Occupazione clandestina di un sottotetto …

L’appartenenza del sottotetto si determina in base al titolo e in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6143/16, depositata il 30 marzo. Il fatto. La ricorrente in Cassazione impugna la pronuncia con la quale la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame da lei interposto contro la sentenza di prime cure. In primo grado veniva, infatti, accolta la domanda proposta dall’attrice, la quale a seguito dell’atto di spoglio subito dall’attuale ricorrente in sede di legittimità, chiedeva la reintegra nel possesso della porzione di sottotetto sovrastante il suo appartamento. Il Tribunale di Milano, dato atto dello spoglio patito, reintegrava la proprietaria dell’appartamento nel possesso della porzione di sottotetto sovrastante la sua unità immobiliare e ordinava alla soccombente il rilascio della suddetta porzione provvedendo a ricostruire la parete divisoria fra il suo appartamento e la porzione di sottotetto di cui si tratta. Con il primo motivo la ricorrente in Cassazione deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 817 c.c. pertinenze e mancato esame della documentazione prodotta, con il secondo motivo, invece, lamenta l’erroneità della decisione della Corte d’appello sul punto richieste istruttorie finalizzate a dimostrare il suo possesso del locale da tempo e l’uso quotidiano del locale, circostanza questa che avrebbe provato la conoscenza dello spoglio da tempo e la decadenza dall’azione. Il possesso del sottotetto. Il primo motivo di ricorso è infondato. Innanzitutto, ricorda la S.C., l’appartenenza del sottotetto si determina in base al titolo e in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Il sottotetto è da considerare pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano, allorchè assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo, dall’umidità, fungendo da camera d’aria isolante. Quando, invece, il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, in tal caso la sa appartenenza va determinata in base al titolo . Tanto premesso, osservano i Giudici di legittimità, la Corte territoriale ha correttamente affermato che, sulla base degli accertamenti effettuati, il sottotetto era inidoneo ad una destinazione diversa da quella pertinenziale di isolamento dell’appartamento sottostante. Di qui l’affermato possesso della pertinenza in capo all’odierna controricorrente. Decadenza dall’esercizio dell’azione possessoria. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’errata non ammissione delle prove testimoniali che sarebbero state utili ai fini della dedotta decadenza dell’azione. Ma i Supremi Giudici, ripercorrendo la decisione della Corte territoriale osservano che la stessa prospettazione dei fatti operata dalla ricorrente portava ad escludere che vi fosse stato un uso quotidiano del sottotetto tale da rendere consapevole la proprietaria dell’appartamento sottostante delle attività in essere, che avrebbero determinato lo spoglio. Da ciò consegue l’esclusione delle prove e la condivisibile affermazione che la controricorrente si era tempestivamente attivata quando aveva sentito rumori consistenti, come risultava dalla corrispondenza con l’amministratore. Per tali motivi, la S.C. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 novembre 2015 – 30 marzo 2016, n. 6143 Presidente Mazzacane – Relatore Parziale Svolgimento del processo A. La ricorrente impugna con due motivi la decisione della Corte di appello di Milano, che ha respinto il suo gravame avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda proposta nei suoi confronti dalla signora D.G. , avente ad oggetto reintegra nel possesso del sottotetto sovrastante il suo appartamento in Milano. B. La Corte locale così riassume lo svolgimento della vicenda processuale. B1. Con sentenza depositata in - Cancelleria il giorno 20.6.2008 n. 8077/2008 il Tribunale di Milano, o nella causa promossa da D.G.V. contro ALFRAFI S.R.L., ha così deciso visti gli artt. 1168 c.c. e 703 c.p.c., confermando l’ordinanza in data 10.6.04, dato atto dello spoglio patito da D.G.V. , reintegra la ricorrente nel possesso della porzione di sottotetto soprastante l’unità immobiliare di proprietà della stessa, sita in OMISSIS , piano quarto, e per l’effetto ordina alla Alfrafi il rilascio della suddetta porzione provvedendo a ricostruire la parete divisoria fra l’appartamento occupato dalla resistente e/o suoi aventi causa e la porzione di sottotetto di cui sopra . B2. La Corte locale rilevava che il giudice di primo grado ha così sintetizzato