Se la prescrizione è imminente non conviene interromperla con domanda giudiziale

Quando un diritto può essere esercitato con mezzi diversi dalla proposizione della domanda giudiziale, l’atto processuale eventualmente utilizzato dal relativo titolare, per poter valere come atto interruttivo della prescrizione, deve entrare nella sfera di conoscenza/conoscibilità del destinatario.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 6793 dell’11 aprile 2016. Il caso. Instaurato un giudizio per risarcimento del danno derivante da sinistro stradale, il Tribunale adito dichiarava improponibile la domanda per intervenuta prescrizione biennale. La pronuncia veniva confermata nella successiva fase d’appello sicché l’attore decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione. Interruzione della prescrizione e instaurazione del giudizio. Il ricorrente censura la pronuncia sostenendo che, nel rito del lavoro, i termini di interruzione della prescrizione decorrerebbero dalla proposizione del ricorso introduttivo e non già dalla sua notificazione, come riconosciuto dalla sentenza n. 129/1986 della Consulta nonché dalla sentenza n. 7295/2004 del giudice di legittimità. Si tratta di una doglianza che era già stata proposta in sede d’appello e respinta dalla Corte territoriale sulla scorta dell’osservazione per cui l’atto interruttivo della prescrizione, come atto recettizio, deve entrare nella sfera di conoscenza/conoscibilità del debitore, non potendosi confondere la questione dell’avvenuta instaurazione del giudizio con la recettizietà. Nel condividere l’assunto, la Suprema Corte osserva che anche nel processo del lavoro l’interruzione della prescrizione non discende dal deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito ma dalla notifica dell’atto al convenuto. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto come generale principio, dettato dal codice civile governante gli effetti sostanziali anche degli atti processuali, la recettizietà come requisito anche dell’atto processuale affinché questo abbia effetto interruttivo. L’intervento delle Sezioni Unite sul principio di scissione. Ciò posto, la Suprema Corte ritiene indispensabile verificare l’eventuale incidenza sulla fattispecie in esame di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 24822 del 2015. Si ricorda che, in tale occasione, i Giudici delle Sezioni Unite sono stati chiamati a delineare i limiti di operatività del principio di scissione degli effetti della notificazione, dovendo in particolare chiarire se il principio in parola dovesse essere riferito ai soli atti processuali o potesse essere ampliato alla notificazione di atti sostanziali od, eventualmente, di atti processuali che producano effetti anche sostanziali. Nel risolvere il quesito, le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui quando un diritto non si può far valere se non con un atto processuale, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, non essendo necessario che l’atto giunga a conoscenza del destinatario. L’affermazione di tale principio costituisce diretta conseguenza di un corretto bilanciamento tra il principio di certezza delle situazioni giuridiche e quello di difesa. Invero, prima che l’atto giunga a conoscenza del destinatario, sussiste un’incertezza giuridica solo temporanea, che perciò costituisce, a giudizio delle Sezioni Unite, un danno temporaneo che ben può essere imposto ad una parte incolpevole il notificando per evitare un danno ben più grave e definitivo al notificante ugualmente incolpevole consistente nella perdita del diritto per prescrizione . Utilizzo di mezzi diversi dall’atto processuale per interrompere la prescrizione. Ebbene, a giudizio della Suprema Corte, l’intervento delle Sezioni Unite non incide sulla questione sottoposta al suo esame. Invero, nella ricostruzione operata dalle Sezioni Unite, l’idoneità a interrompere la prescrizione viene riconosciuta all’atto processuale solo nel caso in cui unicamente mediante atto processuale possa essere fatto valere il diritto sostanziale. Di conseguenza, qualora il diritto sostanziale possa essere tutelato, ovvero esercitato, anche mediante atti non processuali, l’effettuazione dell’atto processuale non incide sulla prescrizione qualora non sia entrato nella sfera legale della conoscenza del destinatario. In altri termini, qualora il diritto sostanziale sia dotato di strumenti di tutela diversi e ulteriori, l’atto processuale non si intride di alcuna incidenza peculiare che favorisca il diritto sostanziale ad esso sotteso, ma richiede il suo completo espletamento