Morte del difensore: gli atti successivi del processo sono nulli, ma la parte deve eccepirla subito

La mancata interruzione del processo a causa della morte dell’unico difensore della parte costituisce un’ipotesi di nullità relativa che va eccepita dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, altrimenti deve intendersi tacitamente rinunciata, ex art. 157, commi 2 e 3, c.p.c

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 10722 depositata il 24 maggio 2016. Il caso. Il Tribunale territorialmente competente condannava il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, subito da una sede provinciale dell’Istituto Autonomo Case Popolari, in conseguenza dell’illegittima requisizione di un certo numero di alloggi di proprietà dello IACP. Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello. Con successiva pronuncia, il Tribunale condannava l’Amministrazione statale al pagamento di una ingente somma di denaro oltre interessi legali e spese di lite, in favore dello IACP, a titolo del mancato reddito che l’Istituto avrebbe potuto conseguire degli immobili illegittimamente occupati. Detta decisione veniva parzialmente riformata in grado di appello con sentenza che condannava l’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro di un importo maggiore rispetto a quello determinato dal giudice di prime cure. Avverso tale pronuncia il Ministero dell’Interno proponeva ricorso per Cassazione che veniva parzialmente accolto con sentenza che cassava detta pronuncia con rinvio alla Corte di Appello territorialmente competente in diversa composizione. Riassunto il giudizio da parte dello IACP la causa veniva rinviata all’udienza collegiale del 14 gennaio 2014, ed ivi introitata a sentenza, sebbene in data 14 dicembre 2003 fosse deceduto il difensore dello IACP. Con ordinanza dell’1 luglio 2005, la Corte distrettuale rimetteva la causa in istruttoria per l’acquisizione di documentazione ritenuta indispensabile per la decisione. Tuttavia, all’udienza del 20 settembre 2005, il giudizio veniva dichiarato interrotto per il decesso dell’unico difensore dello IACP. Riassunto il processo, con costituzione del nuovo difensore dell’IACP il Collegio di merito riformava la sentenza resa in primo grado sul rilievo che l’ordinanza dell’1 luglio 2005 fosse rimasta inadempiuta e che, quindi, la domanda dell’Ente fosse da reputarsi del tutto sfornita di prova. La domanda proposta dallo IACP nei confronti del Ministero dell’Interno, veniva così rigettata con condanna del primo alla refusione delle spese di lite di tutti i gradi del giudizio eccetto che per quelle del giudizio di appello che venivano compensate tra le parti. Lo IACP proponeva, quindi, ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno per la cassazione di quest’ultima sentenza. Nella caso di specie, gli Ermellini, hanno ritenuto infondato, tra gli altri, il primo motivo di ricorso proposto dallo IACP sulla scorta del quale il ricorrente aveva lamentato la violazione di più norme e principi processuali da parte del giudice di appello. Quest’ultimo avrebbe emesso la sentenza impugnata disattendendo la domanda di risarcimento dello IACP per difetto di prova, sebbene l’unico difensore dell’Ente fosse deceduto in data anteriore rispetto all’emissione dell’ordinanza dell’1 luglio 2005 - peraltro mai comunicata all’Istituto - con la quale la Corte aveva disposto l’acquisizione di documenti utili a provare la pretesa dello IACP. La morte del difensore interrompe automaticamente il processo? I giudici evidenziano che dalla morte del difensore, conseguendo automaticamente l’interruzione del processo, vi è preclusione di ogni attività processuale che, se compiuta, è sicuramente causa di nullità degli atti successivi e della sentenza. Pertanto, la parte colpita dal predetto evento ed a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione non potendo la nullità degli atti successivi alla morte del difensore essere rilevata d’ufficio dal giudice, né essere eccepita dalla controparte può dedurlo e provarlo per la prima volta anche in sede di legittimità ex art. 372 c.p.c Nella sentenza in commento i predetti principi non sono stati applicati al caso in questione in quanto la parte colpita dall’evento interruttivo, regolarmente