Opere collettive: il diritto del committente non sostituisce quello del singolo autore

L’art. 11 della l. n. 633/1941, laddove riconosce agli enti pubblici e privati il diritto d’autore sulle pubblicazioni da essi curate, va coordinato con l’art. 3 della stessa legge, che fa salvi i diritti degli autori delle singole opere raccolte in opere collettive. Pertanto, anche quando risulti applicabile l’art. 11 richiamato, non può escludersi la legittimazione dell’autore effettivo dell’opera a contrastarne un’utilizzazione indebita, così rivendicandone la paternità, salva ogni questione attinente ai suoi rapporti con l’ente committente che non ne abbia autonomamente disposto.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 2197/2016, depositata il 4 febbraio. Il caso. Il giudizio ha ad oggetto una richiesta risarcitoria per indebita pubblicazione di alcuni scritti estratti da volumi collettanei. Nella specie, l’autore delle opere aveva citato in giudizio il rappresentante dell’associazione che aveva curato la pubblicazione in questione. Respinta in primo grado, la domanda veniva accolta al termine del successivo giudizio d’appello, con conseguente condanna del convenuto al risarcimento dei danni liquidati equitativamente. Con la medesima sentenza veniva, peraltro, confermata la pronuncia di primo grado nella parte in cui, in accoglimento della domanda riconvenzionale, era stato condannato l’attore a risarcire il convenuto per la diffamazione scaturita dall’averlo definito quale abituale utilizzatore non autorizzato di testi altrui. Entrambe le parti si rivolgevano, quindi, alla Corte di Cassazione. L’acquisto del diritto d’autore. Il ricorso principale proposto dal convenuto sottopone alla Suprema Corte la questione relativa alla tutela dell’opera collettiva. In particolare, il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero riconosciuto la violazione del diritto d’autore, ipotizzando erroneamente un coordinamento tra norme riferite a fattispecie del tutto diverse e autonome. Nel caso di specie viene, dunque, in rilievo il disposto dell’art. 11 l. n. 633/1941, che riconosce agli enti pubblici o privati il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto e spese, salvo diverso accordo con gli autori delle opere pubblicate. Ebbene, tale diritto – osservano gli Ermellini – non può avere carattere di esclusività dal momento che l’art. 11 cit., nell’equiparare gli enti committenti agli autori dell’opera, non deroga al principio fondamentale enunciato dall’art. 6 della stessa legge, che riconosce nella creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale, il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore. Pertanto, quale che sia il rapporto dell’ente con la persona fisica al cui ingegno l’opera si deve, è l’atto creativo che attribuisce in via originaria la paternità dell’opera. Il diritto di autore sulle opere collettive. Ciò posto, va altresì considerato che l’art. 20 della legge prevede che, indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, l’autore conserva il diritto di rivendicarne la paternità e di opporsi a qualsiasi deformazione o modificazione nonché ad ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. Il diritto d’autore riconosciuto all’ente committente si affianca, pertanto, ma non sostituisce il diritto di chi l’opera la creò a rivendicarne la paternità. Ed è in questa prospettiva che va intesa anche la salvaguardia riconosciuta dall’art. 3 ai diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono composte le opere collettive. Del resto, la distinzione tra diritto d’autore e diritto di utilizzazione economica si rinviene anche in altre disposizioni della stessa legge, come l’art. 7 e l’art. 38, con riferimento alle opere collettive. In definitiva, quindi, anche quando risulti applicabile l’art. 11 della legge n. 633/1941, non può escludersi la legittimazione dell’autore effettivo dell’opera a contrastarne un’utilizzazione indebita, sicché deve reputarsi corretta, nel caso in esame, la decisione dei giudici di merito di accogliere la domanda dell’attore, non avendo il convenuto neppure allegato di avere ottenuto dagli enti committenti l’autorizzazione all’utilizzazione delle opere controverse. La provocazione non esclude la responsabilità civile per diffamazione. Quanto al ricorso incidentale, l’autore della pubblicazione contesta la condanna per diffamazione, evidenziando che il riconoscimento della scriminante della provocazione avrebbe fatto venir meno non solo la