per poter produrre non solo gli effetti processuali stabili ovvero definitivi, ma altresì gli effetti sostanziali che ad essi si aggiungono. Nel caso di specie, il ricorrente aveva a sua disposizione diversi mezzi interruttivi della prescrizione, sicché non è inficiato l’orientamento giurisprudenziale cui si è uniformata la Corte d’appello, che ha qualificato come recettizio l’atto interruttivo nel caso in cui costituisca pure un atto processuale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 dicembre 2015 – 11 aprile 2016, numero 6973 Presidente Salmé – Relatore Graziosi Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 17 giugno 2008 il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale dichiarava improponibile una domanda risarcitoria di danni derivati da sinistro stradale avvenuto il omissis proposta da S.I. nei confronti di F.M. proprietario del veicolo e Ina Assitalia Assicurazioni S.p.A. compagnia assicuratrice del veicolo per maturata prescrizione biennale. Avendo lo S. proposto appello contro tale sentenza, la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 25 giugno-27 luglio 2012, lo rigettava. 2. Ha presentato ricorso lo S. , sulla base di due motivi, il primo denunciante violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 e 2947 c.c. ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c. e il secondo denunciante omesso esame di fatto decisivo e controverso ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c. Si difende con controricorso Generali Italia S.p.A. già Ina Assitalia S.p.A. mediante la sua rappresentante Generali Business Solutions, chiedendo il disattendimento del ricorso, e insistendo poi anche con memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 3. Il ricorso è infondato. 3.1 Il primo motivo si articola in una serie di doglianze, adducendo che il giudice d’appello avrebbe violato le norme che disciplinano l’istituto della prescrizione sotto un triplice profilo . In primo luogo, pur avendo condiviso la giurisprudenza di legittimità sull’applicabilità alla fattispecie del termine quinquennale di prescrizione per l’azione di risarcimento di danni derivanti da un illecito che integra il reato di lesioni personali, la corte territoriale avrebbe erroneamente negato la concreta applicabilità della suddetta prescrizione quinquennale ritenendo che su tale questione si sarebbe formato un giudicato interno. Infatti, diversamente da quanto asserisce il giudice d’appello, nel gravame di merito sarebbe stato impugnato anche detto profilo, perché tra le censure si annoveravano l’errata e falsa applicazione della sentenza numero 129/1986 della Corte Cost. in riferimento all’art. 2943 c.c. e l’errata interpretazione dell’art. 2943 c.c. e quindi non si sarebbe formato il giudicato interno, tanto più che le sentenze di legittimità citate nella pronuncia impugnata - che hanno ritenuto che se il fatto dannoso è astrattamente qualificabile come reato opera il termine prescrizionale quinquennale - sono successive alla sentenza di primo grado. Contraddittoriamente pertanto il giudice d’appello avrebbe escluso che potesse operare il principio della rilevabilità di ufficio, non essendo considerabile l’applicabilità della prescrizione quinquennale una nuova questione versata per la prima volta nelle memorie autorizzate depositate dall’appellante il 14 giugno 2012. La corte territoriale, invero, esclude che l’operatività della prescrizione biennale sia stata oggetto di impugnazione, premettendo che in astratto sarebbe applicabile la prescrizione quinquennale ex articolo 2947, terzo comma, c.c. secondo l’interpretazione del giudice di legittimità di cui alle sentenze nnumero 27337/2008, 20111/2010, 15883/2011 e 23795/2011 sentenze tutte posteriori alla pronuncia di primo grado , ma altresì osservando che il principio della rilevabilità d’ufficio deve essere coordinato con i principi governanti il sistema delle impugnazioni, per cui i giudici dei gradi successivi al primo non hanno cognizione su ciò che ha già integrato giudicato interno. Esclude, allora, che nell’atto d’appello sussistesse alcuna censura sull’applicabilità del termine biennale di prescrizione, sul quale quindi si è formato il giudicato interno, non potendo poi il ravvedimento tardivo, operato dalla difesa dell’appellante nelle note conclusive , scardinare tale giudicato, poiché nelle dette note non possono proporsi questioni nuove . Quanto afferma la corte territoriale sulla graduale formazione dell’accertamento giurisdizionale che dà luogo a giudicato interno prima che si pervenga alla conclusione del giudizio