L’agente della riscossione insiste nell’azione infondata? Deve risarcire i danni per colpa grave

L’agente alla riscossione agisce in giudizio in proprio, sia pure in virtù del sottostante rapporto di mandato intercorrente con l’ente impositore, cosicchè spetta ad esso, e non al mandante, la scelta se rinunciare o meno all’azione ne consegue che, al pari di ogni altro soggetto dotato di legittimazione, anche l’agente soggiace alla sanzione processuale derivante dall’aver agito con colpa grave per avere non solo riproposto una domanda avente ad oggetto un credito già in precedenza accertato, ma insistito per ottenerne l’accoglimento persino dopo aver usufruito, su sua richiesta, di un apposito termine per verificare i documenti di cui è in possesso od assumere le necessarie informazioni presso il mandante.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 25852/15, depositata il 22 dicembre. Il fatto. Il Tribunale territorialmente competente con decreto respingeva l’opposizione ex art. 98 l. fall. proposta dall’agente per la riscossione al fine di ottenere l’ammissione allo stato passivo del Fallimento di una s.r.l. di crediti erariali insinuati con due distinte domande tardive e recanti due distinti numeri di ruolo. Il Tribunale, a fondamento del decreto di rigetto, rilevava che l’agente aveva già chiesto ed ottenuto l’ammissione dei medesimi crediti dedotti in giudizio crediti che pertanto, avevano già formato oggetto di un’altra domanda di insinuazione tardiva di cui quelle proposte nella specie costituivano mera ed inammissibile duplicazione . Il Tribunale, inoltre, riteneva che l’opponente versasse in colpa grave per aver omesso di verificare la correttezza del provvedimento di esclusione, fondato sulla medesima ragione non solo prima della proposizione del ricorso ex art. 98 l. fall., ma persino in corso di causa, nonostante le fosse stato concesso un termine proprio a tale scopo e pertanto, la condannava al pagamento oltre che delle spese di lite anche di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c Il decreto veniva impugnato dall’agente della riscossione con ricorso per cassazione affidato a tre motivi di seguito indicati. Con il primo motivo la ricorrente contestava il ravvisarsi, nella specie, di un suo comportamento gravemente doloso sul presupposto che essa non aveva alcun potere di controllo e di verifica sul contenuto dei crediti erariali cosicchè non poteva esserle imputata alcuna duplicazione di domanda. Col secondo motivo, sempre la ricorrente, lamentava il rigetto dell’opposizione, deducendo che sarebbe stato onere dell’altra parte provare la duplicazione delle domande, che non era possibile desumere dalla mera somiglianza delle iscrizioni a ruolo. Con il terzo ed ultimo motivo, infine, si doleva della condanna al pagamento delle spese processuali deducendo di aver agito nel rispetto degli obblighi impostile dalla vigente normativa in materia di riscossione ed in assoluta buona fede. Nella specie, secondo gli Ermellini la doglianza mossa dalla ricorrente nel secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si limita a denunciare in via del tutto generica una pretesa violazione dell’onere della prova senza contestare l’accertamento compiuto dal giudice del merito secondo cui gli estratti del ruolo allegati alle tre diverse domande facevano riferimento ai medesimi tributi, individuati con i medesimi codici, in relazione ai medesimi anni e agli stessi importi. Con riguardo al primo ed al terzo motivo invece i Giudici di legittimità hanno ritenuto essere manifestamente infondati, il primo sulla scorta dell’assunto secondo il quale l’addetto alla riscossione non può esonerarsi dall’osservanza del disposto di cui all’art. 96 c.pr.c. