Difesa tecnica: la sua importanza passa anche attraverso la liquidazione congrua dei compensi di giudizio

Il giudice che deve decidere sulle spese processuali relative alla attività difensiva espletata deve applicare la normativa vigente al tempo in cui quell'attività stessa è stata compiuta.

Il problema dei giudizi di valore irrisorio. L'intera vicenda processuale, giunta sino alla Corte di Cassazione, verte sui criteri da seguire per la quantificazione dei compensi del legale per l'attività espletata in corso di causa Cass., n. 6999/2016, depositata l’11 aprile . Argomento spinoso e campo di battaglia già per propria natura. Ma particolarmente allarmante allorquando l'attività sia stata svolta per difendere le ragioni di un cittadino contro la sanzione amministrativa di soli euro 61 che, per il magistrato, giustifica la liquidazione di euro 100 per tutta l'attività dell'avvocato difensore. In breve il ricorrente impugnava sia la sentenza emessa dall’ufficio del Giudice di Pace che quella successivamente pronunciata dal Tribunale, in secondo grado, a causa della inadeguata liquidazione delle spese legali, nonostante la piena vittoria in sede giudiziale. In fatto, chiariva che il prefetto aveva respinto il suo ricorso contro una sanzione amministrativa di euro 23 per violazione al codice della strada e le aveva ingiunto il pagamento di euro 61. Successivamente, il Giudice di Pace aveva accolto il ricorso ma aveva condannato la controparte al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 100 oltre ad euro 37 per spese vive. La medesima sorte subiva il giudizio incardinato presso il Tribunale competente, in secondo grado. In particolare il giudice unico del Tribunale precisava che la lamentata erroneità della sentenza del Giudice di Pace in relazione alla misura dei compensi liquidati, giudicate dall’istante non rispettose dei limiti tariffari, non era fondata atteso che con il d.lgs. 212/2011 era stato aggiunto all'art. 91 c.p.c. l'ultimo comma nel quale si stabilisce che nelle cause previste dall'art. 82, comma 1, le spese, le competenze e gli onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda. Sì precisa che la norma richiamata l’art. 82 c.p.c. è quella che sancisce la possibilità per il cittadino di stare in giudizio personalmente nelle cause chiamate dinanzi al giudice di pace ed il cui valore non eccede gli euro 1.100. Il compenso congruo per l’attività espletata ed il principio della determinazione ratione temporis. La ricorrente, in particolare, contestava che la liquidazione era stata effettuata con indicazione dell'importo globale ed indistinto di diritti ed onorari di avvocato e che la relativa determinazione non poteva qualificarsi effettivamente congrua ed esauriente in considerazione dell'attività processuale svolta indicando il dettaglio delle attività svolte e la relativa tariffazione secondo il d.m. n. 127/2004 applicabile ratione temporis e quantificabile in circa euro 300. In modo più che esaustivo il ricorrente, nel proprio atto difensivo, rammentava precedente pronuncia della Cassazione secondo cui qualora l'attività giudiziale dell'avvocato della parte vittoriosa sia terminata prima del 23 luglio 2012 e della caducazione definitiva delle tariffe forensi, per la liquidazione giudiziale delle spese si deve fare riferimento alle tariffe stesse viceversa, qualora la conclusione dell'attività difensiva con il compimento dell'opera professionale avesse avuto luogo dopo l'intervenuta abrogazione, l'entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali fa sì che la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previgenti tariffe ancorché alcune attività siano svolte nel vigore dei compensi previgenti. Tale principio era stato ribadito anche in un'altra pronuncia dagli Ermellini secondo cui il giudice che deve liquidare le spese processuali relative ad una attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l'attività stessa è stata compiuta. Per cui per l'attività conclusa nella vigenza del d.m. n. 127/2004 deve applicare le tariffe da questo previste e non i parametri sopravvenuti ai sensi dell'art. 41, d.m. n. 140/2012. Il diritto inviolabile alla difesa. La parte maggiormente incisiva è quella nella quale la ricorrente osserva che l'esclusione della ripetizione delle spese giudiziali nel caso