in tutti i suoi gradi è del tutto corretto, e di ciò ben consapevole è il ricorrente, che tenta di smentire la formazione del giudicato interno adducendo che già nell’atto d’appello - e non come nova nelle note conclusive, come ritiene la corte - erano presenti motivi censuranti l’applicazione della prescrizione biennale a favore, appunto, di quella quinquennale. Ma quel che adduce il ricorrente è privo di autosufficienza ex articolo 366, primo comma, numero 6 c.p.c., non essendo invero sufficienti, per valutare la presenza nell’atto d’appello di una siffatta censura, le due enunciazioni quanto mai generiche cui si rapporta il ricorrente. Del tutto aspecifica, in primis, è la denuncia di una errata interpretazione dell’art. 2943 c.c. , di cui il ricorrente non fornisce poi in alcuna misura il contenuto argomentativo, ovvero identificativo della doglianza. Analogo discorso vale altresì quanto alla denuncia di errata e falsa applicazione della sentenza numero 129/1986 della Corte Costituzionale ancora in riferimento all’articolo 2943 c.c., sentenza ormai risalente - che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 112, primo comma, d.p.r. 30 giugno 1965 numero 1124 in relazione agli effetti interruttivi del deposito di ricorso giurisdizionale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali. Adduce poi il ricorrente a integrazione del motivo il rilievo che le sentenze di legittimità richiamate dal giudice d’appello sono successive alla sentenza di primo grado, deducendone che tale giudice, in considerazione sia dei motivi di appello che non sarebbero affatto impliciti sia degli orientamenti giurisprudenziali nuovi rispetto alla sentenza del Tribunale, avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’operatività del più lungo termine prescrizionale e non avrebbe comunque potuto censurare la difesa dell’appellante per avere nello specifico reso noto l’applicabilità del termine più lungo .nelle memorie autorizzate del 14 giugno 2012. Sulla carenza di autosufficienza in ordine alla specificità dei motivi versati nell’atto d’appello si è appena osservato. Per quanto riguarda, invece, l’effetto di una giurisprudenza posteriore alla sentenza di primo grado, è sufficiente rilevare che il ricorrente continua subito dopo ad insistere che nelle memorie del 14 giugno 2012 certamente non possono ravvisarsi questioni nuove e quindi inammissibili , in quanto parte appellante ha fondato tutto il giudizio di appello proprio sulla questione relativa alla inapplicabilità delle norme relative alla prescrizione dell’azione risarcitoria . Nessuna domanda nuova quindi è stata mai proposta nelle memorie autorizzate di cui sopra, in quanto si è trattato piuttosto di contestazioni volte a contrastare la domanda sic avversaria diretta a far valere il termine prescrizionale biennale ricorso, pagina 5s. . Meramente ad abundantiam , pertanto, si osserva che le Sezioni Unite con la sentenza numero 27337 del 18 novembre 2008, più che introdurre un drastico revirement cfr. già, p. es., Cass. sez. 3, 29 settembre 2004 numero 19566 , hanno disperso incertezze, intensificando così, in effetti, il livello di tutela del danneggiato conformi le successive Cass. sez. 3, 23 giugno 2009 numero 14644, Cass. sez. 3, 12 novembre 2009 numero 23930, Cass. sez. 3, 23 febbraio 2010 numero 4332, Cass. sez. 3 25 maggio 2010 numero 12699, Cass. sez. 3, 13 luglio 2011 numero 15368, Cass. sez. 3, 27 luglio 2012 numero 13407 e Cass. sez. 3, 25 novembre 2014 numero 24988 . Ma anche qualora si intendesse qualificare un assoluto mutamento del diritto vivente l’intervento delle Sezioni Unite di cui si tratta, non si aprirebbe alcuno spiraglio nel giudicato interno, essendosi questo già regolarmente formato visto il contenuto dell’atto di appello. Il riferimento che potrebbe infine ravvisarsi, per quanto assai implicito, a quella giurisprudenza a partire dalla nota ordinanza interlocutoria Cass. sez. 2, 17 giugno 2010 numero 14627, cui si sono conformate Cass. Sez. 2, ord. 2 luglio 2010 numero 15809 e Cass. sez. 6-1, 26 luglio 2011 numero 16365 che ha riconosciuto, in forza del principio costituzionale del giusto processo, la rimessione in termini ai sensi dell’allora vigente articolo 184 bis c.p.c., e per di più d’ufficio, nel caso in cui un revirement della giurisprudenza nomofilattica cagionasse al ricorso un vizio che come impugnazione lo rendesse inammissibile o improcedibile - si osserva ancor più ad abundantiam - non ha comunque pregio, sia perché, appunto e soprattutto, nel caso di specie già sussiste un giudicato mentre questo non sussiste nelle ipotesi esaminate dal suddetto orientamento, sia perché in quest’ultimo la natura del vizio scaturito dal revirement è tale da giustificare la rimessione in termini officiosa, mentre ciò non sarebbe nel caso in questione, nel quale l’appellante avrebbe ben potuto - ma non risulta che l’abbia mai fatto - immettere l’impulso di parte previsto dalla legge all’epoca, dall’articolo 184 bis c.p.c., attualmente dall’articolo 153, secondo comma, c.p.c. richiedendo la rimessione. 