responsabilità penale, ma anche quella civile. Nel respingere la censura, gli Ermellini affermano che, secondo una consolidata giurisprudenza, l’esimente della provocazione di cui all’art. 599, ultimo comma, c.p. esclude la punibilità dei reati di ingiuria e di diffamazione, non anche la natura di illecito civile del fatto e la conseguente obbligazione risarcitoria del danno subito dal soggetto leso. Invero, secondo la più recente dottrina penalistica, la provocazione non è una scriminante o esimente o causa di giustificazione, ma è una scusante, che esclude solo la colpevolezza per il fatto pur tipicamente illecito. In questa prospettiva, dunque, essa non esclude l’illiceità dell’ingiuria o della diffamazione e la conseguente responsabilità civile dell’autore, ma ne esclude solo la colpevolezza penale, non più intesa come mera imputabilità psicologica del fatto, ma come rimproverabilità della condotta in ragione anche delle motivazioni ad agire.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 gennaio – 4 febbraio 2016, n. 2197 Presidente / Relatore Nappi Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma si è pronunciata in una complessa controversia insorta tra C.E. , anche quale rappresentante dell'Associazione Festival di Pasqua e della C.E. arts s.r.l., successivamente denominata Nympheum s.r.l., e Ca.Br. , anche quale legale rappresentante della Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia. Definita la controversia relativa all'organizzazione, anche da parte della Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia, di una manifestazione denominata Festival di Pasqua, per quanto qui ancora rileva, la corte d'appello, in riforma della decisione di primo grado, condannò C.E. al risarcimento dei danni, liquidati equitativamente in Euro. 10.000, in favore di Ca.Br. , che aveva lamentato l'indebita pubblicazione di suoi scritti estratti da volumi collettanei. Ritennero infatti i giudici d'appello che l'art. 11 della legge n. 633 del 1941, laddove riconosce agli enti privati il diritto d'autore sulle pubblicazioni da essi curate, va coordinato con l'art. 3 della stessa legge, che fa salvi i diritti degli autori delle singole opere raccolte in opere collettive costituite dalla riunione di opere o di parti di opere individuali. Sicché, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, Ca.Br. era legittimato all'azione di risarcimento dei danni per la pubblicazione da parte di C.E. dei suoi scritti indebitamente estratti dalle opere collettanee pubblicate dalle fondazioni Scavolini e Rossini. Con la medesima sentenza la Corte d'appello di Roma confermò invece la condanna di Ca.Br. , anche quale legale rappresentante della Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia, al risarcimento dei danni in favore di C.E. , che aveva lamentato di esserne stato diffamato quale abituale utilizzatore non autorizzato di testi altrui. Hanno ritenuto infatti i giudici del merito che il riconoscimento a Ca.Br. della scriminante della provocazione elide la responsabilità penale ma non la responsabilità civile per l'accertata diffamazione ai danni di C.E. . Contro la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione C.E. , anche quale rappresentante dell'Associazione Festival di Pasqua, e la Nympheum s.r.l., che deducono tre motivi d'impugnazione. Resistono con controricorso Ca.Br. e la Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia, che hanno altresì proposto ricorso incidentale affidato a un unico motivo. Motivi della decisione 1. Va preliminarmente esaminata l'eccezione proposta dai ricorrenti incidentali, che hanno contestato la legittimazione della Nympheum s.r.l., per la indimostrata sua successione alla C.E. arts s.r.l., originaria attrice. La questione dell'effettiva successione della Nympheum s.r.l. alla C.E. arts 5 s.r.l. è tuttavia irrilevante, perché la società è comunque priva di legittimazione, essendo ormai definita la controversia relativa alla promozione della manifestazione denominata Festival di Pasqua. La sentenza di condanna al risarcimento dei danni in favore di Ca.Br. , ora impugnata per cassazione, è stata infatti pronunciata nei confronti del solo C.E. come in favore del solo C.E. è stata pronunciata la condanna di Ca.Br. e della Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia al risarcimento dei danni da diffamazione. Insomma la controversia è ormai limitata alla pretesa risarcitoria vantata da Ca.Br. nei confronti di C.E. e alla contrapposta pretesa risarcitoria da costui vantata nei confronti di Ca.Br. e della Fondazione Accademia Nazionale di S. Cecilia. Rispetto a questa controversia sono del tutte estranee sia l'Associazione Festival di Pasqua sia la Nympheum s.r.l. sia la C.E. arts s.r.l., che avevano agito con esclusivo riferimento alla controversia sulla organizzazione del Fastival di Pasqua. Sicché va esclusa la legittimazione sia della Nympheum s.r.l. sia dell'Associazione Festival di Pasqua. Sulla base di questa premessa vanno distintamente esaminati il ricorso principale e il ricorso incidentale. 