CEDU, sentenza Grande Stevens, e il diritto a non essere giudicati due volte

Il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina sì l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, ma tale effetto preclusivo opera solo nei confronti del medesimo ufficio del pubblico ministero che chiese ed ottenne detto provvedimento.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 17585 depositata il 4 settembre 2015, nell’affrontare una articolata fattispecie in materia di disciplinare magistrati, toccano anche un tema di grande attualità, vale a dire quello del rapporto tra giudicato penale e procedimento disciplinare, da interpretarsi alla luce della nota sentenza della Corte EDU Grande Stevens” e al diritto a non essere giudicati due volte. Il fatto. Un sostituto procuratore della repubblica, a dire della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, veniva condannato sia per aver violato i doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, ponendo in essere comportamenti lesivi della sua immagine di magistrato consistenti nel realizzare condotte arroganti e minacciose, nonché offensive dell'onore e del decoro del direttore amministrativo e del personale amministrativo della Procura della Repubblica sia per aver condotto con modalità non corrette indagini preliminari nei confronti di una collega, anch’essa sostituito procuratore presso lo stesso Tribunale, e di un Maresciallo dei Carabinieri, con la finalità di accertare i supposti rapporti sentimentali tra i due indagati. In definitiva, all’incolpato veniva applicata la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di due anni e il trasferimento d’ufficio presso altro Tribunale con funzioni di giudice. Contro tale decisione il ricorso per cassazione. La sanzione viene confermata dalle SSUU. La sanzione disciplinare viene confermata dalle Sezioni Unite, attraverso una motivazione ampia ed articolata. In questa sede preme porre in evidenza un profilo in particolare della decisione che, pur non risultando decisivo in relazione alla specifica fattispecie concreta, prende in considerazione un tema sempre più attuale il diritto a non essere giudicato due volte. Uno dei motivi di ricorso l’invocata applicazione dei principi espressi dalla sentenza della Corte EDU Grande Stevens” del 4 marzo 2014. Il ricorrente ha invocato l’annullamento della sentenza senza rinvio, in quanto espressione di doppio binario” sanzionatorio in violazione del divieto di secondo giudizio previsto dall'art. 649 c.p.p. nella sua interpretazione conforme all'art. 4, Protocollo n, 7 della CEDU nel contenuto attribuito a quest' ultimo dalla sentenza Grande Stevens Corte EDU, sezione seconda, 4 marzo 2014 . E ciò sulla base dell'essenziale rilievo della natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare irrogatagli e della identità della condotta oggetto dell'ordinanza di archiviazione del GIP e della successiva procedura disciplinare. Infatti, nei confronti dell’incolpato era stato avviato anche un procedimento penale. In subordine, il ricorrente ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all' art. 4 del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, dell'art. 20 del d.lgs. n. 109 del 2006 e dell' art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, nei sensi anzidetti, il divieto di bis in idem. Le Sezioni Unite, pur rigettando la censura, ricordano che l’art. 4 rubricato Diritto di non essere giudicato o punito due volte del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU prevede, al paragrafo 1, che Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato . La valenza preclusiva limitata dell’ordinanza di archiviazione. In questo quadro, secondo gli Ermellini, è decisivo osservare, con riguardo al caso specifico, che l’ordinanza di archiviazione non produce gli effetti del giudicato, ma consente al pubblico ministero di richiedere la riapertura delle indagini art. 414 cod. proc. pen. sulla scorta anche di diversa valutazione circa la necessità delle stesse investigazioni, ritenute in precedenza non indispensabili, trattandosi di provvedimento sfornito di uno specifico valore decisorio diverso da quello rebus sic stantibus . Peraltro, il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina sì l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, ma tale effetto preclusivo opera solo nei confronti del medesimo ufficio del pubblico ministero che chiese ed ottenne il detto provvedimento. Ne consegue l'irrilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 febbraio – 4 settembre 2015, n. 17585 Presidente Rovelli – Relatore Virgilio Ritenuto in fatto 1.1. Con sentenza n. 111 del 23 maggio 2014, depositata il 9 luglio 2014, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto al Dott. M.L. , all'epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Larino ed attualmente giudice presso il Tribunale di Foggia a seguito di trasferimento provvisorio disposto con ordinanza del 13 gennaio 2012 confermata da ordinanza del 21 marzo 2014 di rigetto dell'istanza di revoca della misura cautelare , la sanzione della perdita di anzianità di anni due con trasferimento d'ufficio al Tribunale di Foggia con funzioni di giudice. Il Dott. M. è stato ritenuto responsabile A dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera d , del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, per aver violato i doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, ponendo in essere comportamenti lesivi della sua immagine di magistrato, consistenti nel realizzare condotte arroganti e minacciose, nonché offensive dell'onore e del decoro del direttore amministrativo e del personale amministrativo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Larino, tali da determinare una grave situazione di tensione all'interno dell'ufficio medesimo. In particolare, sono state ritenute integranti l'illecito disciplinare anzidetto tutte le condotte contestate nel capo 1 dell'atto di incolpazione tranne una , e cioè - espelleva dalla sua stanza, con atteggiamento irato e minaccioso, la Dott.ssa So.Ni. , direttore amministrativo, dopo averle rivolto con modi bruschi lamentele relative al funzionamento di stampanti, pretendendo che ella risolvesse ogni problema del suo ufficio funzionamento del condizionatore, porta del bagno, etc. ” - pretendeva, sempre con atteggiamenti arroganti, che il personale tra gli altri, la Dott.ssa G.R. e la sig.ra D.N.G. lavorasse fuori dell'orario di ufficio” - assumeva atteggiamenti minacciosi nei confronti del funzionario Dott. Luigi Pasquale, cui affidava il registro delle intercettazioni, assumendo che l’affidatario del registro medesimo, Dott.ssa P. , non era affidabile, per essere amica della Dott.ssa A. , allora sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Larino oggi, con te stesse funzioni a Cassino , destinataria di intercettazioni da lui richiesto” - insultava ed espelleva dalla sua stanza l'assistente giudiziario S.A. , pretendendo ed