lo svolgimento del processo. Con ricorso regolarmente notificato D.G.V. chiedeva di essere reintegrata nel possesso della porzione di sottotetto soprastante l’appartamento di proprietà della stessa, sito in OMISSIS , piano quarto. La ricorrente lamentava che la Alfrafi aveva commesso atto di piglio in suo danno, occupando la suddetta porzione di sottotetto, eseguendo opere e installazioni chiedeva, quindi, la rimozione di dette opere e il ripristino dello stato dei luoghi. La resistente si costituiva contestando le avverse affermazioni, in particolare eccependo di aver acquistato il sottotetto nella stessa situazione in cui si trovava al momento del lamentato spoglio negava l’esercizio del possesso da parte della ricorrente sulla porzione immobiliare in contestazione ed eccepiva, comunque, la mancanza dei requisiti della violenza o della clandestinità in relazione all’acquisto del possesso da parte sua eccepiva, inoltre, l’intempestività dell’azione ex adverso proposta e concludeva per la declaratoria di decadenza della ricorrente dall’azione ex art. 1168 e 1170 in ogni caso, chiedeva il rigetto dell’avversa domanda con il favore delle spese. Con ordinanza riservata del 10.6.04 il G. D. accoglieva il ricorso e disponeva il mutamento del rito fissando udienza ex art. 183 c. p.c. per il merito. Dopo la concessione di termini per il deposito di memorie veniva espletata CTU. All’esito, ritenuta la causa matura per la decisione, il G.I. faceva precisare le conclusioni e tratteneva la causa in decisione . B3. Così la Corte locale riassumeva i motivi di gravame a inesatta qualificazione della proprietà, del possesso e della natura del sottotetto b carenza di legittimazione attiva di D.G.V. c decadenza di Vincenzo D.G. dall’esercizio delle azioni ex artt. 1168 e 1170 c.c. d configurabilità ire capo ad Alfrafi di un possesso utile anche per l’usucapione . B4 - La Corte territoriale rigettava il gravame della società e confermava la sentenza di primo grado, così motivando la sua decisione per quanto ancora interessa in questa sede. B4.1 - Sulla decadenza di D.G.V. dall’esercizio delle azioni ex art. 1168 e 1170 c.c Osserva la Corte locale che correttamente il Tribunale ha ritenuto l’odierna appellata non decaduta dall’esercizio delle azioni possessorie, considerando che la clandestinità non può ritenersi cessata fino alla scoperta dello spoglio , posto che la D.G. aveva dimostrato di avere avuto conoscenza dello spoglio del sottotetto solo dal 2003 in occasione dei lavori eseguiti dall’odierna appellante , producendo, a tal fine, la lettera di denuncia da parte dell’amministratore dello stabile , rigettando le istanze istruttorie della società finalizzate a provare l’occupazione del sottotetto per circa vent’anni, sia perché tali circostanze non riguardavano la conoscenza del fatto della D.G. e sia perché la stessa prospettazione dell’appellante non riguardava atti quotidiani di passaggio e movimentazione di cose . B4.2 - Sulla qualificazione della proprietà, del possesso e della natura del sottotetto, la Corte locale osservava che il giudice di prime cure, sulla scorta delle valutazioni peritali, ha accertato l’inidoneità del sottotetto ad una destinazione diversa da quella pertinenziale di isolamento dell’appartamento sottostante, poiché l’altezza media del sottotetto è tale da non consentirne l’abitabilità . Ha poi rilevato che l’appellante ha censurato la decisione del giudice di primo grado perché in contrasto con i titoli di proprietà prodotti da Alfrafi, con le risultane dell’ordinanza collegiale, emessa dal tribunale all’esito del procedimento di reclamo, nonché con le stesse risultanze della C.T.U. . Ha affermato che vero è che il giudice di primo grado ha qualificato il sottotetto come mera intercapedine, così apparentemente discostandosi dalle conclusioni del C.T.U. , rilevando però che l’impossibilità di un uso residenziale del sottotetto è da considerarsi decisiva per qualificare lo stesso come meni pertinenza dell’immobile di proprietà della D.G. , posto che il fatto che nel punto di massima altezza il sottotetto raggiunga circa i due metri non esclude, in ogni caso, la funzione di protezione e di isolamento termico che esso considerato nella sua interezza, e quindi anche nelle parti più basse ha rispetto all’appartamento sottostante . C. Resiste con controricorso la parte intimata. Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso. 1.1 - Col primo motivo si deduce Art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. - Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 817 c.c. - omessa, insu iciente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio - mancato esame della documentazione prodotta e mancalo accoglimento delle istanze istruttorie . La ricorrente articola il suo motivo di ricorso, rilevando che la Corte territoriale, affermando che nel punto di massima altezza il sottotetto raggiunga circa i due metri non esclude, in ogni caso, la funzione di protezione ed isolamento termico che esso considerato nella sua interezza e quindi anche nelle parti più basse ha rispetto all’appartamento sottostante ha sostanzialmente finito per affermare che ogni qualvolta una unità immobiliare priva del requisito dell’abitabilità svolga una finzione di coibentazione in favore dell’appartamento sottostante, essa sia da considerare pertinenza indipendentemente dal fatto che sia suscettibile di utilizzazione separata rispetto all’appartamento sottostante . Aggiunge che il CTU in primo grado aveva sì rilevato che il locale non fosse abitabile per carenza dei requisiti della altezza, ma aveva anche affermato che il vano poteva essere utilizzato come locale senza permanenza di persone , con ciò riconoscendo una funzione diversa da quella di semplice intercapedine. Inoltre, la ricorrente evidenza la carenza motivazionale della decisione in ordine alla valutazione dei titoli prodotti in causa, dai quali risultava che il suo dante causa aveva acquistato l’intero sottotetto, mentre non risultata il sottotetto nell’atto di acquisto della odierna resistente. 1.2 - Col secondo motivo si deduce Art. 360 n. 5 c.p.c. - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio - sulla necessità di esperire l’istruttoria richiesta in primo grado - sulla decadenza dall’azione di spoglio . La ricorrente lamenta l’erroneità della decisione della Corte di appello sul punto richieste istruttorie prove testimoniali finalizzate a dimostrare il suo possesso del locale da tempo e l’uso quotidiano del locale, circostanza questa che avrebbe provato la conoscenza dello spoglio da tempo e la decadenza dall’azione. 2. Il ricorso è infondato e va rigettato. 2.1 - Quanto al primo motivo, occorre innanzi tutto osservare che questa Corte ha da tempo affermato che l’appartenenza del sottotetto non indicato nell’art. 1117 c.c. tra le parti comuni dell’edificio si determina in base al titolo e in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Il sottotetto è da considerare pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano, allorché assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, fungendo da camera d’aria isolante. Quando, invece, il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, in tal caso la sua appartenenza va determinata in base al titolo. In mancanza, poiché il sottotetto non è compreso nel novero delle parti comuni dell’edificio, essenziali per la sua esistenza suolo, muri maestri, tetto, etc. o necessarie all’uso comune androne, scale, etc. la presunzione di comunione ex art. 1117 n. 1 c.c. è applicabile solo nel caso in cui il vano risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse condominiale v, fra tante Cass. 2004 n. 24147 n. 8968/2002 n. 8468/2002 n. 6027/2000 n. 9788/1997 . 2.2 - Tanto premesso, nel caso in questione resta esclusa l’ipotesi di cui all’art. 1117 c.c. alla quale non hanno fatto riferimento né le parti, né la sentenza. Occorre osservare che si tratta poi di valutare la questione sul solo versante possessorio. 2.3 - La Corte di appello, come si è detto vedi punto B4.2 , ha condiviso le conclusioni del primo giudice circa l’inidoneità del sottotetto ad una destinazione diversa da quella pertinenziale di isolamento dell’appartamento sottostante. Di qui l’affermato possesso della pertinenza in capo all’odierna controricorrente. La Corte di appello ha anche chiarito, rispetto allo specifico motivo di appello dell’odierna ricorrente, che vero è che il giudice di primo grado ha qualificato il sottotetto come mera intercapedine, così apparentemente discostandosi dalle conclusioni del C.T.U. , ma ha rilevato però che l’impossibilità di un uso residenziale del sottotetto è da considerarsi decisiva per qualificare lo stesso come mera pertinenza dell’immobile di proprietà della D.G. , posto che il fatto che nel punto di massima altezza il sottotetto raggiunga circa i due metri non esclude, in ogni caso, la funzione di protezione e di isolamento termico che esso considerato nella sua interezza, e quindi anche nelle parti più basse ha rispetto all’appartamento sottostante . 