La legittimazione processuale deve essere provata documentalmente dal successore

La società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un'altra società, della quale affermi di essere successore a titolo universale o particolare , è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall'art. 372 c.p.c., a meno che il resistente non l'abbia - nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 c.p.c. - esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell'impugnazione.

Con la sentenza del 2 marzo 2016, n. 4124, la Cassazione precisa che l’onere di provare documentalmente la legittimazione processuale quale successore di una società spetta al soggetto che dichiari di succedere alla prima, a meno la controparte riconosca anche implicitamente la stessa legittimazione tale sentenza offre lo spunto per esaminare la questione della legittimazione processuale del successore a titolo particolare o universale. Il caso . La vicenda decisa dal S.C. ha natura processuale e concerne l’onere probatorio a carico del successore nel processo avverso una società estinta. In particolare, si discuteva sulla validità di un documento che, secondo la prospettazione dell’odierna ricorrente soccombente nei giudizi di merito avrebbe rappresentato la prova della propria legittimazione. Il S.C, per contro, conferma la decisione della Corte territoriale, affermando la necessità di un atto pubblico attestante il subentro nella posizione della società estinta di tale regola si può non tenere conto solo in caso di mancate contestazioni peraltro, proposte ritualmente nel caso in esame Estinzione e liquidazione differenze nella successione processuale. Secondo la giurisprudenza, mentre l'estinzione della società per sopravvenuta cancellazione dal registro delle imprese in pendenza di un processo determina la perdita della capacità di stare in giudizio, con la conseguente interruzione del processo e successione dei soci ai sensi dell'art. 110 c.p.c., lo stato di liquidazione di una società non comporta la sua estinzione, né fa venir meno la sua rappresentanza in giudizio, che è determinata invece soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla stessa facevano capo e dalla definizione di tutte le controversie in corso con i terzi Fusione e successione nel processo. Un caso tipico di successione processuale si verifica in caso di fusione tra società. In particolare, la fusione delle società mediante incorporazione determina automaticamente l'estinzione della società incorporata ed il subingresso, per successione a titolo universale, della società incorporante nei rapporti sostanziali e processuali a quella relativi allorquando la società incorporante agisca o si costituisca in giudizio in luogo della società incorporata deve, pertanto, provare di essere succeduta in universum jus ove la qualità di successore sia contestata, mentre tale prova – come rilevato anche dalla sentenza in commento - non è richiesta se il fatto non sia contestato ovvero se l'altra parte lo consideri espressamente come accertato. Onere della prova nella successione processuale eccezioni anche d’ufficio . Come visto in precedenza, il soggetto che propone l'impugnazione, ovvero vi resiste, nella asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase del giudizio, deve non solo allegare la propria legitimatio ad causam , indicando l'atto in forza del quale egli è subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma deve altresì fornire la prova. La mancanza di tale prova, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, è rilevabile anche d'ufficio, delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex art. 110 o 111 c.p.c. L'art. 372 c.p.c. consente infatti alle parti di produrre nel giudizio di cassazione i documenti che attengono all'ammissibilità del ricorso o del controricorso ma prescrive che se tali documenti non sono prodotti al momento del deposito del ricorso o del controricorso , a salvaguardia del principio del contraddittorio, essi debbano essere notificati, mediante elenco, alle altre parti. Il successore nel processo è parte e non terzo . Le considerazioni sopra esposte inducono senz’altro a ritenere che il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c. A tal fine, però, nei termini sopra illustrati, il soggetto dovrà fornire congrua prova della propria successione nel titolo, non soltanto allegando la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex art. 110 c.p.c. Legittimazione processuale ed altri eredi . Fermo restando che, come sopra spiegato, il soggetto che nel corso del giudizio si costituisce nella qualità di successore universale di una delle parti ha l'onere di fornire - in presenza di contestazione sul punto - la prova della sua legittimazione, qualora egli agisse come erede, spetta a lui dimostrare l'avvenuto decesso di detta parte sia la inesistenza di altri eredi, trattandosi di presupposti necessari per la successione nel processo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 febbraio – 2 marzo 2016, n. 4124 Presidente Forte – Relatore Genovese Svolgimento del processo 1. La Corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza del Tribunale di Larino, che in prime cure aveva accolto la domanda proposta dalla Banca, ha dichiarato l’invalidità della costituzione effettuata nell’interesse di Capitalia SpA già Banca di Roma , di cui ha dichiarato la contumacia e l’improponibilità della domanda giudiziale fatta valere nei confronti dei correntisti sigg. D.M.C. e M.A. , per le loro debenze, a chiusura del rapporto di conto corrente. 