ottenendo che lo stesso interrompesse la pausa-pranzo” - asseriva, parlando con la Dott.ssa So. , del Dott. L.R.A. , sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Campobasso, applicato alla Procura di Larino con funzioni di dirigente dell'ufficio, che a quello lì non dovevano essere consegnate le chiavi della stanza perché non aveva, a suo dire, alcun potere di controllare i fascicoli” - affermava, in presenza di più persone appartenenti agli uffici amministrativi, che la Dott.ssa A. — nel cui ruolo egli era subentrato e nei confronti della quale aveva dimostrato un proprio interesse, non ricambiato - era una puttana e che la stessa non aveva istruito bene i procedimenti a lei affidati, in tal modo ponendo in essere una condotta diffamatoria in pregiudizio della medesima” - rivolgeva minacce alla predetta dott.ssa A. , tramite il Dott. V. , dicendo che ella doveva stare molto attenta perché egli sapeva essere pericolosissimo” . B dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera a , del detto d.lgs. n. 109 del 2006, in riferimento ai fatti indicati nei numeri 2 , 3 e 4 del capo 2 dell'atto di incolpazione, con esclusione di quelli di cui ai numeri 1 e 5 . I fatti di cui il Dott. M. è stato ritenuto responsabile attengono alle modalità delle indagini preliminari espletate nei confronti del Maggiore dei Carabinieri Mu.Fa. e della Dott.ssa A.A. quest'ultima, come detto, all'epoca dei fatti oggetto di indagine anch'essa sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Larino . In particolare, sono stati ritenuti integranti l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera a , d.lgs. n. 109/06 i seguenti addebiti - provvedeva ad iscrivere a mod. 44 e indi a mod. 21 altro procedimento a carico del M. , fondandosi su un esposto anonimo indirizzato al colonnello dei carabinieri C.M. - sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere , su richiesta dell'alloro Procuratore della Repubblica Dott. Ma.Ni. , nonché dei Dott.ri V. ed A. , alla stregua di indagini svolte quasi esclusivamente dal M. - e procedendo, in meno di due mesi, a disporre tre perquisizioni locali e personali e nove sequestri a catena nei confronti del Mu. , sempre degli stessi beni che venivano sistematicamente dissequestrati dal g.i.p. ovvero dal Tribunale del riesame e che venivano nuovamente sottoposti a sequestro dal Dott. M. il quale, inoltre, dopo le prime perquisizioni disposte, ordinava due consulenze tecniche sui beni sequestrati ex art. 360 c.p.p., non provvedendo in ordine alla formulazione, da parte del Mu. , di. riserva di promuovere incidente probatorio ex art. 360, comma 4, c.p.p. ” punto 2 - in data 7 giugno 2011, nell'ambito del procedimento penale n. 343/11 mod. 21 R.G.N.R., disponeva la perquisizione, in orario notturno, dell'appartamento sito in OMISSIS , di proprietà del Mu. e condotto in locazione - giusta contratto stipulato in data 16 maggio 2011 - dalla Dott.ssa A. il cui nome era riportato sul citofono, sulla cassetta postale e sul campanello di ingresso , provvedimento che veniva emesso sul presupposto che una delega di indagini conferita dalla Dott.ssa A. era contrario alla legge e che l'esecuzione della delega aveva integrato la condotta dei reati di cui agli artt. 323 e 368 c.p., contestati al Mu. , ordinando alla p.g. di procedere alla perquisizione, finalizzata al sequestro di files e materiale cartaceo o informatico nella disponibilità del Mu. medesimo, pur dopo aver appreso che l'appartamento, pur intestato al Mu. , era in uso esclusivo alla Dott.ssa A. , di guisa che la perquisizione veniva eseguita senza la preventiva iscrizione nel registro degli indagati della Dott.ssa A. la quale, peraltro, avendo prestato servizio presso la Procura di Larino e riferendosi i fatti de quibus al momento in cui ella esercitava ivi le sue funzioni di sostituto procuratore della Repubblica, non era indagabile dalla stessa procura di Larino ex art. 11 c.p.p. , e senza che alla stessa venisse debitamente notificato il decreto di perquisizione e le fosse consentito di far intervenire un difensore con la specificazione che, nel corso della perquisizione, non veniva controllato un computer fisso posto su una scrivania, mentre venivano aperti cassetti contenenti vestiti e biancheria e, all'esito, veniva sottoposto a sequestro probatorio l'immobile in quanto ritenuto cosa pertinente al delitto di cui all'art. 640 c.p., pur con la concessione alla Dott.ssa A. della facoltà di farne uso che il Dott. M. convalidava la perquisizione anche se essa aveva avuto ad oggetto cose diverse da quelle oggetto del decreto, ad iniziativa della polizia giudiziaria, di tal che la relativa competenza doveva ritenersi dell'A.G. del luogo ove le operazioni erano state compiute art. 352 c.p.p. ” punto 3 - delegava, nell'ambito dei procedimenti penali n. 343/11 mod. 21 e 1121/11 mod. 21, indagini volte ad accertare tutte le utenze telefoniche della Dott.ssa A. , ad accertare le sue residenze e dimore, i mezzi di locomozione a lei intestati, il suo stato di famiglia, ad acquisire i tabulati telefonici relativi alle utenze a lei intestate, nonché quelle delle email inviate e ricevute dalle caselle di posta elettronica personale e istituzionale alla predetta intestate, disponendo altresì l'osservazione ed il controllo del luogo ove ella parcheggiava la propria autovettura nel mese di maggio 2011, nonché l'individuazione fotografica della stessa da parte di persone escusse nel suddetto procedimento penale n. 1121/11, in tal modo equiparando la posizione del Mu. , iscritto nel registro degli indagati, a quello della Dott.ssa A. che non veniva nello stesso iscritta e non poteva essere oggetto di indagini dal P.M. di Larino per le ragioni di cui sopra in tal modo il Dott. M. , pur formalmente contestando al Mu. di avere eseguito una delega contraria alla legge - secondo l'originaria contestazione che, dopo le rimostranze dell'interessata, veniva significativamente modificata in eseguita in maniera contraria alla legge - svolgeva indagini, senza le forme ed in conseguente assenza delle garanzia di legge, nei confronti della medesima Dott.ssa A. ” punto 4 . 