2.4 - Come si è detto, la ricorrente articola il suo motivo di ricorso, rilevando che la Corte territoriale ha sostanzialmente finito per affermare che ogni qualvolta una unità immobiliare priva del requisito dell’abitabilità svolga una funzione di coibentazione in favore dell’appartamento sottostante, essa sia da considerare pertinenza indipendentemente dal fatto che sia suscettibile di utilizzazione separata rispetto all’appartamento sottostante . Aggiunge che il CTU in primo grado aveva sì rilevato che il locale non fosse abitabile per carenza dei requisiti della altezza, ma aveva anche affermato che il vano poteva essere utilizzato come locale senza permanenza di persone” , con ciò riconoscendo una funzione diversa da quella di semplice intercapedine. Inoltre, la ricorrente evidenza la carenza motivazionale della decisione in ordine alla valutazione dei titoli prodotti in causa, dai quali risultava che il suo dante causa aveva acquistato l’intero sottotetto, mentre non risultata il sottotetto nell’atto di acquisto della odierna resistente. Infine, la ricorrente lamenta anche la mancata ammissione delle prove finalizzate a dimostrare che dal 1983 la società disponeva anche del locale in questione grazie all’esistenza di una porta di accesso già esistente. 2.5 - Tutto ciò premesso, il primo motivo è infondato in tutte le sue censure per quanto di seguito si chiarisce. La Corte, pur con una motivazione non limpida, ha tuttavia chiaramente e sostanzialmente affermato, facendo in ciò anche riferimento alla decisione di primo grado, che, sulla base degli accertamenti effettuati, era risultato che il locale sottotetto era sito proprio in corrispondenza del sottostante appartamento della controricorrente. E ciò risulta dalle stesse deduzioni della ricorrente che non nega l’esistenza di un muro di separazione tra i diversi e contigui locali sottotetto salvo poi affermare, chiedendo di provare, che esisteva una porta di collegamento che le consentiva l’accesso, prova dedotta ai fini della decadenza, vedi il successivo motivo . Tale specifica configurazione del locale lo rendeva, come affermato del resto dalla controricorrente, strutturalmente inaccessibile. Per questo la Corte locale, valorizzando anche la circostanza dell’esatta sovrapponibilità del locale al sottostante appartamento e della sua inidoneità, come è pacifico, ad usi residenziali ha concluso che risultava in atto la funzione di intercapedine, posto che altro uso, per come accertato, non vi era stato. Trattandosi di controversia possessoria, tali elementi risultavano sufficienti, dovendo i titoli, peraltro da analizzare e interpretare specificamente, servire solo ad integrazione. Si tratta di valutazione di merito, che seppure sinteticamente motivata, è incensurabile in questa sede e, nei limiti dell’indicato giudizio possessorio, conforme agli arresti di questa Corte sul punto. 2.6 - Parimenti infondato risulta il secondo motivo, col quale si lamenta l’errata non ammissione delle prove testimoniali, che sarebbero risultate utili ai fini della dedotta decadenza dell’azione. La Corte ha precisato che vedi punto B4.1 correttamente il Tribunale ha ritenuto l’odierna appellata non decaduta dall’esercizio delle azioni possessorie, considerando che la clandestinità non può ritenersi cessata fino alla scoperta dello spoglio , posto che la D.G. aveva dimostrato di avere la conoscenza dello spoglio del sottotetto solo dal 2003 in occasione dei lavori eseguiti dall’odierna appellante , producendo, a tal fine, la lettera di denuncia da parte dell’amministratore dello stabile , rigettando le istanze istruttorie della società finalizzate a provare l’occupazione del sottotetto per circa vent’anni, sia perché tali circostanze non riguardavano la conoscenza del fatto della D.G. e sia perché la stessa prospettazione dell’appellante non riguardava atti quotidiani di passaggio e movimentazione di cose . In effetti, la stessa prospettazione dei fatti operata dalla ricorrente portava ad escludere che vi fosse stato un uso quotidiano del sottotetto tale da rendere consapevole la proprietaria dell’appartamento sottostante delle attività in essere, che avrebbero determinato lo spoglio. Di qui l’esclusione della rilevanza delle prove e la condivisibile affermazione che la controricorrente si era tempestivamente attivata quando aveva sentito rumori consistenti, come risultava dalla corrispondenza con l’amministratore. 3. Le spese seguono la soccombenza. P.T.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.500,00 duemilacinquecento Euro per compensi e 200,00 duecento Euro per spese, oltre accessori di legge.