1.1. Per il giudice distrettuale, a causa della mancata ottemperanza dell’ordine di deposito dei documenti dimostrativi del conferimento della procura ad agire in giudizio, conferita dalla soc. Capitalia alla S.I.G.RE.C. SpA, ed in particolare della procura generale per atto del notaio Zappone dell’11/3/2003 rep. n. 73761, racc. n. 7704 oltre che delle delibere del C.d.A. del Banco di Santo Spirito del 1991 e 1992, depositate dal Notaio Mariconda negli stessi anni, doveva ritenersi inesistente uno specifico mandato, secondo le regole della rappresentanza volontaria e dei principi in materia di legittimatio ad processum del rappresentante. Infatti, quello depositato doveva intendersi come la stampa di un documento informatico, privo delle sottoscrizioni e, perciò, una mera copia informe. 1.2. Le delibere prodotte, infatti, non sarebbero state sufficienti a dimostrare la legittimatio ad processum delle persone munite di firma di rappresentanza, senza alcuna espressa attribuzione né della rappresentanza processuale né della rappresentanza sostanziale rispetto ad eventuali rapporti processuali. 2. Avverso tale pronuncia ricorre Unicredit SpA, con ricorso affidato a due mezzi. 3. I sigg. D.M.C. e M.A. resistono con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo mezzo Violazione per falsa applicazione degli artt. 82, 83 e 84 c.p.c., in riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. la ricorrente, premesso che la Banca aveva depositato la procura per notar Mariconda del 1992, con la quale il Banco di S. Spirito, che avrebbe assunto il nome di Banca di Roma come detto nell’atto medesimo, attribuiva i poteri di firma e rappresentanza ad un elenco di propri funzionari muniti del potere di nominare i legali cui affidare la rappresentanza e la difesa di Capitalia, in ogni competente sede giudiziale, conferendo loro ogni conseguente potere tra i quali anche quelli che avevano conferito il mandato per decreto ingiuntivo, accolto dal Tribunale in primo grado, censura la sentenza per il travisamento dei documenti e delle conseguenze ad esso ricondotte. 2. Con il secondo mezzo, la ricorrente esprime doglianze sul merito della controversia e censura le affermazioni della sentenza di appello nella parte in cui ha affermato che, nel merito l’opposizione andava comunque accolta. 3. I controricorrenti hanno eccepito, nel controricorso, l’improcedibilità dell’impugnazione per omesso deposito dei documenti richiamati e l’inammissibilità della stessa perché carente di qualsivoglia indicazione che la ricorrente Unicredit SpA sia lo stesso soggetto originario, ossia Capitalia SpA, oltre che l’infondatezza del ricorso per la mancata produzione della procura generale in favore della SIGREC SpA, per notaio Zappone. 4. Le eccezioni sollevate con il controricorso, ciascuna capace da sola di impedire l’esame del merito della controversia, sono tutte fondate. 4.1. Lo è anzitutto quella secondo cui l’odierna ricorrente non ha né allegato specificamente indicando atti e documenti né fornito la prova di essere il successore a titolo particolare dell’originaria Banca creditrice. 4.1.1. Infatti, questa Corte ha già stabilito il principio di diritto secondo cui La società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore a titolo universale o particolare , è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 cod. proc. civ., a meno che il resistente non l’abbia - nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. - esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione . Sez. U, Sentenza n. 11650 del 2006 cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16194 del 2005 . 4.1.2. Nella specie è accaduto che i resistenti abbiano, nel controricorso 8e quindi in sede propria e tempestiva , espressamente eccepito il difetto di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione per mancata allegazione specifica e, soprattutto, mancata prova documentale della propria legittimazione in giudizio. 4.2. Ma è fondata, altresì, l’altra eccezione con la quale i resistenti contestano la mancata prova documentale secondo cui SIGREC SpA, fosse il procuratore generale della Banca e che agli atti sia stato versato quell’atto del notaio Zappone dell’11/3/2003 rep. n. 73761, racc. n. 7704 idoneo a dimostrare tale qualità di colei che ha agito nella fase di merito nella qualità e per conto della banca. 4.2.1. Infatti, questa Corte ha già stabilito il principio di diritto secondo cui Nel caso in cui 11 soggetto costituito in giudizio sia diverso dall’effettivo titolare del diritto, e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale ai sensi dell’art. 77 cod.proc.civ., il giudice ha l’obbligo, in base al successivo art. 182, di rilevarne il difetto in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di decisione , restando attribuita al suo prudente apprezzamento la possibilità della eventuale sanatoria dello stesso, con la conseguenza che, rilevato tale difetto di rappresentanza, né la mancata produzione in giudizio del negozio rappresentativo, né l’eventuale, accertata inidoneità di tale atto a conferire una valida rappresentanza processuale possono dar luogo a responsabilità del difensore, spettando all’organo giudiziario sia la verifica della regolare costituzione delle parti, sia la decisione sulla possibilità ed opportunità di sanare le eventuali irregolarità così che, in ogni caso, l’esito della lite sarà determinato dal difetto di rappresentanza processuale del soggetto costituito in giudizio e non dall’eventuale negligenza del difensore . Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5709 del 1997 cfr. altresì Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19252 del 2004 . 5. In conclusione, il ricorso, infondato, deve essere respinto con la consequenziale condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate con in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.