1.2. La Sezione disciplinare ha ritenuto in sintesi quanto segue. A Va respinta la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'udienza di discussione, in quanto la certificazione medica prodotta non attesta l'assoluta impossibilità fisica dell'incolpato a comparire, né l'assoluta impossibilità di deambulare ed indica patologie che non comportano l'impossibilità di presenziare al processo. B Gli episodi contestati nel capo 1 dell'atto di incolpazione, concernenti i rapporti del Dott. M. con il personale di cancelleria ed altri magistrati dell'ufficio, hanno trovato conferma nelle testimonianze assunte in istruttoria e nel corso del dibattimento ed integrano tranne uno l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera d , del d.lgs. n. 109/06 l'incolpato ha tenuto ripetutamente atteggiamenti gravemente sconvenienti nei confronti del personale di cancelleria, i quali denotano una modalità di rapporto con i collaboratori gravemente scorretta, tale da assumere una valenza di prevaricazione e la idoneità ad incidere sulla reputazione professionale del lavoratore, quale persona, sottoposto, ad umiliazioni dinanzi agli altri dipendenti la scorrettezza è riscontrabile anche nelle espressioni usate nei confronti di altri magistrati tutti gli episodi sono indicativi della grave inadeguatezza caratteriale dell'incolpato a gestire gli ordinali rapporti di lavoro e d'ufficio, in violazione dei principi e dei doveri di correttezza, equilibrio e rispetto della persona che il magistrato è tenuto ad osservare anche in presenza di eventuali tensioni nell'attività d'ufficio. La ricostruzione dei fatti operata dal Dott. M. , secondo cui i testimoni avevano motivi personali per non raccontare la verità legati a risentimento nei suoi confronti, conseguente alla sua intenzione di non consentire più atteggiamenti lassisti sul lavoro , non è convincente poiché le disfunzioni e le scorrettezze da lui segnalate peraltro mai riscontrate dai precedenti dirigenti dell'ufficio sono state smentite da tutti i testimoni alcuni non coinvolti nella vicenda e non risultano da alcun atto formale. Va invece escluso l'illecito disciplinare di cui all'art. 4, comma 1, lett. d , d.lgs. n. 109/06, non integrando i reati di diffamazione e minaccia nei confronti della Dott.ssa A. gli episodi ad essa riferiti. C In ordine al capo 2 dell'atto di incolpazione, gli atti acquisiti e l'ordinanza di archiviazione del GIP di Lecce consentono, in parte, una rilettura della vicenda, ma non portano ad escludere la fondatezza dell'azione disciplinare in ordine ai fatti indicati nei numeri 2 , 3 e 4 del capo di incolpazione. La prova di tali fatti è documentale poiché emerge dagli atti di indagine disposti dal Dott. M. ed eseguiti dalla polizia giudiziaria e dai provvedimenti emessi dallo stesso Dott. M. , dal GIP del Tribunale di Larino e dal Tribunale del riesame. La direzione della perquisizione dell’appartamento del Mu. condotto in locazione dalla Dott.ssa A. emerge dalle dichiarazioni rese in dibattiménto dalla dottoressa Sa.Ma. , Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, che ha eseguito la perquisizione e che ha confermato che l'incolpato coordinava telefonicamente lo svolgimento della perquisizione. La ricostruzione dei fatti consente, in definitiva, di ritenere che il Dott. M. abbia condotto l'intera indagine con l'obiettivo specifico di accertare i rapporti personali tra il Maggiore Mu. e la dott.ssa A. , sul presupposto che l'accertamento di questi rapporti avrebbe dimostrato l'illiceità dei comportamenti tenuti da entrambi nel periodo in cui la A. era sostituto. procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Larino e il Mu. vi prestava servizio come ufficiale di polizia giudiziaria una tale indagine, pur possibile e lecita, doveva essere preceduta dalla iscrizione di entrambi i destinatari della stessa nel registro degli indagati e, considerate le anzidette funzioni della Dott.ssa A. , gli atti dovevano essere trasmessi alla Procura della Repubblica di Bari, competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p Sotto altro profilo, la serie di perquisizioni e sequestri nei confronti del Mu. , nonostante i provvedimenti del Tribunale del riesame e in parte del GIP, dimostra un accanimento investigativo che contrasta con i doveri di imparzialità, correttezza ed equilibrio di cui deve dare prova un magistrato anche nella direzione delle indagini. In conclusione, il comportamento complessivo del Dott. M. integra l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera a , del d.lgs. n. 109 poiché ha arrecato danno alla Dott.ssa A. ed al Maggiore Mu. che sono stati oggetto degli atti di indagine e che hanno subito perquisizioni e sequestri sulla base di una convinzione del magistrato inquirente che non ha trovato conferma nelle successive indagini e che, nell'immediatezza, non era stata condivisa dal GIP e dal Tribunale del riesame. D La ripetizione e la gravità dei comportamenti contestati al Dott. M. in relazione ad entrambi gli illeciti disciplinari delineano una tendenza a costruire rapporti conflittuali con i collaboratori e gli altri magistrati e a non accettare provvedimenti giurisdizionali in contrasto con le proprie tesi che incide in maniera significativa sull'immagine complessiva del'magistrato nel contesto lavorativo in cui ha prestato la sua attività e ciò esclude l'applicabilità, nel caso in esame, dell'art. 3 bis del d.lgs. n. 109/06. E Quanto alla determinazione della sanzione, la reiterazione dei comportamenti scorretti nei confronti del personale amministrativo e di altri magistrati e l'evidente incapacità dimostrata di gestire in maniera equilibrata una indagine delicata che coinvolgeva un altro magistrato ed un ufficiale dei carabinieri inducono a ritenere particolarmente gravi gli illeciti disciplinari contestati e congrua la sanzione della perdita di anzianità di anni due. F Infine, l'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare di cui al citato art. 2, comma 1, lettera a , comporta la sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio. Peraltro, la grave situazione che si è determinata a seguito dei fatti contestati in un ufficio di piccole dimensioni, come quello di Larino, non consente la prosecuzione del servizio in quella sede, dovendosi evitare, che il disagio dell'ufficio derivante da condotte disciplinarmente rilevanti e dal sospetto di una possibile strumentalizzazione dell'attività a fini privati si traduca in un danno immediato per l'andamento della giustizia” inoltre, le condotte contestate sono intrinsecamente connesse con i profili più peculiari dell'attività del pubblico ministero e determinano il necessario allontanamento del doti. M. dalle funzioni requirenti. Deve, quindi, confermarsi la destinazione dell'incolpato, già disposta in sede cautelare, alla meno esposta attività giudicante e in una sede non raggiunta in modo diretto dalle tensioni che hanno accompagnato l'attività del predetto sostituto presso la procura di Larino, per consentire allo stesso Dott. M. di esercitare le funzioni con la necessaria serenità e nelle condizioni indispensabili di prestigio e distacco connaturate al normale esercizio della giurisdizione” . 2. Il Dott. M.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a trentaquattro motivi e ha depositato memoria. 3. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva. 4. Va aggiunto che, con sentenza n. 23070 del 2014, depositata il 30 ottobre 2014, queste sezioni unite hanno rigettato il ricorso del Dott. M. avverso la sopra indicata ordinanza della Sezione disciplinare del 21 marzo 2014, con la quale era stata respinta l'istanza di revoca della misura cautelare del trasferimento d'ufficio, disposta con l'ordinanza del 13 gennaio 2012. Considerato in diritto 1. Va premesso che non ha rilievo nel presente giudizio la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2015 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, I serie speciale, n. 29 del 22 luglio 2015 , con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 109 del 2006 limitatamente alle parole da quando ricorre ” a nonché ” è stata così espunta dall'ordinamento a seguito dell'ordinanza di rimessione di queste sezioni unite n. 11228 del 21 maggio 2014 la previsione dell'obbligatoria applicazione della sanzione accessoria del trasferimento di sede o di ufficio nel caso di accertamento di una delle violazioni di cui all'art. 2, comma 1, lett. a , del medesimo d.lgs. n. 109/06, con conseguente riespansione, anche rispetto a tale fattispecie punitiva, della regola generale stabilita dal primo periodo del citato art. 13, comma 1, il quale prevede che La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia” . L'ininfluènza di detta pronuncia di incostituzionalità ai fini della decisione deriva dalla circostanza che, nella fattispecie, l'applicazione della misura accessoria non è stata affatto frutto di mero automatismo, ma è stata disposta a seguito del motivato accertamento - nei termini sopra testualmente riportati al par. 1.2., lett. F, e la cui legittimità è oggetto dei motivi di ricorso n. 30 e n. 31 - della incompatibilità della permanenza del magistrato nella sede e nell'ufficio con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia. 2. Con il motivo n. 1, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per incompatibilità funzionale del giudice, essendo stata pronunciata dallo stesso Collegio che aveva deciso sulla richiesta di revoca della misura cautelare del trasferimento d'ufficio. Il motivo è infondato. Queste sezioni unite hanno recentemente ribadito, con la sentenza n. 25136 del 2014, che a l'adozione di un provvedimento cautelare nel corso delle indagini non determina incompatibilità a partecipare al successivo giudizio per i componenti della Sezione disciplinare, in quanto l'articolazione in organi distinti è del tutto estranea al procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, nel quale tutti i provvedimenti sono attribuiti alla competenza di quello stesso giudice che deve pronunciare la decisione conclusiva Cass., sez. un., n. 20159 del 2010 b inoltre, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati i richiami al codice di procedura penale contenuti negli artt. 16, comma 2, e 18, comma 4, del d.lgs. n. 109 del 2006 devono essere interpretati restrittivamente e sempre che sussista compatibilità con le particolari caratteristiche del giudizio disciplinare, dovendo per il resto ritenersi applicabile la disciplina dettata dal codice di procedura civile c ne consegue che il problema della incompatibilità del giudice disciplinare che si sia già pronunciato in relazione a misura cautelare adottata in relazione alla medesima incolpazione va risolto in base al disposto non dell'art. 34 cod. proc. pen., bensì dell'art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il quale prevede l'obbligo di astensione, tra l'altro, per il giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo d tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui gli stessi componenti del Collegio delle Sezioni unite investito della decisione sul ricorso avverso un provvedimento disciplinare posto a carico di un magistrato abbiano già deciso sull'impugnazione del provvedimento di sospensione cautelare emesso nei confronti del medesimo incolpato, atteso che la decisione sul provvedimento cautelare appartiene ad una serie processuale autonoma sia per presupposti, sia per ambito di cognizione, sia per effetti impugnatori e che essa, di conseguenza, non è in alcun modo riferibile ad un altro grado dello stesso processo Cass., sez. un., n. 1783 del 2011 . 3. Con i motivi nn. 2, 2 bis e 3, il ricorrente censura, sotto vari profili - violazione, essenzialmente, degli artt. 18 e 19 del d.lgs. n. 109 del 2006 e degli artt. 420 ter e 523 cod. proc. pen., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. vizio di motivazione, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. -, l'omesso riconoscimento del suo legittimo impedimento a comparire all'udienza di discussione e il conseguente omesso rinvio dell'udienza stessa. I motivi sono infondati. La Sezione disciplinare ha rigettato l'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento rilevando che dalla certificazione medica risultava che il Dott. M. era affetto da astenia, stato vertiginoso, tumefazioni linfaghiandolari latero-cervicali e che il medico aveva prescritto riposo assoluto per dieci giorni” e traendone il convincimento che ciò non attestasse l'assoluta impossibilità fisica dell'incolpato di deambulare e di presenziare al processo. La decisione si sottrae a censura. Da un lato, infatti, nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di magistrati, l'impedimento dell'incolpato che giustifica il rinvio dell'udienza innanzi alla Sezione disciplinare deve essere assoluto, atteso che, mancando nell'art. 15, comma 8, lett. d , del d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, la definizione positiva dei caratteri dell'impedimento, la previsione dell'audizione dell'incolpato non attribuisce a quest'ultimo il diritto di presenziare al processo disciplinare nella sua interezza, ma soltanto quello di essere sentito personalmente per poter esporre direttamente le sue ragioni prima della decisione, configurandosi come una garanzia di minore contenuto rispetto a quella riconosciuta all'imputato nel processo penale e la quale, quindi, esige che l'impedimento sia assoluto Cass., sez. un., n. 23071 del 2014 dall'altro, la Sezione disciplinare ha il potere di valutare discrezionalmente le certificazioni mediche prodotte, salvo ovviamente il controllo della motivazione e nel caso di specie non è manifestamente illogico aver ritenuto che il prescritto riposo assoluto, tanto più alla luce delle patologie indicate, non implicasse l'impossibilità assoluta di movimento e, quindi, di presentarsi all'udienza cfr. Cass., sez. un., n. 23071/14, cit., in motivazione . Il rigetto delle indicate censure assorbe l'esame del motivo n. 8, con il quale il ricorrente lamenta che il mancato rinvio dell'udienza ha comportato l'omissione della sua audizione. 4.1. Si può passare ora all'esame dei motivi attinenti al merito delle incolpazioni, iniziando, secondo l'ordine del ricorso, da quelli relativi al capo 2 dell'atto d'incolpazione con la precisazione che i motivi nn. 9 e 9 bis investono anche il capo 1 , concernente le modalità di svolgimento di alcune indagini v., sopra, in narrativa, par. 1.1., lettera B . 