‘Spionaggio’ ai danni dell’ex arbitro De Santis: attività illecita ma non collegabile all’Inter

Acclarata l’attività di monitoraggio messa in atto ai danni dell’ex arbitro. Operazione realizzata dal cosiddetto ‘gruppo Pirelli-Telecom’. Nessun legame, però, con la società calcistica milanese, all’epoca guidata da Massimo Moratti.

‘Triplice fischio’. Partita conclusa, definitivamente. A chiudere la contesa è la Corte di Cassazione, sancendo la vittoria per una società calcistica – l’Inter dell’epoca morattiana moderna – nei confronti di un oramai ex arbitro, Massimo De Santis. Pomo della discordia l’attività di raccolta di informazioni sulla persona di De Santis, operazione realizzata dai dirigenti responsabili del cosiddetto ‘gruppo Telecom-Pirelli’. Evidente l’illegittimità di questa complessa investigazione, non altrettanto evidente, invece, il fatto che essa fosse stata commissionata dai dirigenti dell’Inter. Tutto ciò conduce a ritenere non plausibile la richiesta di risarcimento presentata da De Santis. Cassazione, sentenza n. 17547, prima sezione civile, depositata oggi . Dossier. Casus belli la raccolta di informazioni sulla persona di De Santis, all’epoca – parliamo del 2002 – arbitro di calcio nazionale in Italia. A gestire l’operazione, secondo l’ex arbitro, è stato Giuliano Tavaroli, responsabile della sicurezza della ‘Pirelli spa’ , mentre, in concreto, ad agire sul campo è stato, sempre secondo De Santis, Emanuele Cipriani, titolare di un’agenzia investigativa . Culmine del ‘piano’, infine, la redazione di un dossier, denominato ‘Operazione ladroni’, in relazione al cosiddetto ‘sistema Juventus’ , ossia in relazione a una organizzazione illecita finalizzata a favorire la squadra calcistica torinese, con chiaro riferimento a ‘Calciopoli’. Per De Santis, però – anche tenendo presente che sia Tavaroli che Cipriani sono stati condannati, all’esito di procedimento penale, per l’abusiva acquisizione di dati personali – sono stati i dirigenti dell’Inter ad avere avuto il ruolo di committente delle illegittime interferenze . Ecco spiegata la richiesta di risarcimento del danno presentata dall’ex arbitro nei confronti della società calcistica milanese. Tale visione, però, viene ritenuta non plausibile dai giudici del merito. Per questi ultimi, difatti, non vi è prova che la raccolta delle informazioni sia imputabile all’Inter di Massimo Moratti. Anche perché, alla luce del materiale probatorio , risulta che sul piano materiale gli accertamenti illeciti furono posti in essere dai dirigenti responsabili del cosiddetto ‘gruppo Pirelli-Telecom’ e sul piano giuridico-economico il costo degli abusivi accertamenti fu sostenuto da ‘Pirelli spa’ . E, per completare il quadro, i giudici aggiungono che è di scarsa valenza probatoria la dichiarazione di Tavaroli , il quale ha affermato di avere ricevuto l’incarico di spionaggio dalla società calcistica . Inter salva. E ora, nel contesto della Cassazione, la visione favorevole all’Inter viene ‘sigillata’ in modo definitivo. Respinte le obiezioni mosse da De Santis. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, in sostanza, sono corrette le valutazioni compiute dai giudici di merito, i quali, come detto, hanno ritenuto che la società calcistica milanese non abbia in concreto commissionato la raccolta dei dati né l’abbia utilizzata, anche indirettamente . Da un lato, viene evidenziata la mancanza di collegamenti concreti tra l’Inter e il ‘gruppo Pirelli-Telecom’, e, dall’altro, viene chiarito che non vi è prova neppure dell’impiego dei dati illecitamente acquisiti . Su quest’ultimo fronte, è ritenuto irrilevante anche il richiamo all’ esposto presentato alla Procura della Repubblica di Milano proprio dall’Inter, esposto poi archiviato e che, comunque, non aveva un contenuto idoneo a palesare condotte di interferenze illecite nell’altrui vita . Partita chiusa, quindi. Per i giudici lo ‘spionaggio’ ai danni di De Santis non è collegabile all’Inter. E ciò ovviamente rende assolutamente priva di senso la richiesta di risarcimento presentata dall’ ex arbitro.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 7 luglio – 3 settembre 2015, n. 17547 Presidente Forte – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 11 ottobre 2011, M.D.S., arbitro federale della Lega Calcio nazionale, ha convenuto in giudizio la F.C. Internazionale Milano s_p_a., deducendo l'illecita raccolta e trattamento dei propri dati personali e sensibili e chiedendone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, o in subordine ex art. 2043 c.c. Ha dedotto che, nell'anno 2002, la società aveva conferito a G.T., responsabile della sicurezza della Pirelli s.p.a., l'incarico di raccogliere informazioni sulla sua persona, attività materialmente svolta da E.C., titolare di un'agenzia investigativa, e culminata nella redazione di un dossier denominato Operazione Ladroni , in relazione al cd. sistema Juventus, asserita organizzazione illecita finalizzata a favorire detta squadra calcistica. Entrambi detti soggetti sono stati condannati, all'esito di procedimento penale, per l'abusiva acquisizione dei dati personali, mentre all'Inter il ricorrente ha imputato il ruolo di committente delle illegittime interferenze. Il Tribunale di Milano con sentenza del 20 giugno 2013 ha respinto la domanda. Ha affermato il giudice del merito, per quanto ancora rileva, che a infondata è l'eccezione di prescrizione del diritto vantato, decorrendo la stessa dal momento in cui la produzione del danno diviene conoscibile dall'avente diritto, nella specie coincidente, come emerso dall'istruttoria, con l'anno 2006, quando la vicenda è apparsa sulla stampa nazionale b infondata è