3.2.1 In secondo luogo, il ricorrente sostiene il principio per cui, in caso di rito del lavoro, i termini di interruzione della prescrizione decorrerebbero dalla proposizione del ricorso introduttivo, anziché dalla sua notificazione, come sarebbe stato riconosciuto, oltre che dalla sentenza numero 129/1986 della Consulta, dal giudice di legittimità con la sentenza numero 7295/2004. Si tratta della riproposizione di una doglianza già presentata nell’atto d’appello, come illustra la corte territoriale, la quale la disattende con una motivazione che, a ben guardare, il ricorrente non confuta, limitandosi a richiamare le due pronunce suddette ma non fronteggiando il profilo della recettizietà sulla base del quale la corte fonda la sua posizione. Osserva invero la corte che l’appellante omette di considerare che l’atto interruttivo della prescrizione, come atto recettizio, deve entrare nella sfera di conoscenza/conoscibilità del debitore e che non si può confondere la questione dell’avvenuta instaurazione del giudizio - nel rito del lavoro scindente la imploratio judici offici dalla in jus vocatio - con la recettizietà, riconoscendo la giurisprudenza di legittimità che anche nel processo svolto secondo il rito del lavoro l’interruzione della prescrizione non discende dal deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito ma dalla notifica dell’atto al convenuto. Effettivamente tale è stato finora l’insegnamento - non contraddetto dalla sentenza numero 129/1986 del giudice delle leggi, specificamente relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali - di questa Suprema Corte. La sentenza richiamata dal ricorrente - Cass. sez. lav., 16 aprile 2004 numero 7295 - è semplicemente uno dei molti arresti che si sono collocati sulla linea dettata dall’intervento della Corte Costituzionale a motivo della peculiarità della funzione di tutela in caso di infortuni sul lavoro e di malattie professionali Cass. sez. lav., 29 marzo 1995 numero 3737, S.U. 5 marzo 1998 numero 2429, Cass. sez. lav., 4 maggio 2007 numero 10212, Cass. sez. lav., 9 novembre 2010 numero 14548 e Cass. sez. lav., 26 novembre 2012 numero 20859 . Al di fuori di tale eccezione, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto come generale principio, dettato dal codice civile governante gli effetti sostanziali anche degli atti processuali, la recettizietà come requisito anche dell’atto processuale affinché questo abbia effetto interruttivo oltre alle pronunce richiamate dalla sentenza impugnata, v. le successive Cass. sez. 2, 24 aprile 2010 numero 9861, Cass. sez. 3, 8 giugno 2012 numero 9303, Cass. sez. 1, 3 dicembre 2012 numero 21595 e Cass. sez. 1, 29 novembre 2013 numero 26804 . 3.2.2 Occorre peraltro dare atto che nelle more del grado di legittimità su questa tematica sono intervenute le Sezioni Unite, con una pronuncia - la sentenza 9 dicembre 2015 numero 24822 - che richiede un’attenta analisi della sua approfondita motivazione per valutare se possa assumere una qualche incidenza sulla fattispecie in esame. La questione da cui è sorto l’intervento delle Sezioni Unite concerne una fattispecie di revocatoria ordinaria, la cui azione era stata dichiarata prescritta da entrambi i giudici di merito, e consiste nel chiarimento dell’ampiezza di effetti del principio della scissione in particolare, si è posto alle Sezioni Unite il quesito se il principio della diversa decorrenza degli effetti della notificazione nelle sfere giuridiche del notificante e del destinatario - introdotto dalla sentenza numero 477/2002 della Corte Costituzionale e normativizzato dal legislatore nell’articolo 149 c.p.c. aggiungendovi un terzo e ultimo comma mediante l’articolo 2, primo comma, lettera e , l. 28 dicembre 2005 numero 263 - riguarda soltanto gli atti processuali cfr. specificamente in tal senso, da ultimo nella giurisprudenza antecedente all’intervento delle Sezioni Unite, Cass. sez. 3, 8 giugno 2012 numero 9303, cit. o se ne sia estensibile l’ambito di applicazione alla notifica di atti sostanziali o di atti processuali che producano anche effetti sostanziali, come è