4.2. Con il motivo n. 4 sono denunciati, in relazione all'art. 606, comma 1, lettere b , c ed e cod. proc. pen., la violazione degli artt. 20, comma 3, e 23 del d.lgs. n. 109/06 e dell'art. 653 cod. proc. peri., nonché il vizio di motivazione il ricorrente lamenta che la Sezione disciplinare, nel paragrafo 8 della sentenza, non abbia preso in adeguata considerazione o abbia ignorato alcuni provvedimenti giudiziari - emessi dalle Procure della Repubblica di Bari, Larino e Lecce e, soprattutto, dal G.I.P. di Lecce - che avrebbero dovuto condurre a ritenere insussistenti i fatti contestati nel capo 2, nn. 2 , 3 e 4 , dell'atto di incolpazione. In particolare, la Sezione, nonostante avesse in precedenza disposto, vista la richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica di Lecce, un rinvio della decisione in attesa del provvedimento del G.I.P., non avrebbe poi minimamente considerato l'ordinanza di archiviazione depositata da quest'ultimo il 3 febbraio 2014, la quale aveva definito il procedimento penale in relazione agli stessi fatti storici oggetto di incolpazione. Col motivo n. 5, il ricorrente si duole nuovamente, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., del fatto che il Giudice disciplinare abbia sostanzialmente recepito soltanto la relazione svolta nel 2011 dalla Procura Generale di Campobasso, senza tener conto dei citati provvedimenti giudiziari sopravvenuti che avrebbero dovuto fare stato quanto ai profili fattuali delle vicende esaminate nel procedimento disciplinare. I due motivi, da esaminare congiuntamente, a prescindere da profili di inammissibilità sono comunque infondati. Premesso che al rinvio disposto dalla Sezione disciplinare in attesa della decisione del G.I.P. sulla richiesta di archiviazione non può essere attribuito alcun valore sull'esito della valutazione del provvedimento cfr. Cass. n. 23070 del 2014, sopra citata, che ha respinto il ricorso del Dott. M. avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare del trasferimento d'ufficio , deve rilevarsi che a la Sezione disciplinare ha espressamente esaminato sia il decreto della Procura della Repubblica di Bari richiamato dal ricorrente, sia l'ordinanza di archiviazione del G.I.P. di Lecce, da un lato traendone la decisione dell'esclusione, rispettivamente, degli addebiti di cui al n. 5 e al n. 1 del capo 2 dell'atto di incolpazione, e, dall'altro, ritenendo che essi, ed in particolare l'ordinanza di archiviazione, non portassero ad escludere, per il resto, la fondatezza dell'azione disciplinare b la segnalazione del 28 giugno 2011 del Procuratore Generale di Campobasso non è citata nella parte motiva della sentenza, ma solo nell'esposizione dello svolgimento del processo e con riferimento all'adozione, in data 13 gennaio 2012, della misura cautelare c in ordine all'efficacia nel procedimento disciplinare dell'ordinanza di archiviazione emessa a seguito di udienza camerale ai sensi degli artt. 409 e 410 cod. proc. pen., l'art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 109 del 2006 dispone che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso cfr. Cass., sez. un., n. 16277 del 2010, che ha escluso che una tale autorità possegga un decreto di archiviazione inoltre, e comunque, il limite riguarda solo l'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, così come compiuto dal giudice penale, non essendo certamente precluso che in sede disciplinare avvenga una nuova valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, nell'ottica, indubbiamente più rigorosa, dell'illecito disciplinare, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità cfr. Cass., sez. un., nn. 2732 del 2009 e 23778 del 2010 e nella fattispecie il G.I.P. di Lecce non ha escluso affatto l'esistenza materiale dei fatti storici addebitati all'incolpato, avendo esclusivamente espresso il convincimento attraverso quindi un'attività valutativa della assenza di astio personale e del perseguimento di finalità estranee all'esercizio del potere d'indagine da parte del Dott. M. nell'attività di investigazione in esame pur eseguita con metodo definito insistente e probabilmente invasivo . 4.3. Con il motivo n. 6, è denunciata, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 17, comma 4, d.lgs. n. 109/06 e 495, comma 2, cod. proc. pen., per la mancata assunzione di prove decisive, avendo il Giudice ammesso l'audizione soltanto di quattro dei numerosi testimoni a discarico indicati dal ricorrente. Il motivo è infondato. In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato, il diritto all'ammissione delle prove a discarico sui fatti addebitati, riconosciuto all'incolpato, va contemperato con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione, la cui negativa valutazione, ove adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità Cass., sez. un., n. 3669 del 2011 . Nella fattispecie, è sufficiente osservare che, come riferisce lo stesso ricorrente, la Sezione disciplinare, con ordinanza del 13 gennaio 2014, ha negato l'ammissione di alcune prove testimoniali in quanto ritenute non rilevanti ai fini della decisione e tale valutazione non è oggetto di censura sotto il profilo del vizio di motivazione. 4.4. Con la censura n. 9, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 64, 197, 210, 498 e 514 del codice medesimo, nonché degli artt. 16, comma 2, e 18, comma 4, del d.lgs. n. 109/06 lamenta che, sia riguardo al capo 1 che al capo 2 dell'atto di incolpazione, siano state assunte dichiarazioni, dapprima nella fase delle indagini disciplinari e poi nella fase dibattimentale, di soggetti incolpati in procedimenti disciplinari connessi o collegati o indagati in procedimenti penali connessi o collegati, senza il rispetto delle regole e delle garanzie, con le conseguenti sanzioni di inutilizzabilità, dettate dalle norme di rito penale sopra indicate. Aggiunge, con il motivo n. 9 bis, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., che la sentenza è viziata anche sotto il profilo della motivazione, non avendo il giudice tenuto conto delle regole di valutazione di dette prove dettate dagli artt. 197 bis e 192 c.p.p I motivi sono infondati. La Sezione disciplinare, come riferisce lo stesso ricorrente, all'udienza del 17 aprile 2014 ha ritenuto che le norme relative alla connessione tra procedimenti penali non si applicano al giudizio disciplinare in quanto non compatibili. Tale statuizione deve ritenersi corretta. Va, infatti, ribadito che, in tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, i richiami alle norme del codice di procedura penale contenuti negli articoli 16, comma 2 per l'attività di indagine , e 18, comma 4 per il dibattimento , del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, vanno interpretati restrittivamente e solo - come espressamente previsto in dette disposizioni - nei limiti della compatibilità, dovendo per il resto ritenersi applicabile la disciplina dettata dal codice di procedura civile Cass., sez. un., nn. 15969 del 2009,1771 del 2013, 25136 del 2014 . Orbene, le norme del codice di procedura penale che disciplinano le regole di assunzione e di valutazione delle dichiarazioni rese da persone imputate in procedimenti connessi o di reati collegati devono ritenersi riferibili ai soli rapporti tra procedimenti penali, per i quali, in quanto deputati appunto all'accertamento delle responsabilità penali, si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione delle prove in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale , e, pertanto, non sono applicabili con riguardo a rapporti tra procedimenti disciplinari o tra questi ultimi e procedimenti penali. 