di ricorso alla difesa tecnica da parte di chi non abbia conoscenze adeguate anche ai fini semplicemente di scegliere se a dire o meno l'autorità giudiziaria si traduce in una grave compressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Proprio quella difesa tecnica che è ritenuta un valore fondamentale nel nostro ordinamento giuridico tanto che essa è, in linea generale, prevista come obbligatoria dallo stesso legislatore. L'irrisorietà dei tre casi in cui è possibile per il cittadino difendersi da solo, e cioè per i procedimenti davanti al Giudice di Pace che abbiano un valore inferiore ad Euro 1100 oppure nei casi in cui la parte che agisce o resiste abbia la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito ed, infine, nelle cause in materia di lavoro che abbiano valore inferiore ad Euro 129,11, è sintomatica dell'importanza della difesa tecnica. Quanto al processo penale il legislatore ha espressamente escluso la possibilità di provvedere personalmente alla propria difesa e ciò anche per chi possiede le qualità tecniche necessarie. La Cassazione, nel rilevare la fondatezza del ricorso, ha integralmente richiamato, per la motivazione, le ragioni indicate ed adeguatamente argomentate dalla ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 5 novembre 2015 – 11 aprile 2016, n. 6999 Presidente Petitti – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. S.D.A. impugna la sentenza del Giudice di Pace di Messina n. 2916/12, del 18/4-28/5/2012, che, pur accogliendo la sua opposizione all’ordinanza ingiunzione prefettizia in materia di violazioni al Codice della Strada, liquidava le spese in misura inadeguata, nonché l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, proposto solo sulle spese, pronunciata dal Tribunale di Messina il 6/12/2013, depositata il 9 dicembre 2013 e comunicata con posta elettronica lo stesso giorno. In fatto chiarisce che il Prefetto aveva respinto il suo ricorso avverso la sanzione amministrativa di 23 euro per violazione al Codice della Strada sosta in area tariffata senza esposizione titolo e le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 61, comprensiva delle spese di notifica e il giudice di pace aveva accolto il suo ricorso ma aveva condannato il Comune di Messina al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 100 Euro, oltre 37 per spese vive. 2. Fa presente la ricorrente che a il giudice di pace accoglieva, ritenendolo assorbente di tutti gli altri, il sesto motivo di opposizione per manifesta nullità della Delibera della Giunta Comunale e, delle successive ordinanze adottate in materia di parcheggi a pagamento nel centro cittadino in quanto prive della previsione di adeguate aree destinate al libero parcheggio per come previsto dal comma 8 dell’ad. 7 CDS, che vanno disapplicate dal Giudice Ordinario ” condannando il convenuto pur individuato nel Comune di Messina in luogo della Prefettura della stessa città per mero errore materiale, rilevato nell’atto di appello b il giudice unico del Tribunale dichiarava inammissibile l’appello ex art. 348 bis cod. proc. civ. non presentando ragionevoli probabilità di essere accolto . 2.1 - Aggiunge la ricorrente che il giudice unico del Tribunale così motivava parte appellante ha eccepito l’erroneità della sentenza in re/azione alla misura dei compensi liquidati, in quanto non rispettosi dei limiti tariffari detto motivo non può assolutamente essere condiviso atteso che con il decreto legislativo 212/2011 entrato in vigore in data 23.12.2011 è stato aggiunto all’art. 91 c.p.c. comma che recita IV Nelle cause previste dall’art. 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda la controversia rientra fra quelle previste dall’art. 82 1 comma c.p.c. nella versione applicabile ratione temporis, secondo la quale Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede Euro 1.100 già Euro 1.000,00 secondo il d.lgs. suindicato, poi modificata, in sede di conversione con legge 10/2012, in Euro 1.100,00 tali norme sono applicabili al presente giudizio atteso che il giudizio di primo grado è stato instaurato dopo l’entrata in vigore delle stesse, con il deposito del ricorro avvenuto in data 27.1.2012 pertanto, la domanda - avente ad oggetto l’opposizione a ordinanza ingiunzione -, aveva valore di Euro 61,00 pari al valore della somma ingiunta non è possibile liquidare una somma diversa rispetto a quella già riconosciuta in primo grado nulla deve disporsi sulle spese attesa la contumacia della parte appellata . 