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza per il solo fatto di agire come mandatario dell’ente impositore in quanto la condanna prevista dal terzo comma del citato articolo si fonda non già sul rilievo dell’avvenuta duplicazione delle domande, ma sul successivo comportamento processuale dell’agente egli non solo ha ignorato le motivazioni in base alle quali la domanda era stata respinta dal giudice delegato, ma neppure si è curata di operare i dovuti controlli nel corso del giudizio, nonostante avesse chiesto ed ottenuto un rinvio dell’udienza proprio a tale scopo. Concludendo. Ebbene non vi è nessuna norma tra quelle dettate in materia di riscossione dei tributi dalla quale possa desumersi l’obbligo dell’agente di impugnare il provvedimento di esclusione del credito e di insistere per l’accoglimento di una domanda della quale, sulla scorta dei documenti che sono in suo possesso, può agevolmente verificare la manifesta infondatezza. Il mandatario, infatti, non è un mero esecutore materiale degli ordini che provengono dal mandante, ma possiede piena ed autonoma capacità processuale ed è perfettamente in grado di decidere se, a fronte del rischio meramente ipotetico di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell’ente impositore, sia per lui più conveniente iniziare o proseguire un’azione che, per la sua palese pretestuosità, potrebbe comportare l’irrogazione di una sanzione ai sensi dell’art. 96 cit

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 1, ordinanza 23 settembre – 22 dicembre 2015, n. 25852 Presidente Ragonesi – Relatore Cristiano Fatto e diritto E' stata depositata la seguente relazione 1 Il tribunale di Torino, con decreto del 19.5.2014, ha respinto l'opposizione ex art. 98 Lfall. proposta da Equitalia Sud s.p.a per ottenere l'ammissione allo stato passivo dei Fallimento della Ciarli s.r.l. di crediti erariali insinuati con due distinte domande tardive, contrassegnate nell'elenco ai nn. T/28 e T/29. Il tribunale ha rilevato che Equitalia aveva già chiesto ed ottenuto l'ammissione dei crediti dedotti in giudizio, che avevano formato oggetto di un'altra domanda di insinuazione tardiva T/23 , di cui quelle nn. T/28 e T/29 costituivano per la parte di interesse mera ed inammissibile duplicazione ha inoltre ritenuto che l'opponente versasse in colpa grave, per aver omesso di verificare la correttezza del provvedimento di esclusione, fondato sulla medesima ragione, non solo prima della proposizione del ricorso ex art. 98 1. fall., ma persino in corso di causa, nonostante le fosse stato concesso un termine proprio a tale scopo, e l'ha pertanto condannata al pagamento, oltre che delle spese di lite, anche della somma di E 4.000, equitativamente determinata ai sensi dell'art. 96, 3° comma c.p.c. 2 Il decreto è stato impugnato da Equitalia Sud S.p.a con ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui il Fallimento della Ciarli s.r.l. ha resistito con controricorso. 2. 1 Con il primo motivo la ricorrente contesta che potesse ravvisarsi nella specie un suo comportamento gravemente colposo, sanzionabile ai sensi dell'art. 96 3° comma c.p.c. Deduce al riguardo che l'agente per la riscossione dei tributi ha l'obbligo di riscuotere i ruoli che gli sono trasmessi dall'ente impositore e non ha alcun potere di controllo o di verifica del loro contenuto, cosicché non può essergli imputato di aver richiesto con distinte domande l'ammissione dei medesimi crediti, comunque portati da tre diversi estratti del ruolo. 2 2 Coi secondo motivo Equitalia Sud lamenta il rigetto dell'opposizione, osservando che sarebbe stato onere della controparte provare la duplicazione delle domande, non desumibile dalla mera somiglianza delle iscrizioni a ruolo. 2.3 Con l'ultimo motivo di ricorso la ricorrente si duole dì essere stata condannata al pagamento delle spese processuali, deducendo di aver agito nel rispetto degli obblighi impostile dalla vigente normativa in materia di riscossione ed in assoluta buona fede, 3.1 II secondo motivo, che precede gli altri in ordine logico, appare inammissibile, in quanto si limita a denunciare, peraltro in via del tutto generica, una pretesa violazione dell' onere della prova, ma non contesta l'accertamento compiuto dai giudice del merito sul quale si fonda la decisione impugnata secondo cui gli estratti del ruolo allegati alle tre diverse domande facevano riferimento ai medesimi tributi, individuati con i medesimi codici, in relazione ai medesimi anni ed agli stessi importi. 