4.5. Con i motivi nn. 10, 10 bis, 11, 12, 13, 14, 15 e 16, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine agli addebiti nn. 2 , 3 e 4 del capo 2 dell'atto di incolpazione. In particolare, lamenta che a l'affermazione della Sezione disciplinare secondo cui egli avrebbe condotto l'intera indagine con l'obiettivo specifico di accertare i rapporti personali tra il Maggiore Mu. e la Dott.ssa A. e tale indagine avrebbe dovuto essere preceduta dall'iscrizione di entrambi nel registro degli indagati, con trasmissione degli atti concernenti la A. alla Procura della Repubblica di Bari ai sensi dell'art. 11 c.p.p., è viziata perché non solo disconosce l'autorità dei provvedimenti giudiziari già sopra indicati delle Procure della Repubblica di Bari, Larino e Lecce e del G.I.P. di Lecce , ma ne ignora i contenuti in punto di fatto, giungendo a conclusioni del tutto opposte che non tengono conto di decisive risultanze favorevoli all'incolpato motivo n. 10 b il suo presunto interesse per la collega A. , sotteso all'anzidetta motivazione, è smentito dalle risultanze probatorie motivo n. 10 bis c l'affermato accanimento investigativo da parte dell'incolpato nei confronti del Mu. è a sua volta smentito dalle conclusioni raggiunte in sede penale, con i menzionati provvedimenti della Procura della Repubblica e del G.LP. di Lecce nonché dal fatto che il Mu. risulta imputato presso il Tribunale di Sulmona per numerosi reati collegati ai beni immobili oggetto di sequestro da parte dell'incolpato motivo n. 11 d l'affermazione secondo cui il procedimento penale sarebbe stato trattato dall'incolpato e trasmesso alla Procura della Repubblica di Bari solo a seguito dell'intervento del Dott. D. applicato alla Procura di Larino dal Procuratore Generale di Campobasso non considera il fatto che non vi erano sufficienti elementi per iscrivere la Dott.ssa A. nel registro degli indagati per concorso in abuso d'ufficio con il Mu. , né della circostanza che l'incolpato ha sempre operato correttamente e deciso di trasmettere gli atti di comune accordo col Dott. D. motivo n. 12 e ancora quanto alla mancata trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Bari, la sentenza non tiene conto del fatto che tale Procura ha poi condiviso la scelta di non iscrivere la A. nel registro degli indagati per concorso in abuso d'ufficio con il Mu. , ritrasmettendo gli alla Procura di Larino motivo n. 13 f in ordine alla perquisizione dell'appartamento sopra indicato, il Giudice disciplinare oblitera che la Dott.ssa A. , che lo conduceva in locazione, aveva prestato consenso alla perquisizione e che l'immobile era nella disponibilità anche del Mu. , il quale continuava a tenervi oggetti di sua proprietà la sentenza approda all'illogico assunto per il quale la presenza di un magistrato in un'abitazione nella quale vi sia un coabitante sottoposto ad indagini impedirebbe la perquisizione alla ricerca di oggetti nella disponibilità di quest'ultimo motivo n. 14 g quanto all'addébito di aver delegato indagini volte ad accertare le utenze telefoniche, le residenze e le dimore della Dott.ssa A. senza iscriverla nel registro degli indagati , l'intenzione era quella di avere la certezza che l'appartamento in questione fosse o meno nella disponibilità del Mu. inoltre, lo stesso Dott. M. decise di non far eseguire l'acquisizione di tabulati e le intercettazioni richieste dalla polizia giudiziaria motivo n. 15 h infine, nella sentenza impugnata non vi è cenno delle risultanze delle investigazioni difensive contenenti le dichiarazioni di vari pubblici ufficiali, attestanti la piena correttezza dell'operato dell'incolpato , regolarmente depositate ed acquisite agli atti motivo n. 16 . I motivi si rivelano in gran parte inammissibili e comunque infondati. Premesso, in linea generale, che il ricorso per cassazione contro le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si propone nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 e che, quindi, il vizio di motivazione censurabile è quello di cui all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. da ult., Cass., sez. un., n. 1241 del 2015 , il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima a sia effettiva , ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica , perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria , cioè sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo indicati in termini specifici ed esaurienti dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso , in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Gli atti del processo invocati a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione Cass., sez. un., n. 8615 del 2009, in motivazione, nonché Cass. pen. n. 10951 del 2006 e n. 41738 del 2011 . Inoltre, l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione Cass., sez. un., n. 8615 del 2009, cit., in motivazione, nonché Cass. pen. n. 18163 del 2008 e n. 9242 del 2013 . Orbene, la motivazione della sentenza, nella parte in esame, non presenta alcuno dei vizi sopra indicati, risultando invece pienamente adeguata a rappresentare le ragioni della decisione, esauriente e priva di vizi logici o incongruità, su tutti i punti oggetto di esame e valutazione. In particolare, nessuna delle censure sopra indicate si rivela idonea ad inficiare gli accertamenti di fatto e le valutazioni compiuti dalla Sezione disciplinare in ordine agli addebiti in esame. Il Giudice ha affermato che la prova dei fatti è, in massima parte, documentale e, del resto, va ribadito che i vari provvedimenti giudiziari invocati dal ricorrente non toccano i fatti stessi nella loro materialità i provvedimenti medesimi non sono dotati, peraltro, di alcuna autorità di giudicato v., sopra, par. 4.2. , e ciò vale anche, per quello della Procura della Repubblica di Bari con il quale è stata disposta la restituzione di gran parte degli atti alla Procura di Larino, provvedimento privo, in sé, di qualsiasi efficacia vincolante per la Sezione disciplinare in ordine alla ritenuta violazione dell'obbligo di iscrizione della Dott.ssa A. nel registro degli indagati e conseguente applicazione dell'art. 11 cod. proc. pen. per il resto, le doglianze si risolvono in critiche generiche, tendenti alla mera contrapposizione delle tesi del ricorrente a quelle espresse dal giudice di merito, e nessuna risulta comunque dotata del carattere della decisività al fine di intaccare l'apparato argomentativo della sentenza impugnata. 