dei corretti parametri valutativi applicati. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso assorbe l’esame dell’ulteriore Mezzo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. per avere la corte di merito compensato le spese processuali, in assenza dei presupposti. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto nei termini e nei limiti sopra indicati. Il decreto impugnato deve essere cassato e la causa va rinviata ad altro giudice - che viene individuato nella Corte d’appello di Salerno in diversa composizione - che la riesaminerà alla luce dei rilievi dianzi svolti. Alla predetta Autorità è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.