il caso, appunto, dell’atto di citazione per l’azione ex articolo 2901 c.c Le Sezioni Unite prendono le mosse dal rilievo che il principio introdotto dal giudice delle leggi incide sulla interpretazione del concetto di notificazione come richiamato nell’articolo 2943 cc., rendendone necessaria una interpretazione costituzionalmente orientata, la quale tenga in conto che ratio della sentenza della Consulta è, prima ancora del diritto di difesa, il principio di ragionevolezza, molto più espansivo del diritto di difesa sul piano interpretativo e implicante un bilanciamento dei beni in conflitto, che si concretizza nel senso che è proprio nella natura della tecnica del bilanciamento che una soluzione normativa valida per una disposizione non sia valida per un’altra , id est che in un caso normativo si dia tutela prevalente al notificante e in un altro caso normativo si dia tutela prevalente al notificato. Passando poi a un diretto esame del principio della scissione degli effetti della notifica a seconda che siano da considerare nei confronti del notificante o nei confronti del notificato, le Sezioni Unite additano come elementi ostativi a tale principio quelle che definiscono la teoria dell’atto recettizio e la teoria della notificazione come fattispecie a forma progressiva, osservando che, peraltro, le remore tanto giurisprudenziali quanto dottrinali al principio di scissione che la Corte Costituzionale ha evinto dall’ordinamento si riassumono in un timore il pregiudizio per il superiore principio della certezza delle situazioni giuridiche . Principio che le Sezioni Unite reputano superabile considerando che, qualora la notifica non si perfezioni, cadono anche gli effetti provvisoriamente prodotti a favore del notificante. Dunque, il vero problema non è altro che l’incertezza giuridica medio tempore, ovvero l’incertezza che dal principio di scissione discende nel periodo tra la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica e la ricezione legale dell’atto. Per questa incertezza la soluzione si reperisce nel bilanciamento dei beni coinvolti quale tecnica interpretativa. Nell’atto processuale, allo scopo di tutelare il diritto di difesa del notificante, a questi deve essere riconosciuto un termine per svolgere la sua attività processuale, termine da concedere in misura intera. Per gli atti negoziali unilaterali, che sono atti sostanziali, ogni bilanciamento è precluso dalla norma specifica racchiusa nell’articolo 1334 c.c. Ora, l’atto di citazione per azione revocatoria produce effetti processuali e sostanziali, per cui la giurisprudenza anteriore all’intervento delle Sezioni Unite ha ritenuto che l’effetto interruttivo della prescrizione si verifichi al momento del perfezionamento della notifica della citazione. Le Sezioni Unite obiettano a tale interpretazione che l’articolo 1334 c.c. non è applicabile perché la citazione non è atto negoziale, e che l’articolo 1334 non è neppure estensibile agli atti processuali con effetti sostanziali perché a una siffatta dilatazione costituisce barriera il criterio ermeneutico letterale né è configurabile una interpretazione analogica dell’articolo 1334, non sussistendo alcuna analogia tra gli atti processuali e gli atti negoziali. Ma ove non può operare l’articolo 1334 deve applicarsi in espansione il principio generale ex articolo 12 prel., ovvero non l’analogia legis cioè l’applicazione analogica dell’articolo 1334 , bensì l’ analogia juris , ovvero il principio affermato dalla Corte Costituzionale che deve applicarsi in difetto di norma specifica contraria. Osservano ancora le Sezioni Unite che la giurisprudenza fino ad allora prevalente identifica nella citazione anche un atto di costituzione in mora, e dunque un atto recettizio, operando così però una inaccettabile commistione tra effetti sostanziali e struttura dell’atto . Ma la citazione per azione revocatoria non può avere una duplice natura processuale e negoziale, poiché allora si dovrebbe ritenere che i vizi dell’atto di costituzione in mora per esempio un vizio di volontà si propaghino all’atto processuale della citazione, in contrasto con il principio dell’irrilevanza della volontà negli atti processuali. Il fatto che un atto processuale produca effetti sostanziali non ne muta la natura, rectius non sviluppa in esso quel che le Sezioni Unite suggestivamente descrivono come una doppia natura formale atto di citazione e una natura nascosta e baluginante atto di costituzione in mora . Il principio di certezza dei rapporti giuridici vale però tanto per gli atti sostanziali quanto per gli atti processuali