Addio alle telefonate mute dei call center sui cellulari

La Cassazione vieta alle imprese e operatori di telemarketing di effettuare telefonate mute con sistemi automatici senza il consenso preventivo dei loro clienti.

La Cassazione, con la sentenza n. 2196/16, depositata il 4 febbraio, interviene in materia di marketing a tutela dei cittadini e consumatori che sono sovente bersaglio nella vita quotidiana di continue telefonate per finalità commerciali. Il fatto. Molte aziende di telemarketing si avvalgono di sistemi di chiamata automatica che contattano contemporaneamente più numeri di quanti gli addetti possono gestire e causano un certo numero di chiamate mute ai danni dei cittadini. Il Garante per la Protezione dei dati personali, a seguito di accertamento ispettivo presso società di telemarketing, aveva ritenuto le sopra citate telefonate mute non conformi ai principi del Codice della privacy e aveva prescritto alle società, al fine di ridurre il disagio patito dai cittadini, di adottare tutte le misure, anche di carattere tecnico, finalizzate a garantire che i sistemi impedissero la reiterazione di chiamate su contatto abbattuto cd. chiamate mute” Il Garante per la protezione aveva escluso la possibilità di richiamare la specifica utenza per un intervallo di tempo pari almeno a trenta giorni. Le società coinvolte un’azienda di teleselling e un’azienda informatica che metteva a disposizione la propria piattaforma per la gestione dei contatti presentavano opposizione al provvedimento del Garante di fronte al Tribunale di Roma. Il Tribunale riteneva provato il fenomeno delle telefonate mute alla luce dei numerosi reclami depositati da parte dei cittadini di fronte all’autorità Garante per la protezione dei dati personali e rilevava come le stesse chiamate creavano allarme presso i cittadini e non concretizzavano alcun contratto. Secondo il Tribunale la prescelta modalità di telefonate multiple da parte delle aziende sopra citate era illegittima in quanto configurava un trattamento di dati non conforme al canone di correttezza del trattamento dei dati previsto dall’art. 11 del Codice della privacy e ribaltava il disagio dall’impresa esclusivamente sui cittadini Le società ricorrevano in Cassazione contro la sentenza del Tribunale di Roma. Il trattamento di dati personali. La Cassazione ha focalizzato la propria attenzione anche su un altro profilo che rende illegittimo il trattamento di dati personali, profilo non approfondito dal Tribunale il fatto che il trattamento dei dati personali svolto dalle società in esame era avvenuto con sistemi automatici di chiamata senza il consenso dell’interessato, consenso previsto e richiesto dagli artt. 129 e 130 del Codice della Privacy. Le società avevano rappresentato nel ricorso che, il consenso alla luce dell’art. 130 del Codice in materia di protezione dei dati personali non fosse richiesto per chi sia iscritto negli elenchi degli abbonati ai servizi di telefonia e non abbia esercitato il diritto di opposizione con modalità semplificate e anche in via telematica, mediante iscrizione della relativa numerazione nell’apposito registro pubblico delle opposizioni cd. Opt-out . Soluzione c.d. Opt-out opzione di esclusione . La Cassazione ha osservato che la soluzione Opt-out opzione di esclusione è stata prevista dalla direttiva comunitaria 2002/58-CE solo con riferimento alle chiamate con operatore marketing diretto senza impiego di dispositivi automatici di chiamata. Secondo la Cassazione, le telefonate con contatto abbattuto c.d. mute non rientrano nel concetto di marketing diretto in quanto in esse l’operatore manca. La Cassazione inoltre ha specificato che finanche per il marketing diretto con operatore, rimane in tal guisa legittimo il trattamento dal dato personale tratto da elenchi solo in quanto gli elenchi siano pubblici, come invece non è, per il caso della telefonia mobile . La Cassazione ha pertanto sancito che il principio dell’opt-out non trova applicazione nel caso in cui l’autore abbia inviato telefonate senza operatore cd telefonate con contatto abbattuto o mute” né in quello in cui l’utenza chiamata non risulti inserita in uno degli elenchi cartacei o elettronici a disposizione del pubblico ex art. 129, primo comma del codice in materia di protezione dei dati personali come, per esempio, capita per i telefoni cellulari . La Cassazione ha pertanto rigettato i ricorsi e ha condannato i ricorrenti in solido delle spese processuali. Alla luce dell’importante sentenza della Cassazione in esame si preannunciano tempi difficili per gli operatori del telemarketing un settore importante dell’economia e buone notizie per la tutela dei cittadini i cui dati personali sono trattati, sovente, senza alcun rispetto dei canoni di correttezza e delle regole cardine del settore trasparenza, informativa, consenso .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 gennaio – 4 febbraio 2016, n. 2196 Presidente Nappi – Relatore Terrusi