3.2 Il terzo motivo appare manifestamente infondato condannando Equitalia Sud al pagamento delle spese processuali il tribunale ha correttamente applicato l'art. art. 91 1 comma c.p.c., che prevede che le spese siano poste a carico della parte soccombente senza contemplare eccezioni di sorta, in ragione della qualità di tale parte o della sua asserita buona fede. 3.3 Anche il primo motivo appare manifestamente infondato. L'addetto alla riscossione tributi non può infatti ritenersi esonerato dall'osservanza del disposto dell'art. 96 c.p.c. per il solo fatto di agire nella qualità di mandatario dell'ente impositore. Come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, la condanna ex art. 96 3° comma si fonda, nella specie, non già sul rilievo dell'avvenuta duplicazione delle domande, ma sul successivo comportamento processuale di Equitalia, che non solo ha ignorato le motivazioni in base alle quali esse erano state respinte dal giudice delegato, ma neppure si è curata di operare i dovuti controlli nel corso del giudizio, nonostante avesse richiesto e ottenuto un rinvio dell'udienza proprio a tale scopo. Ebbene, non v'è alcuna norma, fra quelle dettate in materia di riscossione dei tributi, dalla quale possa desumersi l'obbligo dell'agente di impugnare il provvedimento di esclusione del credito e di insistere per l'accoglimento di una domanda della quale, sulla scorta dei documenti che sono in suo possesso, può agevolmente verificare la manifesta infondatezza. Il mandatario, infatti, non è un mero esecutore materiale degli ordini che provengono dal mandante, ma ha piena ed autonoma japacità processuale ed è perfettamente in grado di decidere se, a fronte del rischio meramente ipotetico e pressoché insussistente in una fattispecie quale quella in esame di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell'ente impositore, sia per lui più conveniente iniziare o proseguire un'azione che, per la sua palese pretestuosità, potrebbe comportare l'irrogazione di una sanzione ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto dei ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli arti. 375 e 380 bis c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto [a relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contraddette da Equitalia nella memoria depositata. Va in primo luogo rilevata l'inammissibilità delle nuove deduzioni in fatto che la ricorrente ha illustrato per la prima volta nella memoria. Quanto alla questione di diritto, va ribadito che ['agente alla riscossione agisce in giudizio in proprio, sia pure in virtù del sottostante rapporto di mandato intercorrente con l'ente impositore, cosicché spetta ad esso, e non al mandante, la scelta se rinunciare o meno all'azione ne consegue che, al pari di ogni altro soggetto dotato di legittimazione, anche l'agente soggiace alla sanzione processuale derivante dall'aver agito con colpa grave, per avere come nel caso di specie non solo riproposto una domanda avente ad oggetto un credito già in precedenza accertato, ma insistito per ottenerne ['accoglimento persino dopo aver usufiuito, a sua richiesta, di un apposito termine per verificare i documenti di cui è in possesso od assumere le necessarie informazioni presso il mandante, Non può dubitarsi, d'altro canto, dell'estraneità del contribuente al rapporto di mandato fra l'amministrazione finanziaria e l'agente, con la conseguenza che quest'ultimo non può ritenersi esonerato dalla responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. della quale risponde verso la controparte processuale in ragione della responsabilità assunta nei confronti dell'ente impositore al di là del rilievo che, per sottrarsi alla responsabilità derivante dal rapporto di mandato, il mandatario può chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio l'amministrazione mandante, spetta infatti esclusivamente all'agente di decidere se, a fronte dell'ipotetico rischio di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell'ente impositore, sia per lui più conveniente iniziare o proseguire un'azione che, per la sua palese pretestuosità, potrebbe comportare ['irrogazione di una sanzione ai sensi dell'art. 96 cit. Ciò senza contare che, come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, dovrebbe, piuttosto, essere il mandala rivalersi verso l'amministrazione delle spese processuali incontrate per aver dovuto promuovere, per l'errore di questa, un'azione di indebita riscossione. E ricorso deve pertanto essere respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in E 1600, di cui E 100 per esborsi, oltre accessori. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dPR n. 11512002, introdotto dall'art. 1, 17° comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.