ritorna allora il giudice nomofilattico a focalizzare l’incertezza che deriva dalla provvisorietà degli effetti discendenti dalla scissione. In particolare, osserva che l’incertezza giuridica originata dagli effetti provvisori scaturiti dalla consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto per la notifica e che cessa con il perfezionamento di questa è solo temporanea, e costituisce una sorta di servitus justitiae , nel senso di un danno temporaneo che ben può essere imposto ad una parte incolpevole il notificando per evitare un danno ben più grave e definitivo al notificante, parte ugualmente incolpevole . E, più in generale, se il diritto non si prescrive qualora lo si eserciti, nel caso in cui l’esercizio consiste nell’instaurare il giudizio ciò che rileva è che l’avente diritto abbia compiuto gli atti necessari per iniziarlo, nonché nel termine l’obbligato lo venga a sapere quindi l’impedimento alla maturazione della prescrizione non esige la conoscenza dell’obbligato, e comunque il completamento del procedimento di notifica mette il convenuto nella condizione di verificare se la prescrizione si è o no maturata . In tal modo, rilevano le Sezioni Unite, viene ragionevolmente applicata la tecnica interpretativa del bilanciamento, dal momento che non si può allocare sul notificante incolpevole la perdita definitiva del diritto quando basterebbe imporre al notificato il lieve peso di un onere di attesa, dettato dal principio di precauzione . Seguendo questo ragionamento, in sintesi, le Sezioni Unite gravano del rischio del ritardo nell’espletamento da parte dell’ufficiale giudiziario delle sue funzioni il destinatario dell’atto da notificare, affermando peraltro che occorre evitare sempre attraverso tale tecnica di riequilibrio interpretativo che viene definita, secondo l’accezione tradizionale, bilanciamento - a entrambe le parti, incolpevoli, la perdita del diritto a una e un lucro indebito all’altra a quest’ultima le Sezioni Unite riconoscono tuttavia di porre a carico un pati , ovvero una situazione di attesa che non pregiudica, comunque, la sua sfera giuridica . Ravvisando la configurabilità in astratto di una obiezione fondata sul fatto che la tecnica del bilanciamento porta a soluzioni opposte per gli atti sostanziali - ove il legislatore privilegia il destinatario ex articolo 1334 c.c. - e per gli atti processuali - ove l’interpretazione giurisprudenziale giunge a privilegiare il notificante -, le Sezioni Unite la confutano assumendo che si tratta di un conflitto apparente , dato che è proprio nella logica del bilanciamento che non può esservi una soluzione valida per tutti i casi . Gli opposti esiti del bilanciamento derivano dalla opposta natura degli atti per gli atti negoziali unilaterali un diritto non può essere esercitato se l’atto non giunge a conoscenza del destinatario, mentre per gli atti processuali è esercitato con la consegna dell’atto all’ufficio notificante. La ratio delle opposte soluzioni, concludono le Sezioni Unite, implica una fondamentale actio finium regundorum la soluzione a favore del notificante vale solo nel caso in cui l’esercizio del diritto può essere fatto valere solo mediante atti processuali . 3.2.3 È chiaro che questo meditato e ben calibrato intervento del giudice nomofilattico, qualora fosse pervenuto a un risultato di cui poteva sembrare avesse già posto i fondamenti - laddove ha negato che un atto introduttivo di giudizio possa avere una duplice natura, processuale e negoziale -, avrebbe potuto incidere sulla questione oggetto del motivo in esame, nel senso di neutralizzare il tradizionale requisito della recettizietà e facendo dunque discendere l’interruzione della prescrizione dall’esercizio del diritto sostanziale mediante l’atto processuale, pur se questo ancora non fosse stato reso noto al convenuto/destinatario essendo ancora nello stadio di una mera imploratio judicis offici . Ma le Sezioni Unite si sono sapientemente attenute a una cauta valutazione, che dopo una impostazione sistemica assai sviluppata è confluita peraltro in uno stretto percorso finale, nel quale si è manifestato un favor nei confronti del preteso titolare del diritto sostanziale per impedire un indebito lucro della sua controparte originato dalla condotta di un terzo - l’ufficiale giudiziario -, escludendo cosi che l’iniziativa assunta da chi esercita il suo diritto sostanziale in prossimità della scadenza del termine prescrizionale sia considerabile come una oggettiva inerzia, dovendosi al contrario qualificare manifestazione della fruizione completa dello spazio temporale che