2.1- Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 11 legge n. 633 del 1941, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente ipotizzato un coordinamento tra norme riferite a fattispecie del tutto diverse e autonome. Si sostiene che l'art. 11 della legge n. 633 del 1941 non attribuisce rilevanza alcuna alla natura - individuale o collettiva dell'opera curata dall'ente pubblico o privato cui la norma riconosce in via esclusiva il diritto d'autore, in mancanza di un diverso accordo con il creatore dell'opera. Si aggiunge che, comunque, perché un'opera possa essere tutelata come collettiva deve assumere connotati distinti e autonomi dalle singole parti che la compongono. E si esclude che tali connotati abbiano le opere controverse. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce violazione degli art. 115 c.p.c. e 2697 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano omesso totalmente di considerare la consulenza di parte dalla quale risultava l'insussistenza del plagio denunciato da Ca.Br. . Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce violazione dell'art. 1126 c.c. e si lamenta che manchi dei presupposti la liquidazione equitativa del danno, perché Ca.Br. non ha indicato quali parti della propria opera siano state indebitamente utilizzate né il numero delle opere vendute dall'utilizzatore abusivo. 2.2- Il ricorso principale è infondato. Quanto al primo motivo, va certamente disattesa la pretesa del ricorrente di connotare di esclusività il riconoscimento degli enti pubblici o privati come autori delle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto e spese”. L'art. 11 della legge n. 633/1941 va infatti interpretato nel senso che l'equiparazione degli enti committenti agli autori dell'opera non deroga al principio fondamentale enunciato dall'art. 6 della stessa legge, laddove stabilisce che il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”. Sicché, quale che sia il rapporto dell'ente con la persona fisica al cui ingegno l'opera si deve, è l'atto creativo che attribuisce in via originaria la paternità dell'opera. E secondo quanto appunto prevede l'art. 20 della legge, indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutuazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”. Il diritto d'autore riconosciuto all'ente committente si affianca, pertanto, ma non sostituisce il diritto di chi l'opera la creò a rivendicarne la paternità. Ed è in questa prospettiva che va intesa anche la salvaguardia riconosciuta dall'art. 3 ai diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono composte” le opere collettive. Del resto la distinzione tra diritto d'autore e diritto di utilizzazione economica si rinviene anche in altre disposizione della stessa legge, come l'art. 7 e l'art. 38, con riferimento alle opere collettive. Anche quando risulti applicabile l'art. 11 della legge n. 633/1941, non può dunque escludersi la legittimazione dell'autore effettivo dell'opera a contrastarne un'utilizzazione indebita, così rivendicandone la paternità, salva ogni questione attinente ai suoi rapporti con l'ente committente, che non ne abbia autonomamente disposto. Sicché nel caso in esame fu correttamente accolta la domanda proposta da Ca.Br. , non avendo C.E. neppure allegato di avere ottenuto dagli enti committenti l'autorizzazione all'utilizzazione delle opere controverse. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili, perché generici. Non è in discussione infatti l'utilizzazione delle opere di Ca.Br. da parte di C.E. , che ha negato solo l'esigenza della preventiva autorizzazione dell'autore per utilizzarle. Sicché non si vede cosa dovesse ulteriormente essere specificato dal danneggiato né quale rilevanza abbia la consulenza tecnica invocata dal ricorrente, posto che la controversia attiene alla questione giuridica dell'utilizzabilità delle opere. Quanto alla liquidazione del danno lamentato da Ca.Br. , pienamente legittima è l'applicazione dei criteri equitativi, ammessi dallo stesso art. 158 della legge n. 633/1941 con il rinvio all'art. 1226 c.c. Sicché incensurabile risulta la valutazione dei giudici del merito, in considerazione della plausibilità del riferimento all'entità della violazione del diritto d'autore, alla natura e al contenuto degli scritti, alle attività di curatore svolte da Ca.Br. , alla destinazione del volume dal quale erano stati estratti e della rivista sulla quale erano stati riprodotti. Né il ricorrente ha proposto specifiche censure circa la plausibilità di tali criteri di liquidazione del danno. 