Dipendente sottoposto a carcerazione preventiva: niente retribuzione

Lo stato di carcerazione preventiva non rientra tra i casi di impossibilità temporanea alla prestazione, che godono di una tutela legislativa. Da ciò deriva la perdita del diritto alla retribuzione, inerente al periodo della carcerazione, senza possibilità di fare ricorso al principio della priorità della causa sospensiva della prestazione, secondo cui, ai fini del trattamento retributivo, prevale la causa verificatasi prima in caso di concorso tra misura penale e sospensione dal lavoro disposta dal datore. Il suddetto principio, infatti, fa riferimento alle sole cause legali di sospensione della retribuzione.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24047, depositata il 25 novembre 2015. Il caso. La Corte d’Appello di Catanzaro rigettava la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli eredi di un dipendente della Cassa rurale ed artigiana di Corigliano Calabro s.c.a.r.l., in liquidazione coatta amministrativa. In particolare, la Corte territoriale, pur rilevando l’illegittimità della sospensione cautelare dal lavoro del de cuius in quanto protrattasi oltre il limite massimo di cui al contratto collettivo di categoria, evidenziava come il dipendente non avesse comunicato al datore di lavoro la riacquistata disponibilità della propria prestazione . Il de cuius , infatti, sottoposto a misura cautelare carceraria in pendenza di un procedimento penale, non aveva informato il datore di lavoro della scarcerazione. La Corte d’Appello sottolineava come gli eredi del dipendente non potessero addebitare alla banca la mancata erogazione dei compensi non percepiti dal de cuius ed inerenti al periodo tra la sospensione illegittima ed il suo licenziamento. I soccombenti ricorrevano per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 2909 c.c., avendo la Corte territoriale violato il giudicato di accertamento in merito all’illegittimità della sospensione cautelare dal lavoro. I ricorrenti rilevavano, inoltre, la violazione degli artt. 1206, 1217, 1460 c.c., avendo la Corte d’Appello ignorato l’inadempimento della banca, la quale aveva impedito al dipendente di porre in essere la sua prestazione. Il principio della priorità della causa sospensiva della prestazione opera soltanto in relazione alle cause legali di sospensione della retribuzione. La Suprema Corte ha chiarito come il giudicato sull’illegittimità della sospensione dal lavoro, protrattasi oltre il termine massimo, avesse disposto che il giudice della procedura concorsuale, aperta a carico dell’istituto di credito, si prendesse carico di ogni decisione inerente ad eventuali pretese risarcitorie conseguenti all’illegittimità del provvedimento di cui sopra. Gli Ermellini hanno, pertanto, evidenziato l’assenza di un giudicato sul diritto al risarcimento del danno postulato dagli eredi, essendo l’accertamento dello stesso di spettanza del giudice competente. Né appare censurabile, a parere della Corte di legittimità, la statuizione dei giudici di merito per cui il danno lamentato deve ritenersi escluso, vigendo in capo al dipendente l’onere di informare la banca in merito alla ripristinata possibilità di porre in essere la prestazione lavorativa. La tesi sostenuta dalla Corte territoriale è conforme, sottolineano gli Ermellini, all’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte secondo il quale lo stato di carcerazione preventiva o di custodia cautelare del lavoratore subordinato non rientra tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea alla prestazione da ciò consegue che la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima, senza che – ove la detenzione concorra con il provvedimento di sospensione cautelare disposto dal datore di lavoro in pendenza del procedimento penale – possa essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione della retribuzione . Nel caso di specie, la perdita della retribuzione da parte del dipendente deve essere ricondotta alla sua incarcerazione e non alla sospensione irrogatagli dalla banca. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 – 25 novembre 2015, n. 24047 Presidente Ceccherini – Relatore Nappi Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli eredi di Pa.An. nei confronti della Cassa rurale e artigiana di Corigliano calabro s.c.a.r.l., in liquidazione coatta amministrativa, di cui il de cuius era stato dipendente. I giudici d'appello ribadirono in realtà la dichiarazione di illegittimità della sospensione cautelare dal lavoro di Pa.An. oltre il limite massimo di dieci giorni ammesso dal contratto collettivo di categoria, ma ritennero che il de cuius, sottoposto per almeno sessanta giorni a misura cautelare carceraria nell'ambito di un procedimento penale conclusosi poi con la sua morte per l'estinzione del reato contestato, aveva omesso di comunicare al datore di lavoro la riacquistata disponibilità della propria prestazione allorché era stato scarcerato. Sicché, pur essendo preclusa da