il legislatore accorda prima della estinzione del diritto per maturata prescrizione. La prescrizione viene intesa così come uno strumento per tutelare la certezza giuridica che il legislatore utilizza, ma che integra un sorta di extrema ratio rispetto alla quale è preferito - e quindi garantito in massima misura l’esercizio del diritto sensibile alla prescrizione. La consapevolezza degli echi sistemici e comunque della delicatezza della materia trattata viene manifestata dal giudice nomofilattico nella specificità finale, in cui si pone come adio finium regundorum la necessità di una giustapposizione tra l’elemento sostanziale e l’elemento processuale, poiché l’idoneità a interrompere la prescrizione viene riconosciuta all’atto processuale solo nel caso in cui unicamente mediante atto processuale può essere fatto valere il diritto sostanziale. Ne consegue, a ben guardare, che la natura dell’atto processuale di per sé non incide nel senso di gravare il destinatario dell’atto processuale di un onere d’attesa, ovvero d’un pati come lo definiscono le Sezioni Unite di incertezza nel periodo cui si attua il principio di scissione degli effetti di quella fattispecie a formazione progressiva che è la notifica, per cui, qualora il diritto sostanziale possa essere tutelato, ovvero esercitato, anche mediante atti non processuali cioè atti sostanziali, non necessariamente identificabili esclusivamente in quelli di cui all’articolo 1334 c.c. si pensi, per esempio, a un negozio transattivo nel cui ambito il debitore riconosce il diritto in questione e si obbliga ad adempierlo completamente, l’ aliquid datum et aliquid retentum rapportandosi ad altri diritti sostanziali trattati nel negozio , l’effettuazione dell’atto processuale non incide sulla prescrizione qualora non sia entrato nella sfera legale della conoscenza del destinatario. E dunque, in tal caso, nel rito ordinario, irrilevante ai fini della prescrizione è la consegna dell’atto di citazione all’ufficiale giudiziario perché lo notifichi, e nel giudizio avviato con ricorso il deposito di quest’ultimo presso la cancelleria del giudice adito non incide sulla prescrizione, che si interrompe solo quando il ricorso e il decreto di fissazione d’udienza vengono notificati al convento. Rimane, pertanto, dopo l’intervento delle Sezioni Unite, una reciproca interferenza della natura processuale e della natura sostanziale dell’atto se l’atto processuale costituisce altresì l’unico atto di esercizio del diritto sostanziale, quest’ultimo gli conferisce un effetto di immediata interruzione prescrizionale per incrementare appunto la tutela del diritto sostanziale, ma la natura processuale a sua volta incide escludendo l’applicabilità dell’articolo 1334 c.c. qualora invece il diritto sostanziale sia dotato di strumenti di tutela diversi e ulteriori, l’atto processuale non si intride di alcuna incidenza peculiare che favorisca il diritto sostanziale ad esso sotteso non si può non ricordare del resto, sul piano sistematico, la generale strumentalità del diritto processuale al diritto sostanziale , ma richiede il suo completo espletamento per poter produrre non solo gli effetti processuali stabili ovvero definitivi spegnendo l’incertezza originata dalla loro provvisoria scissione , ma altresì gli effetti sostanziali che ad essi si aggiungono. Essendo indiscutibile che il ricorrente aveva a sua disposizione anche dispositivi interruttivi della prescrizione diversi dall’instaurazione del giudizio processuale sulla cui presenza, infatti, impernia una successiva doglianza , deve riconoscersi quindi che, nel caso di specie, l’intervento delle Sezioni Unite non apporta modifica all’orientamento giurisprudenziale cui si è correttamente uniformata la Corte d’appello, non sopprimendo la natura recettizia dell’atto interruttivo nel caso in cui costituisca pure un atto processuale. E invero la stessa corte territoriale completa il suo ragionamento osservando che l’articolo 2943 c.c. pone a disposizione dell’interessato atti interruttivi diversi dalla domanda giudiziale, per cui il danneggiato non può certamente dolersi dei tempi con i quali il giudice ha provveduto alla fissazione dell’udienza , con conseguente posticipazione della notifica del ricorso introduttivo, dovendo questo essere notificato congiuntamente al decreto del giudice. Nel caso, infatti, in cui la maturazione della prescrizione è imminente, l’avere depositato ricorso giudiziale non inibisce al preteso creditore di avvalersi degli ulteriori atti interruttivi di cui all’articolo 2943 c.c. imputet sibi quindi il creditore che in tal caso lascia maturare la prescrizione nelle more dell’emissione del decreto dell’adito giudice. 