3.1- Con il ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 599 c.p., 2043, 2056, 1227, 2697 c.c., 115 e 278 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata. Sostengono i ricorrenti che il riconoscimento della scriminante della provocazione fa venir meno anche la responsabilità civile, oltre quella penale, perché esclude sia il dolo sia la colpa, comunque necessari ai fini dell'applicazione dell'art. 2043 c.c., mentre l'art. 1227 c.c. esclude che il risarcimento sia dovuto per i danni evitabili dal danneggiato con l'ordinaria diligenza. Aggiungono che la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni non esime l'attore dall'onere di indicare le prove per la liquidazione dei danni lamentati, in mancanza delle quali la domanda deve essere rigettata. 3.2- Anche il ricorso incidentale è infondato. Secondo una consolidata giurisprudenza di questa corte, infatti, l'esimente della provocazione di cui all'art. 599, ultimo comma, del c.p. esclude la punibilità dei reati di ingiuria e di diffamazione, non anche la natura di illecito civile del fatto e la conseguente obbligazione risarcitoria del danno subito dal soggetto leso” Cass., sez. III, 15 dicembre 2004, n. 23366, m. 579084, Cass., sez. III, 18 ottobre 2005, n. 20137, m. 585229 . In realtà, secondo la più recente dottrina penalistica, quella prevista dall'art. 599 comma 2 c.p. non è una scriminante, o esimente o causa di giustificazione, ma è una scusante, che esclude solo la colpevolezza per il fatto pur tipicamente illecito. Vero è che la giurisprudenza penale continua a qualificare abitualmente quella prevista dall'art. 599 comma 2 c.p. come un'esimente o una scriminante. Tuttavia è evidente che, se non esclude l'illiceità dell'ingiuria o della diffamazione, la provocazione non è una causa di giustificazione, che eliderebbe la stessa antigiuridicità, ma è appunto una scusante, che esclude solo la colpevolezza penale dell'autore, non più intesa come mera imputabilità psicologica del fatto, ma come rimproverabilità della condotta in ragione anche delle motivazioni ad agire. In questa impostazione dunque, benché il fatto rimanga imputabile a titolo di dolo e perciò anche illecito, è esclusa la responsabilità penale per difetto di colpevolezza penale. Quanto ai limiti di ammissibilità della domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, in effetti la giurisprudenza, pur riconoscendo che postula - quale presupposto per il suo accoglimento - l'accertamento di un fatto da ritenersi, alla stregua di un giudizio di probabilità, anche solo potenzialmente produttivo di conseguenze dannose”, impone nondimeno alla parte interessata l'onere di indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per la determinazione del quantum, dovendosi pervenire, in difetto di tale deduzione, al rigetto della domanda di condanna generica” Cass., sez. II, 30 ottobre 2006, n. 23328, m. 592574 . Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa corte, può essere anche presuntiva la prova del danno morale da reputazione Cass., sez. III, 18 novembre 2014, n. 24474, m. 633450 , perché la sua liquidazione va necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali è insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non economico” Cass., sez. Ili, 5 dicembre 2014, n. 25739, m. 633642 . Sicché deve concludersi che è corretta, oltre che plausibile, la liquidazione operata dai giudici del merito in base a criteri appunto equitativi, riferiti alla personalità del soggetto diffamato, alla sua posizione professionale e sociale e considerando la diminuzione del risarcimento per il ricorrere della provocazione”. 4. In conclusione entrambi i ricorsi vanno rigettati, con assorbimento delle questioni di legittimazione della Nympheum s.r.l. e dell'Associazione Festival di Pasqua. La parziale soccombenza reciproca giustifica l'integrale compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.