3. La ricorrente formula due motivi. La Prefettura di Messina, tramite l’avvocatura dello Stato, ha depositato memoria di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione. Parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso. 1.1 - Col primo motivo si deduce Violazione degli arti. 91 c.p.c. e 24 della L. 13/6/1942 n. 794, nonché del Decreto del Ministro della Giustizia 8/4/2004 n. 127, recante approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 25/9/2002, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali. Motivazione inesistente ed omessa sii un punto decisivo del giudizio, e conseguente violazione degli artt. 132 cod. proc. civ e 118 disp. att. c.p.c. art. 360, mi. 3 e 4, c.p.c. . Rileva la ricorrente che il giudice di pace ha liquidato le spese in violazione dei limiti minimi inderogabili ai sensi dell’art. 24 della L. 13/6/1942 n. 794, secondo un principio ancora vigente sia al momento dell’inoltro della causa 27/1/2012 che alla data della sua definizione 18/4 - 28/5/2012 , secondo quanto previsto dall’art. 9 del D.L. 24/1/ 2012 n. 1 nel testo risultante dalla sua coordinazione con la legge di conversione n. 27 del 2413/2012 della tariffa professionale forense, e ciò prescindendo dal mancato deposito della nota delle spese ex art. 75 disp. att. Cod. proc. civ. . Aggiunge che la liquidazione è stata fatta con indicazione dell’importo globale ed indistinto di diritti ed onorari di avvocato e che la relativa determinazione non poteva qualificarsi effettivamente congrua ed esauriente in considerazione dell’attività processuale svolta , indicando, previo dettaglio delle attività svolte e relativa tariffazione, secondo la tariffa forense approvata con D.M. 127/04 applicabile ratione tempotis , la somma complessiva di Euro 290,25 di cui 203,00 per competenze-diritti di procuratore, 55,00 per onorari di avvocato, ed 32,25 per rimborso forfettario spese generali in ragione del 12,50% sull’importo di tali voci . Aggiunge la ricorrente che alla controversia non restano applicabili le disposizioni di cui al D.M. n. 140/2012, per essersi il giudizio concluso precedentemente alla loro entrata in vigore. Al riguardo richiama Cass. 2012 n. 18920, secondo cui Qualora l’attività giudiziale dell’avvocato della parte vittoriosa - con riferimento come detto ai singoli gradi – sia terminata prima del 23 luglio 2012 e della caducazione definitiva delle tariffe forensi, per la liquidazione giudiziale delle spese si dovrà fare riferimento alle tariffe forensi qualora, invece, la conclusione dell’attività difensiva, con il compimento dell’opera professionale, abbia luogo dopo l’intervenuta abrogazione di dette tariffe, l’entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali farà sì che la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previgenti tariffe, ancorché alcune attività siano state svolte nel vigore delle tariffe previgenti . Richiama inoltre Cass. Civ. Sez. III 18/12/2012 n. 23318, secondo cui Il giudice che deve liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita nella specie, cassando con decisione nel merito , deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta, sicché, per l’attività conclusa nella vigenza del d.m. n. 127 del 2004, deve applicare le tariffe da questo previste e non i parametri sopravvenuti ai sensi dell’art. 41 del d.m. n. 140 del 2012 . La ricorrente ribadisce inoltre anche in questa sede la necessità che venga disposta la correzione del dispositivo della sentenza di primo grado, che indica, per mero lapsus calami il destinatario della condanna alla rifusione delle spese processuali già liquidate Euro 137,00 oltre i.v.a. e c.p.a. il Comune di Messina, del tutto estraneo alla causa, e non la reale parte convenuta Prefettura di Messina . 