Consulenza tributaria, assistenza professionale e difesa in giudizio: attività autonome?

In materia di patrocinio tributario svolto da un dottore commercialista , la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria non comporta necessariamente anche un'attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorre un di più rappresentato dall’analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell'amministrazione finanziaria di problemi specifici come previsto dall'art. 46, d.P.R. n. 645/1994.

La Prima Sezione Civile della Cassazione sentenza n. 11402/16 depositata il 1° giugno ha affrontato il tema della liquidazione del compenso a favore di un professionista che aveva reso la propria attività a favore di un Fallimento, con particolare riferimento all’aspetto della sussistenza, o meno, di una vera e propria consulenza tributaria, in quanto tale da compensare autonomamente rispetto alle altre attività svolte dal professionista. Il caso l’attività di assistenza e consulenza tributaria. Il Giudice delegato ad un fallimento liquidava un importo rilevante a favore di un professionista, secondo la tariffa dei dottori commercialisti, per competenze per assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria, per un giudizio impugnatorio di primo grado avverso una cartella di pagamento, liquidando altresì, a favore del medesimo professionista, ma con riguardo al secondo grado del medesimo procedimento, un importo decisamente inferiore. Mancava la prova di una autonoma consulenza tributaria per il grado d'appello. Il professionista dottore commercialista proponeva reclamo ai sensi dell’art. 26 della Legge Fallimentare che tuttavia veniva rigettato. Infatti, secondo il Tribunale, mancava la prova di una autonoma consulenza tributaria anche per il grado d'appello, stante l'indagine sulla questione principale ed assorbente la tempestività dell’esercizio della pretesa fiscale già espletata in occasione della prima prestazione professionale, complessivamente resa in favore della Curatela avanti alla Commissione Tributaria Provinciale e alla Commissione Tributaria Regionale. La teoria del cosiddetto quid pluris . Secondo la Suprema Corte, la decisione gravata è corretta perché essa, da un lato, premette di volersi ispirare alla teoria del cosiddetto quid pIuris , ove la consulenza tributaria integra una prestazione professionale che non coincide né con la assistenza professionale né con la mera difesa in giudizio, e, dall’altro lato, indica un'adeguata e riconoscibile motivazione di tale scelta, avendo il Tribunale riscontrato in dettaglio che tale elemento di studio specifico non poteva dirsi esistente, mancando quella netta autonomia d'oggetto d'indagine voluta dall'art. 46 d.P.R. n. 645 del 1994. Il patrocinio tributario non implica automaticamente una consulenza tributaria” . In sostanza, secondo gli Ermellini, in materia di patrocinio tributario svolto da un dottore commercialista , la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria non comporta necessariamente anche un'attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorre un di più, rappresentato dall’analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell'amministrazione finanziaria di problemi specifici come previsto dall'art. 46, del d.P.R. n. 645/1994. Il relativo accertamento, cioè dei presupposti per il cumulo dei relativi onorari con quelli inerenti alle prestazioni di assistenza e rappresentanza, è riservato al giudice di merito, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto se affetto da vizio di motivazione. Il cumulo patrocinio tributario e consulenza è possibile, ma va motivato . Per la Corte di Cassazione è vero, pertanto, che tale indirizzo non instaura alcun meccanismo di attribuzione automatica dei citati compensi, ravvisandosi nel loro possibile e predetto cumulo un preciso dovere di dare conto delle prestazioni aggiuntive cui si vorrebbero riferire, con onere innanzitutto a carico dell'interessato. Per la consulenza tributaria” mancava la speciale problematicità dell’attività espletata . In realtà, nel caso specifico, il decreto impugnato riporta le attività che il professionista avrebbe espletato, oltre alla redazione dei ricorsi e all'attività difensiva culminata nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale , ma tuttavia nega che esse fossero dotate di speciale problematicità, in un raffronto che non sovrappone in astratto la difesa di secondo grado a quella di primo grado, ma diversamente comparando le questioni in concreto già trattate e riconosciute afferenti a consulenza tributaria avanti alla Commissione Provinciale e quelle trattate avanti alla Commissione Regionale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 maggio - 1 giugno 2016, numero 11402 Presidente Bernabai – Relatore Ferro Il processo V.R. impugna il decreto Trib. Bari 4.10.2010 cronumero 7289 con cui veniva rigettato il suo reclamo interposto ex articolo 26 1.f. avverso il decreto 29.1.2009 del giudice delegato del fallimento Gamma s.r.l. in liquidazione, nella parte in cui esso aveva liquidato il compenso in favore del professionista per euro 356.204,18 quanto a competenze per assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria e secondo la tariffa dei dottori commercialisti per un giudizio impugnatorio di primo grado avverso cartella di pagamento e poi [con decreto 8.2.2010, secondo il ricorso] per 26.151,51, per le attività svolte nel secondo grado del medesimo procedimento. Rilevò il tribunale il difetto di prova di autonoma consulenza tributaria anche per il grado d'appello, stante l'indagine sulla questione principale ed assorbente - la tempestività dell'esercizio della pretesa fiscale - già espletata in occasione della prima prestazione professionale, complessivamente resa in favore della curatela avanti alle C.T.P. e C.T.R. di Roma. Il ricorso principale è affidato a un motivo, ad esso resiste il fallimento con controricorso e ricorso incidentale su un motivo. Le parti hanno depositato memoria. I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1, 46 e 49 d.P.R. 10.10.1994, numero 645, ai sensi degli artt. 360 numero 3 cod.proc.civ. e 111 Cost., avendo errato il tribunale ove ha disconosciuto che anche la difesa esercitata in sede d'appello verteva su autonomi profili di diritto, ciò giustificando un corrispondente credito per consulenza tributaria, a nulla rilevando la sua omogeneità con lo studio effettuato per il primo grado di giudizio. Con il ricorso incidentale, il controricorrente fa valere la violazione di legge quanto all'articolo 112 cod.proc.civ., avendo omesso il tribunale di pronunciarsi sul regolamento delle spese processuali. 