giudicato ogni controversia sull'illegittimità della sospensione ultradecadale dal lavoro di Pa.An. , i suoi eredi non potevano addebitare alla banca la mancata erogazione dei compensi non percepiti dal de cuius dopo il decimo giorno dalla sospensione comunicata il 23 aprile 1975 e prima del sopravvenuto suo licenziamento in data 13 maggio 1977, anch'esso incontestabile per giudicato. Contro la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di Pa.An. , deducendo due articolati motivi d'impugnazione, cui la Cassa rurale e artigiana di Corigliano calabro s.c.a.r.l., in liquidazione coatta amministrativa, resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa corte, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale” Cass., sez. I, 6 marzo 2015, n. 4619, m. 634674, Cass., sez. un., 25 marzo 2013, n. 7381, m. 625558 . Ne consegue che nel caso in esame, in cui la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata sull'eccezione di inammissibilità dell'appello, è necessario esaminare innanzitutto il ricorso principale. 2. Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono violazione dell'art. 2909 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano violato il giudicato di accertamento dell'illegittimità della sospensione ultradecadale di Pa.An. e abbiano invece assegnato rilevanza, in violazione dell'art. 150 c.p., alla sentenza penale di estinzione del reato contestato al de cuius. Sostengono che deve essere ammesso al passivo della liquidazione coatta amministrativa il. credito di Pa.An. per i compensi che avrebbe riscosso se gli fosse stato consentito di prestare il proprio lavoro decorsi i dieci giorni di legittima sospensione e fino al licenziamento. Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione degli art. 1206, 1217, 1460 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente escluso l'inadempimento della banca, che aveva reso impossibile la prestazione di lavoro da parte di Pa.An. , con la sua illegittima sospensione per oltre dieci giorni. Sostengono che nel caso in esame non è in discussione la mora del creditore Cassa rurale e artigiana di Corigliano calabro s.c.a.r.l., bensì il suo inadempimento manifestatosi nell'illegittimo provvedimento di sospensione a tempo indeterminato di Pa.An. , che ne aveva illecitamente reso impossibile la prestazione lavorativa, come accertato con il giudicato violato dai giudici del merito. Sicché era stato l'illegittimo provvedimento di sospensione impedire la prestazione del lavoro da parte di Pa.An. , non la sua mancata offerta di prestarlo. 3. Il ricorso principale è infondato. Come risulta dallo stesso ricorso, il giudicato sull'illegittimità della sospensione cautelare di Pa.An. dichiarò scaduto dopo dieci giorni il provvedimento del 23 aprile 1975, demandando al giudice della procedura concorsuale già aperta a carico della banca ogni decisione sulle pretese di natura risarcitoria connesse alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento di sospensione”. Non v'è dunque alcun giudicato sul diritto al risarcimento dei danni postulato dagli eredi di Pa.An. , il cui accertamento era demandato senza alcun limite al giudice competente. E la Corte d'appello di Catanzaro, pronunciatasi in tale veste, non si è affatto fondata sulla sentenza penale di proscioglimento dell'imputato deceduto, ma ha escluso l'esistenza del danno lamentato dagli attori ritenendo che spettasse ad Pa.An. , dopo avere riacquistato la libertà, l'onere di comunicare alla banca la ripristinata possibilità della sua prestazione. Questa ratio decidendi della sentenza impugnata è in realtà incensurabile, perché conforme alla giurisprudenza di questa corte per cui lo stato di carcerazione preventiva o di custodia cautelare del lavoratore subordinato non rientra tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall'art. 2110 c.c., e comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima, senza che - ove la detenzione concorra con il provvedimento di sospensione cautelare disposto dal datore di lavoro in pendenza del procedimento penale - possa essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retri-butivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione” Cass., sez. L, 25 giugno 2013, n. 15941, m. 626939, Cass., sez. L, 9 settembre 2011, n. 18528, m. 619100 . Ne consegue che nel caso in esame la perdita della retribuzione lamentata dagli eredi di Pa.An. dipese dalla sua incarcerazione, non dal provvedimento di sospensione adottato dalla banca. E incombeva dunque al lavoratore inadempiente per fatto a lui imputabile comunicare alla banca la ripristinata disponibilità della sua prestazione. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso principale e il conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna i ricorrenti principali al rimborso delle spese in favore della resistente e ricorrente incidentale, liquidandole in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 7.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.