3.3 In terzo luogo, lamenta il ricorrente, quale violazione di legge, la mancata attribuzione di efficacia interruttiva della prescrizione a tutti gli atti e fatti concludenti posti in essere dalla compagnia di assicurazione prima e successivamente alla data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio ed alla sua notificazione . Richiama allo scopo una raccomandata della compagnia datata 26 ottobre 2004 indirizzata tra l’altro al ricorrente, che avrebbe negato ogni responsabilità del proprio assicurato, attribuendo al ricorrente l’esclusiva responsabilità del sinistro, deducendone che la compagnia era quindi perfettamente a conoscenza dell’evento dannoso, interrompendo quindi essa stessa la decorrenza dei termini prescrizionali . Si tratterebbe di una produzione in seno alle memorie autorizzate depositata il 18 luglio 2007, presente come numero 12 nell’elenco dei documenti del fascicolo di primo grado. Richiama altresì due sentenze del giudice di pace di Acireale, le nnumero 506 del 2005 e 410 del 2007, che sarebbero state depositate in copia nel fascicolo di primo grado e che sarebbero relative al sinistro in oggetto. Ancora, richiama la sentenza di appello del 6 luglio 2011 numero 528 con cui il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, avrebbe definitivamente accertato la dinamica del sinistro con condanna dell’assicurazione all’integrale risarcimento del danno. I suddetti elementi costituirebbero fatti di causa indicanti una conoscenza piena ed assoluta da parte della compagnia di assicurazione del diritto al risarcimento dei danni dell’attuale ricorrente, in particolare la sentenza d’appello avendo raggiunto definitiva esecutività in ordine al medesimo sinistro e alle medesime parti processuali. Questo terzo profilo di censura non rispetta, chiaramente, il principio di autosufficienza, in quanto si limita a menzionare elementi dei quali non indica, se non in modo generico, il contenuto, limitandosi ad addurre la loro presenza nel fascicolo di primo grado, e così imponendo al giudice di legittimità una verifica del contenuto degli atti processuali dei fascicoli dei gradi di merito che pretermette appunto il requisito dell’autosufficienza del ricorso per cassazione da ultimo, Cass. sez. 2, 20 agosto 2015 numero 17049 Cass. sez. 1, numero 19 agosto 2015 numero 16900 Cass. sez 5, 15 luglio 2015 numero 14784 Cass. sez. 6 - 3, ord. 3 febbraio 2015 numero 1926 . Per integrare la quale, evidentemente, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere quanto meno quelle parti dei documenti invocati che avrebbero avuto a suo avviso incidenza sulla questione della maturata prescrizione. In conclusione, nessuno dei tre submotivi che compongono il primo motivo del ricorso risulta fondato. 3.4 Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c. si nota per inciso che, pur essendo applicabile ratione temporis alla fattispecie il testo antecedente alla novellazione operata dall’articolo 54, primo comma, lettera b , d.l. 22 giugno 2012 numero 83, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 2012 numero 134, il ricorrente non lamenta né insufficienza né contraddittorietà motivazionali perché il giudice di secondo grado avrebbe omesso di esaminare la sentenza del 6 luglio 2011 numero 528 del Tribunale di Catania, sezione di Acireale, prodotta con le memorie depositate il 14 giugno 2012, ovvero insieme al primo scritto difensivo utile essendo intervenuta dopo il deposito del ricorso d’appello. La sentenza costituirebbe un fatto decisivo perché provava l’indubbia conoscenza del diritto al risarcimento integrale del danno scaturente dal sinistro stradale, già a far data dall’atto introduttivo del giudizio instaurato davanti al giudice di pace di Acireale e definito con tale sentenza in appello. Il motivo patisce la stessa carenza di autosufficienza in ordine al contenuto di quello che il ricorrente definisce fatto decisivo che si è già rilevata a proposito della terza doglianza racchiusa nel primo motivo del ricorso, cui pertanto si rimanda. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali liquidate come da dispositivo. Si dà atto altresì che sussistono i presupposti per il versamento ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater d.p.r. 115/2002 dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale imposto dal comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, che liquida in Euro 8300, di cui Euro 200 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.