4.6. Con il motivo n. 18, vengono denunciati, in relazione all'art. 606, comma 1, lettere b ed e , la violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a , del d.lgs. n. 109 del 2006, nonché il vizio di motivazione, contestando la sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice disciplinare ha ritenuto che il comportamento dell'incolpato integri l'illecito di cui alle norme citate, laddove, ad avviso del ricorrente, come risulta anche dai più volte menzionati provvedimenti giudiziari, non è stato arrecato alcun danno, tanto meno ingiusto, né al Maggiore Mu. , né alla Dott.ssa A. . Nel motivo n. 19, la censura viene reiterata sotto il profilo dell'assenza dell'elemento soggettivo. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Va ribadito, innanzitutto, che gli illeciti disciplinari sanzionati dal citato art. 2, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 109 del 2006 e cioè i comportamenti che, violando i doveri di cui all'art. 1 - imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio, rispetto della dignità della persona -, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti configurano fattispecie di illecito c.d. di evento , per le quali, non diversamente da quanto si verifica nell'ambito del diritto penale, la consumazione non si esaurisce nella realizzazione della condotta violazione dei doveri di ufficio di cui all'art. 1 cit. , ma esige la verificazione di un evento danno ingiusto o ingiustificato vantaggio per una parte di un procedimento giudiziario costituente conseguenza diretta dell'azione o dell'omissione vietate con la conseguenza che, mancando la prova del danno o del vantaggio, l'illecito non può ritenersi configurato da ult., Cass., sez. un., n. 26548 del 2013 . Ed è stato ulteriormente precisato che l'illecito in esame sussiste anche nel caso in cui la violazione degli indicati doveri sia stata colposa e l'evento del danno ingiusto o dell'indebito vantaggio per una delle parti non sia stato previsto o voluto, atteso che la limitazione della sanzione disciplinare al solo illecito doloso la identificherebbe con la sanzione penale, mentre esse hanno finalità, intensità ed ambiti diversi Cass., sez. un., n. 4953 del 2015 . Ciò premesso, nella fattispecie la Sezione disciplinare ha affermato che il complessivo comportamento tenuto dall'incolpato nello svolgimento delle indagini nei confronti del Mu. e della A. configurasse la violazione dei doveri di cui all'art. 1 cit. in particolare, di quelli di imparzialità, correttezza ed equilibrio , in ragione delle oggetti ve modalità adottate, consistite, in sintesi, in una serie reiterata di perquisizioni locali e personali e di sequestri nei confronti del primo, nonostante i provvedimenti di annullamento del tribunale del riesame, denotante accanimento investigativo , e nella omessa iscrizione della A. nel registro degli indagati, nonostante fosse stata direttamente oggetto di indagini perquisizione ed altri accertamenti sopra indicati , con conseguente mancata trasmissione degli atti alla procura competente ex art. 11 cod. proc. pen., e ciò all'evidente scopo di proseguire personalmente l'indagine nei confronti della stessa. Il tutto, ad avviso del Giudice disciplinare, ha arrecato danno ai soggetti indagati, integrando l'illecito disciplinare di cui al citato art. 2, comma 1, lett. a , d.lgs. n. 109/06. Si tratta di valutazioni di merito, basate su fatti oggettivi non adeguatamente contestati, come detto al paragrafo precedente e non sindacabili in questa sede né, in ogni caso, può essere condivisa la tesi della mancanza di danno ingiusto arrecato agli indagati, essendo un tale danno insito nelle condotte addebitate e particolarmente grave in caso di violazione dell'obbligo di immediata iscrizione nel registro delle notizie di reato della persona alla quale il reato sia attribuito, ai sensi dell'art. 335 cod. proc.pen., trattandosi di adempimento - dal quale decorrono i termini di durata delle indagini preliminari - per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità ovviamente in presenza dei relativi presupposti, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è stato effettuato, come detto, con congrua motivazione dalla Sezione disciplinare, così sottraendosi al sindacato di legittimità cfr. Cass., sez. un., n. 20936 del 2011 . 5.1. Vanno ora esaminati i motivi di ricorso relativi al capo 1 dell'atto di incolpazione salvi i motivi n. 9 e n. 9 bis, già scrutinati al par. 4.4. , concernente i rapporti del Dott. M. con il personale amministrativo e con altri magistrati della. Procura della Repubblica di Latino v., in narrativa, par. 1.1., lettera A . 5.2. Con il motivo n. 7, è denunciata, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 17, comma 4, d.lgs. n. 109/06 e 495, comma 2, cod. proc. pen., per la mancata assunzione di prove decisive, avendo il Giudice ammesso l'audizione di uno solo dei numerosi testimoni a discarico indicati dal ricorrente. Il motivo è infondato. Come già esposto in relazione all'omologo motivo n. 6 v., sopra, par. 4.3. , in tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato, il diritto all'ammissione delle prove a discarico sui fatti addebitati, riconosciuto all'incolpato, va contemperato con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione, la cui negativa valutazione, ove adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità Cass., sez. un., n. 3669 del 2011 . Nella fattispecie, è sufficiente osservare che, come riferisce lo stesso ricorrente, la Sezione disciplinare, con ordinanza del 13 gennaio 2014, ha negato l'ammissione di alcune prove testimoniali o per la genericità della formulazione di alcuni capitoli, o perché ritenute non rilevanti ai fini della decisione e tali valutazioni non sono oggetto di adeguata censura sotto il profilo del vizio di motivazione. 5.3. Col motivo n. 17, il ricorrente si duole, in relazione all'art. 606, comma 1, lettere b ed e , cod. proc. pen., della violazione degli artt. 4, lett. d , e 18, comma 4, del d.lgs. n. 109/06 e degli artt. 125 e 234 cod. proc. pen., nonché di vizio della motivazione, in ordine all'omesso esame delle investigazioni difensive contenenti le dichiarazioni di tre pubblici ufficiali, attestanti la piena correttezza dell'operato dell'incolpato , depositate ed acquisite agli atti. Con le censure nn. 