1. Il ricorso principale è infondato. Osta al suo accoglimento la redazione del motivo allestita come una violazione di legge ed in realtà implicante la denuncia di un vizio di motivazione, allorché il ricorrente censura l'errata ricostruzione, asseritamente compiuta dal tribunale, di un fatto di giuridico rilievo, e cioè il tipo di attività giudiziaria concretamente svolta dal professionista istante e realizzata in particolare in sede di coadiuvazione difensiva della curatela nel giudizio di secondo grado avanti alla C.T.R. di Roma. Dando conto di dover verificare se l'attività defensionale ivi svolta avesse implicato altresì un quid pluris rispetto alla mera assistenza ed al patrocinio della procedura fallimentare, il decreto dei giudici baresi ha riscontrato in dettaglio che tale elemento di studio specifico non poteva dirsi esistente, mancando quella netta autonomia d'oggetto d'indagine voluta dall'articolo 46 d.P.R. numero 645 del 1994. Anche dunque a seguire la prospettazione tariffaria invocata dal R., tale parte non avrebbe avuto diritto ad un nuovo riconoscimento della voce imputabile a consulenza tributaria secondo la citata norma catione temporis vigente , ulteriore rispetto a quella già riconosciuta per l’attività di primo grado, poste che la questione indagata era identica a quella già una prima volta affrontata, mentre i temi di difesa dell’appello a quella facevano riferimento consequenziale o non avevano palese autonomia sostanziale, dunque afferendo piuttosto alle tecnicalità del giudizio di secondo grado. Sul punto, osserva il Collegio che la statuizione del decreto è immune da censure, poiché essa per un verso - nel più generale tenore della motivazione - premette di volersi ispirare alla teoria del cd. quid pluris, ove la consulenza tributaria integra una prestazione professionale che non coincide né con la assistenza professionale né con la mera difesa in giudizio e, per altro verso, indica un'adeguata e riconoscibile motivazione di tale scelta. Occorre dunque dare continuità nella sua interezza all'orientamento per cui in materia di patrocinio tributario anche nella specie, svolto da professionista per il quale si era ipotizzata una commisurazione di compenso secondo le tariffe dei dottori commercialisti , la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria non comporta necessariamente anche un'attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorre un di più rappresentato dall’ analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell'amministrazione finanziaria di problemi specifici”, come previsto dall'articolo 46 del cit. d.P.R. 10 ottobre 1994, numero 645 Cass. 8742/2016 . Il relativo accertamento - cioè dei presupposti per il cumulo dei relativi onorari con quelli inerenti alle prestazioni di assistenza e rappresentanza - è riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità soltanto se affetto da vizio di motivazione Cass. 16159/2015, 15560/2015, 15666/2007 . È vero pertanto che tale indirizzo non instaura alcun meccanismo di attribuzione automatica dei citati compensi, ravvisandosi nel loro possibile e predetto cumulo un preciso dovere di dare conto delle prestazioni aggiuntive cui si vorrebbero riferire, con onere innanzitutto a carico dell'interessato. In realtà, il decreto qui impugnato riporta le attività che il professionista avrebbe espletato, oltre alla redazione dei ricorsi e all'attività difensiva culminata nella sentenza della C.T.R. ma nega che esse fossero dotate di speciale problematicità, in un raffronto che non sovrappone in astratto la difesa di secondo grado a quella di primo grado, ma diversamente comparando le questioni in concreto già trattate e riconosciute afferenti a consulenza tributaria avanti alla C.T.P. e quelle trattate avanti alla C.T.R. 2. Quanto al ricorso incidentale, il suo unico motivo è fondato, osservandosi che il tribunale, pur sancendo la piena soccombenza del reclamante, non ha provveduto secondo il criterio regolatore delle spese. Sul merito, la pronuncia appare essere stata resa - per la principale statuizione decisoria - in conformità ad indirizzo di legittimità già formatosi in data ampiamente anteriore al contenzioso fra le parti, ciò permettendo a questa Corte di confermare il rigetto del reclamo e procedere alla liquidazione delle spese del grado di merito in favore della parte vincitrice e che vengono liquidate come da dispositivo. Va invero fatta applicazione dei principio, già reso da Cass. 19979/2008, per cui l'articolo 91 cod.proc.civ., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito dei procedimento medesimo, con la conseguenza che la norma trova applicazione anche ai provvedimenti resi in esito al reclamo ex articolo 26 l.f., avverso il provvedimento del giudice delegato al fallimento, benché la disposizione richiamata manchi di una espressa indicazione circa il governo delle spese. Il ricorso principale pertanto va rigettato, con accoglimento di quello incidentale e, non sussistendo necessità di ulteriore istruttoria, la decisione già resa sul reclamo va integrata con la pronuncia sulle spese del giudizio di reclamo stesso, cui si aggiunge la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale accoglie il ricorso incidentale decidendo nel merito, condanna il reclamante al pagamento delle spese del procedimento avanti al Tribunale in favore del fallimento, con liquidazione in euro 10.000 di cui euro 7.000 per onorari, 2.000 per diritti e 1.000 per spese , oltre accessori come per legge condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.200 di cui 200 euro per esborsi , oltre al 15% forfettario sul compenso e agli accessori di legge.