costituitasi in giudizio, avrebbe potuto dispiegare in pieno il proprio diritto di difesa in fase istruttoria, chiedendo la remissione in termini per le attività illegittimamente precluse, ai sensi dell’art. 184 c.p.c. applicabile ratione temporis e domandare la rinnovazione degli atti nulli ex art. 162, comma I, c.p.c In particolare, avrebbe potuto chiedere la declaratoria di nullità dell’ordinanza dell’1 luglio 2005 emessa nella fase processuale nella quale il giudizio era interrotto di diritto e la remissione in termini per la produzione dei documenti in essa richiesti. Concludendo. Nella specie, e per le ragioni suesposte, nessun pregiudizio può essere lamentato a carico della parte colpita dall’evento interruttivo la quale, pur avendo avuto la possibilità di svolgere in pieno il proprio diritto di difesa non l’ha fatto, motivo per il quale il ricorso è stato respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 aprile – 24 maggio 2016, n. 10722 Presidente Salvago – Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21 gennaio 1978, il Tribunale di Palermo condannava il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, subiti dall’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo in conseguenza dell’illegittima requisizione - disposta con decreto prefettizio n. 38091 del 25 ottobre 1969, poi annullato dal C. Giust. Amm. Sic., con pronuncia del 10 luglio 1970 - di 428 alloggi di proprietà dello IACP nel quartiere ZEN, destinati ad abitazione delle famiglie costrette ad abbandonare le loro abitazioni, in conseguenza degli eventi sismici del 1968. Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 28 aprile 1979. 2. Con successiva pronuncia n. 588/1990, depositata in data 2 marzo 1991, il Tribunale condannava l’amministrazione al pagamento della somma di Lire 2.527.675.209, oltre interessi legali e spese di lite, in favore dello IACP, a titolo del mancato reddito che l’istituto avrebbe potuto conseguire dagli immobili illegittimamente occupati. La decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 372/1998, depositata il 13 maggio 1998, con il quale l’Amministrazione veniva condannata al pagamento della somma di Lire 3.191.036.100, in favore dello IACP, con compensazione delle spese di lite. 3. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, che veniva parzialmente accolto da questa Corte con sentenza n. 11055/2001, con la quale la decisione di appello veniva cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Riassunto il giudizio dall’IACP, ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ., la causa veniva rinviata all’udienza collegiale del 14 gennaio 2005, ed ivi introitata a sentenza, sebbene in data OMISSIS fosse deceduto l’avv. Lugi Barbasso Gattuso, unico difensore dello IACP. Con ordinanza dell’1 luglio 2005, peraltro, la Corte rimetteva la causa in istruttoria, per l’acquisizione di documentazione ritenuta indispensabile per la decisione. Quindi, all’udienza del 20 settembre 2005, il giudizio veniva dichiarato interrotto per il decesso dell’avv. Barbasso Gattuso. 4. Riassunto il processo, con costituzione del nuovo difensore dell’IACP, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1673/2009, depositata il 27 ottobre 2009, in riforma della sentenza di primo grado, sul rilievo che l’ordinanza dell’i luglio 2005 era rimasta non adempiuta e che, quindi, la domanda dell’ente era da reputarsi del tutto sfornita di prova, rigettava la domanda proposta dallo IACP nei confronti del Ministero dell’Interno, condannandolo alle spese di tutti i gradi del giudizio, fatta eccezione per quelle del giudizio di appello, che venivano compensate fra le parti. 5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo nei confronti del Ministero dell’Interno, affidato a tre motivi. 4. Il resistente ha replicato con controricorso. 5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo denuncia la violazione degli artt. 156, 159, 161 e 301 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ 1.