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26 e 27, poi, il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine agli addebiti contestati. In particolare, nel motivo n. 20 - l'unico proposto anche in relazione all'art. 606, comma 1, lettera b , per violazione degli artt. 18, comma 4, del d.lgs. n. 109/06, nonché 125 e 234 cod. proc. pen. -, ci si duole, da un lato, del fatto che la Sezione disciplinare non abbia esaminato la documentazione dalla quale si evinceva.un quadro in cui l'incolpato era stato posto in una oggettiva difficoltà di lavorare da parte dei dipendenti che hanno reso dichiarazioni contro di lui, e, dall'altro, della circostanza che non era ravvisabile a carico dell'incolpato alcuna ipotesi di reato, con conseguente venir meno dell'illecito di cui all'art. 4, comma 1, lett. d , del d.lgs. n. 109/06 e, di conseguenza dell'intero, unico, illecito contestato. Con i motivi da 21 a 27 si contesta l'accertamento della sussistenza dei sette episodi addebitati. I motivi si rivelano in gran parte inammissibili e comunque infondati. In primo luogo, non ha pregio la censura motivo n. 20 con la quale si contesta la sussistenza dell'illecito di cui all'art. 4, comma 1, lett. d , con conseguente caducazione dell'intero capo di incolpazione da un Iato, infatti, come detto in narrativa, la sentenza ha escluso la configurabilità di detto illecito per tutti gli episodi contestati, compresi quelli ritenuti gli unici potenzialmente idonei a integrare le ipotesi dei reati di diffamazione e di minaccia nei confronti della Dott.ssa A. cfr. il par. 6 della sentenza dall'altro, la sentenza stessa si basa, quanto al capo 1 dell'atto di incolpazione, sulla accertata sussistenza dell'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. d , d.lgs. n. 109/06 il quale punisce i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti - fra l'altro - di altri magistrati o di collaboratori , illecito del tutto autonomo rispetto a quelli previsti dall'art. 4 illeciti conseguenti a reato . Quanto alle restanti censure, attinenti al merito degli accertamenti compiuti dal Giudice disciplinare, devono intendersi qui integralmente riportate le ragioni, relative ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza, ex art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen., sopra esposte in relazione alle analoghe doglianze espresse riguardo al capo 2 dell'atto di incolpazione v. par. 4.5. anche in questo caso, infatti, nessuna delle censure si rivela idonea, per specificità e decisività, ad inficiare gli accertamenti di fatto e le valutazioni compiuti dalla Sezione disciplinare, con impianto argomentativo v., in narrativa, par. 1.2., lett. B da ritenere pienamente adeguato a rappresentare le ragioni della decisione, esauriente e privo di vizi logici. 6. Con il motivo n. 28, è oggetto di censura, in relazione all'art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen., il capo della sentenza in cui. è stata ritenuta inapplicabile l'esimente della scarsa rilevanza del fatto, di cui all'art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006 si deduce il vizio di motivazione, anche per non avere il giudice tenuto conto delle prove a discarico prodotte dall'incolpato. H motivo è infondato, dovendo ritenersi che la statuizione sul punto riportata in narrativa al par. 1.2. lett. D , basata sulla ripetizione e gravità dei comportamenti dell'incolpato con riferimento ad entrambi gli illeciti accertati, sia sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. 7. Col motivo n. 29 viene censurato, in relazione all'art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen., il capo della sentenza relativo alla determinazione della sanzione ci si duole del fatto che il Giudice disciplinare non abbia tenuto conto delle prove a discarico e dei provvedimenti giudiziari più volte richiamati, da ciò derivando la sproporzione della sanzione irrogata. Anche in questo caso la censura, a prescindere dalla sua genericità, è infondata, tenuto conto del principio secondo il quale la determinazione della sanzione adeguata rientra tra gli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto, come indubbiamente è nella fattispecie, da motivazione congrua ed immune da vizi logici nella quale - v., in narrativa, par. 1.2., lett. E - si fa riferimento alla reiterazione dei comportamenti scorretti nei confronti del personale amministrativo e di altri magistrati e alla evidente incapacità dimostrata di gestire in maniera equilibrata una indagine delicata che coinvolgeva un altro magistrato ed un ufficiale dei carabinieri . 8. Infine, con i motivi n. 30 e n. 31 è oggetto di doglianza, nuovamente in relazione all'art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen., il capo della sentenza con il quale è stato disposto il trasferimento del Dott. M. ad altra sede e ad altre funzioni si denuncia, da un lato, che la Sezione disciplinare non abbia ritenuto di attendere la pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 109/06, e, dall'altro, il vizio della motivazione del duplice trasferimento. I motivi sono infondati sull'irrilevanza della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2015 si è detto al par. 1 e le ragioni che. hanno indotto la Sezione disciplinare a disporre il trasferimento del Dott. M. ad altra sede e la destinazione ad altre funzioni Tribunale di Foggia con funzioni di giudice sono sorrette da ampia e congrua motivazione v., in narrativa, par. 1.2., lett. F . 9. Con la memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, il ricorrente chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio, in quanto espressione di doppio binario” sanzionatorio in violazione del divieto di secondo giudizio previsto dalPart. 649 c.p.p. nella sua interpretazione conforme all'art. 4, Protocollo n. 7, della CEDU, nel contenuto attribuito a quest'ultimo dalla sentenza Grande Stevens Corte EDU, sezione seconda, 4 marzo 2014, caso Grande Stevens e altri c. Italia . E ciò sulla base dell'essenziale rilievo della natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare irrogatagli e della identità della condotta oggetto dell'ordinanza di archiviazione del GIP di Lecce e della successiva procedura disciplinare. In subordine, chiede che sia sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU, dell'art. 20 del d.lgs. n. 109 del 2006 e dell'art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, nei sensi anzidetti, il divieto di bis in idem . La censura non può essere accolta. L'art. 4 rubricato Diritto di non essere giudicato o punito due volte del Protocollo n. 7 annesso alla CEDU prevede, al paragrafo 1, che Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato . È assorbente rilevare che l'ordinanza di archiviazione non produce gli effetti del giudicato, ma consente al pubblico ministero di richiedere la riapertura delle indagini art. 414 cod. proc. pen. sulla scorta anche di diversa valutazione circa la necessità delle stesse investigazioni, ritenute in precedenza non indispensabili, trattandosi di provvedimento sfornito di uno specifico valore decisorio diverso da quello rebus sic stantibus Cass. pen. nn. 1159 del 1992, 3896 del 1996, 12522 del 2015 . Peraltro, il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina sì l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, ma tale effetto preclusivo opera solo nei confronti del medesimo ufficio del pubblico ministero che chiese ed ottenne il detto provvedimento Cass. pen, sez. un., n. 33885 del 2010 . Ne consegue l'irrilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale. 10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. 11. Non v'è luogo a provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.