1.2 - Col secondo motivo si deduce eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 91 cod. proc. civ. come novellato dall’art. 13 del D.L. 22/12/2011 n. 212, convertito con modificazioni nella L. 17/272012 n. 10, in relazione all’art. 82 C.P.C., per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione . Solleva la ricorrente, in via subordinata rispetto al superiore circostanziato primo motivo di impugnazione, ed in considerazione delle motivazioni poste alla base dell’ordinanza del 6-9/12/2013, con la quale il Tribunale di Messina ha ritenuto di dichiarare inammissibile ex ad. 348 bis c.p.c. l’appello proposto avverso la medesima sentenza del Giudice di Pace di Messina quivi impugnata, ai sensi dell’art. 23 della L. 11/3/1953 n. 87, questione di legittimità costituzionale dell’art. 91 c.p.c in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione , posto che la esclusione della ripetizione delle spese giudiziali nel caso di ricorso alla difesa tecnica da parte di chi non abbia conoscenze adeguate anche si fini semplicemente di scegliere se adire o meno l’autorità giudiziaria si traduce in una compressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Osserva che la difesa tecnica sia ritenuta un valore fondamentale nel nostro ordinamento giuridico , tanto che essa è in linea generale prevista come obbligatoria dallo stesso legislatore ed infatti, nel processo civile vi sono solo tre eccezioni a tale obbligatorietà - la prima è prevista proprio dall’art. 82, 1 comma, c.p.c., per i procedimenti avanti al giudice di Pace che abbiano un valore inferiore ad Euro 1.100,00 - la seconda è prevista dall’art. 86 c.p.c., nell’ipotesi in cui la pale che agisce o resiste in giudizio abbia la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito - la terza è prevista dall’art. 417 c.p.c. nelle cause in materia di lavoro di valore inferiore ad Euro 129,11. Quanto al processo penale, il legislatore ha invece espressamente escluso la possibilità di provvedere personalmente alla propria difesa tecnica e ciò anche per chi possiede le qualità tecniche necessarie . Secondo la ricorrente sussisterebbe anche la violazione dell’art. 3 della Costituzione, dal momento che si creerebbe una evidente disparità tra due distinte parti del processo che decidessero entrambe di difendersi da sole, ma, ad esempio una avesse la padronanza delle norme che regolano il processo e l’altra no, oppure tra due parti di cui una potesse permettersi di sostenere i costi di una difesa tecnica e l’altra no a ciò si aggiunga che un’ulteriore contraddizione si palesa in considerazione del fatto che, nelle cause disciplinate dagli artt. 409 e s.s. c.p.c. ivi comprese quelle di valore inferiore ad Euro 129,11, per le quali quindi la parte potrebbe stare in giudizio personalmente, senza l’ausilio del difensore , nessun vincolo è soggetto il giudice al momento della decisione sul regolamento delle spese di lite, dal momento che l’art. 91 c.p.c. fa riferimento solo all’art. 82 c.p.c. e non all’art. 417 c.p.c., con la conseguenza che se la parte, piuttosto che stare in giudizio personalmente, si facesse assistere da un difensore, potrebbe ottenere in caso di vittoria l’integrale rifusione delle spese legali, ma non così sarebbe invece per la parte che, in sovrapponibile posizione processuale, avesse chiesto la tutela di un diritto rientrante nella cognizione del Giudice di Pace anziché in quella del Giudice del lavoro . Tale lesione si determinerebbe in maniera evidente proprio nelle cause di minor valore, ove le spese giudiziali superino di gran lunga il valore della posta in gioco. 2. Il ricorso è fondato e va accolto quanto al primo assorbente motivo. La decisione impugnata è errata per le ragioni ampiamente indicate e adeguatamente argomentate dalla ricorrente. La liquidazione delle spese doveva essere effettuata con riguardo alla normativa vigente al momento della liquidazione e cioè al momento della decisione, 18 aprile 2012 , data alla quale non era ancora entrato in vigore il d.m. n. 140 del 20 luglio 2012. Non poteva essere liquidata una somma onnicomprensiva e anche in assenza di nota spese il giudice d’ufficio avrebbe dovuto liquidare le spese sulle base delle attività svolte, per come risultavano agli atti. 3. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con riguardo al motivo accolto, restando assorbiti gli altri, e rinviata ad altro magistrato del Tribunale di Messina che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione e sulla sollevata questione in ordine al soggetto nei cui confronti dovrà essere pronunciata la condanna alle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altro magistrato del Tribunale di Messina.