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello abbia emesso la sentenza impugnata, disattendendo, per difetto di prova, la domanda dell’IACP di risarcimento dei danni subiti dall’istituto per effetto dell’illegittima requisizione degli alloggi, disposta dal Prefetto di Palermo, con decreto del 25 ottobre 1969, n. 38091 poi annullato dal C. Giust. Amm. Sic. , sebbene l’unico difensore dell’ente fosse deceduto il 14 dicembre 2003 e l’ordinanza dell’i luglio 2005, con la quale la Corte aveva disposto l’acquisizione di documenti che avrebbero contribuito a dare fondamento alla pretesa dell’IACP, non fosse stata mai comunicata all’istituto. 1.2. Il motivo è infondato. 1.2.1. Non è controverso tra le parti che il difensore dell’odierno ricorrente sia deceduto il 14 dicembre 2003 e che l’ordinanza dell’1 luglio 2005 - emessa in sede di decisione della causa, e che conteneva l’ordine di produrre una serie di documenti indispensabili ai fini della decisione della controversia in sede di rinvio, secondo quanto stabilito da questa Corte con la sentenza 11055/2001 - sia stata, pertanto, emessa in una fase processuale nella quale il difensore costituito era già deceduto. L’interruzione del processo veniva, poi, formalmente dichiarata il 20 settembre 2005, quanto la causa era stata rimessa in istruttoria per la produzione di detti documenti, con conseguente costituzione del nuovo difensore, il quale p. 5 del ricorso si riportò al contenuto degli atti redatti dall’avv. Luigi Barbasso Gattuso deceduto . 1.2.2. Orbene, non può revocarsi in dubbio che - secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, richiamato dal ricorrente a sostegno delle sue argomentazioni - la morte come la radiazione o la sospensione dall’albo dell’unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito determini automaticamente l’interruzione del processo anche se il giudice e le altri parti non ne hanno avuto conoscenza, e senza, quindi, che occorra, perché si perfezioni la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell’evento. Ne deriva la preclusione di ogni ulteriore attività processuale, che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, con la conseguenza che la irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo, può essere dedotta e provata per la prima volta nel giudizio di legittimità a norma dell’art. 372 cod. proc. civ. cfr. ex plurimis, Cass. 3459/2007 22268/2010 244/2010 25234/2010 . E ciò, tuttavia, ad opera della sola parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo la nullità degli atti successivi all’evento medesimo essere rilevata d’ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza Cass. 26319/2006 25234/2010 . 1.2.3. Tanto premesso è, tuttavia, evidente che tali principi - contrariamente a quanto assume l’istante - non si attagliano al caso in cui il processo venga tardivamente interrotto, e poi riassunto e proseguito ai sensi dell’art. 303 cod. proc. civ. In siffatta ipotesi, infatti, il giudizio deve essere riassunto in quella stessa fase processuale istruttoria o fase decisoria in cui si è verificata l’interruzione, comportando l’atto di riassunzione la prosecuzione del procedimento interrotto nella fase in cui si trovava prima della sua interruzione Cass. 1331/1997 . Nel caso di specie, prima dell’interruzione il processo si trovava in fase istruttoria, essendo stata la causa rimessa sul ruolo con la menzionata ordinanza dell’1 luglio 2005. Ne consegue che la parte colpita dall’evento interruttivo, regolarmente costituitasi in giudizio, avrebbe potuto dispiegare in pieno il proprio diritto di difesa, chiedendo la rimessione in termini per le attività illegittimamente precluse, ai sensi dell’art. 184 bis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, ora art. 153, comma 2, cod. proc. civ. , e domandare la rinnovazione degli atti nulli, ai sensi dell’art. 162, comma 1, cod. proc. civ., ed, in particolare, avrebbe potuto chiedere la declaratoria di nullità dell’ordinanza dell’I. luglio 2005, emessa nella fase processuale nella quale il processo era interrotto di diritto, e la rimessione in termini per la produzione dei documenti da essa richiesti. 1.2.4. In tal senso, questa Corte ha, invero, precisato che il principio secondo il quale la sospensione dall’esercizio della professione dell’unico difensore, o qualsiasi altro evento interruttivo menzionato dall’art. 301 cod. proc. civ., a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l’automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa della parte colpita dall’evento interruttivo Cass. 14520/2015 . Tale pregiudizio, nella specie, per le ragioni suesposte, non può, per contro, considerarsi sussistente, essendo stata la causa interrotta e riassunta in istruttoria, con conseguente possibilità per la parte colpita dall’evento interruttivo di svolgere in pieno il proprio diritto di difesa. Per converso, nulla di tutto questo è accaduto nel caso concreto, essendosi il nuovo difensore limitato a riportarsi alle difese del precedente difensore deceduto. Ebbene - costituendo la mancata interruzione del processo a causa della morte dell’unico difensore della parte un’ipotesi di nullità relativa, che va eccepita dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, altrimenti deve Intendersi implicitamente rinunciata, ex art. 157, commi 2 e 3 cod. proc. civ. Cass. 25234/2010 3546/2016 - la nullità in parola deve ritenersi sanata per implicita rinuncia della parte interessata ad eccepirla. 1.3. La censura deve essere, pertanto, rigettata. 2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo denuncia la violazione degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ., nonché l’omessa motivazione sui un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ 2.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello avrebbe omesso di valutare la c.t.u. espletata nel giudizio di secondo grado R.G. n. 1011/1991 , dalla quale si sarebbe già potuto desumere, a prescindere dai documenti richiesti dalla Corte con l’ordinanza dell’i luglio 2005, che alla data dell’illegittimo decreto di requisizione 25 ottobre 1969 gli alloggi erano suscettibili di ottenere il rilascio della certificazione di abitabilità ed agibilità. 2.2. Il motivo è inammissibile. 2.2.1. Va osservato, infatti, che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato Cass. 13259/2006 20652/2009 . 2.2.2. Nel caso di specie, va rilevato che la censura non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza sul punto in questione, laddove la decisione di appello afferma che l’ordinanza dell’1 luglio 2005 conteneva, altresì, l’invito alle parti a produrre copia della consulenza tecnica d’ufficio, con eventuali allegati, espletata nel corso del giudizio di secondo grado che non si rinveniva agli atti p. 11 . Sicché la censura in esame non può di certo considerarsi riferibile alla decisione impugnata, che ha affermato la mancanza agli atti della relazione peritale, laddove l’istante lamenta, per converso, l’omesso esame degli accertamenti tecnici espletati per mezzo della disposta c.t.u. Peraltro, quand’anche tale affermazione della Corte di merito fosse stata erronea, poiché la relazione peritale era, invece, agli atti, trattandosi, non di una carente valutazione ed interpretazione degli atti del processo, bensì dell’assunzione acritica di un fatto la mancanza agli atti del giudizio della relazione di consulenza , la sentenza andava impugnata con istanza di revocazione ex art. 395, n. 4 cod. proc. civ. Cass. 15672/2005 19921/2012 . 2.3. La censura non può, pertanto, trovare accoglimento. 3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo denuncia la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ 3.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia posto a carico dell’istituto le spese processuali dei precedenti gradi del giudizio, laddove, se la causa fosse stata decisa secondo diritto , le spese di tutti i gradi sarebbero state poste a carico dell’Amministrazione dell’Interno. 3.2. Il mezzo è infondato. 3.2.1. Ed invero, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, ex art. 385 cod. proc. civ., si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché deve liquidare le spese in relazione all’esito finale della lite Cass. 7243/2006 20289/2015 . Ne deriva che, essendo rimasto l’IACP definitivamente soccombente nel merito all’esito dei vari gradi del processo, il medesimo non può dolersi del regolamento delle spese di lite operato dal giudice del rinvio. 3.2.2. La censura va, pertanto, disattesa. 4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso proposto dall’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato. 5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 17.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.