l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, posto che l'attività di illecito trattamento dei dati, ai sensi dell'art. 15 d.lgs. n. 196 del 2003, da qualificare come extracontrattuale, è imputabile a chiunque si alleghi averla compiuta, oltre a potersi comunque configurare in astratto una responsabilità ex art. 2049 c.c. c non vi è prova che la raccolta delle informazioni sia imputabile alla F.C. Internazionale Milano s.p.a., sulla base di tutte le emergenze probatorie in atti, da cui risulta che, sul piano materiale, gli accertamenti illeciti furono materialmente posti in essere dai dirigenti responsabili del cd. gruppo Pirelli-Telecom, anche attraverso strutture societarie ad essi facenti capo, e, sul piano giuridico-economico, il costo degli abusivi accertamenti fu sostenuto da Pirelli s.p.a. laddove soltanto il teste T. aveva dichiarato di aver ricevuto l'incarico di spionaggio dalla società calcistica, dichiarazione, tuttavia, di scarsa valenza probatoria, atteso che detto incontro - di cui peraltro, a differenza degli altri, erano rimasti indefiniti tempo e luogo - sarebbe avvenuto alla presenza soltanto di G.F., che tuttavia era venuto a mancare pochi giorni prima della deposizione in questione, dunque senza alcuna possibilità di acquisirne riscontro del resto, la situazione si palesa significativamente diversa dalla cd. vicenda V., ove la fatturazione delle prestazioni volte ad acquisire illecitamente dati personali è avvenuta nei confronti della società predetta d non vi è prova neppure dell'utilizzo dei dati, illecitamente acquisiti, da parte della F.C. Internazionale Milano s.p.a., posto che l'esposto presentato alla Procura della Repubblica di Milano, poi archiviato, non aveva evidentemente un contenuto idoneo a palesare condotte di interferenze illecite nell'altrui vita, dal momento che l'esponente non era mai stato iscritto a tale titolo nel registro degli indagati ex art. 615 bis c.p. e non vi è prova dell'utilizzo dei dati illecitamente acquisiti da parte di soggetti terzi ed in favore della F.C. Internazionale Milano s.p.a. f la società calcistica e i suoi dirigenti non sono stati neppure oggetto di indagini penali con riguardo ai fatti in questione, circostanza che, se indubbiamente inidonea ad integrare qualsiasi giudicato in sede civile, tuttavia costituisce un indizio concorrente g la pesante condanna del D.S. da parte del Tribunale di Napoli per reati di frode sportiva non è derivata dal cdo dossieraggio svolto a suo carico h il regime probatorio di cui all'art. 2050 c.c. presuppone la prova della responsabilità dell'agente, nel caso di specie da escludere i resta indimostrata anche la domanda ex art. 2043 c.c., oltretutto formulata solo nelle conclusioni del ricorso, senza specifiche deduzioni nel corpo del medesimo. Contro la sentenza il soccombente ha proposto ricorso per cassazione ex art. 152, 13° comma, d.lgs. n. 196 del 2003, affidato a due mezzi, ma articolati in cinque motivi. Resiste l'intimata con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi e depositando pure la memoria di cui all'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. - Il ricorrente ha articolato due mezzi di ricorso, peraltro suddivisi complessivamente in cinque diversi motivi, di seguito riassunti. Con il primo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 15 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, per avere il tribunale individuato la figura del responsabile nel solo titolare formale del trattamento dei dati, secondo la nozione di cui all'art. 4, lettera f , del detto decreto, e non, come nella specie avvenuto, in chi comunque cagioni il danno per effetto del trattamento di fatto dei dati personali, e per non avere considerato provato che l'acquisizione dei dati avvenne su richiesta della F.C. Internazionale Milano s.p.a. tramite i suoi dirigenti M., S. e T.P., rispettivamente presidente, vice presidente e consigliere d'amministrazione della società. Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., per avere il tribunale reputato irrilevante l'avvenuta presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica di Milano sulla base di proprie considerazioni astratte, posto che il documento non era stato acquisito agli atti. Con il terzo motivo, censura il vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., con riguardo alla imputazione economica dell'attività di dossieraggio, non avendo il giudice del merito esaminato alcuni documenti in atti i quali avrebbero condotto a diverse conclusioni, dimostrando che la fatturazione da parte di Pirelli s.p.a. fu meramente di comodo. Con il quarto motivo, censura il vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., non avendo il giudice del merito esaminato prove determinanti le dichiarazioni rese da M. al procuratore FIGC, i verbali di due udienze del processo Telecom , i due verbali del c.d.a. dell'Inter di nomina del vice presidente in ordine alla circostanza che la richiesta di illecita acquisizione dei dati provenne dalla F.C. Internazionale Milano s.p.a., avvalendosi essa della security del Gruppo Pirelli , in particolare del suo capo G.T., il quale, a sua volta, si era rivolto all'investigatore privato C., mentre il tribunale aveva svalutato la testimonianza del T. la sentenza impugnata ha viola, inoltre, l'art. 116 c.p.c. nel valutare questa testimonianza, laddove ne ha desunto l'inattendibilità dall'impossibilità di verificare quanto riferito con riguardo al Facchetti. Con il quinto motivo, censura ancora il vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., con riguardo alla ritenuta assenza di prova dell'illecito utilizzo da parte della società calcistica dei dati abusivamente acquisiti, non avendo il tribunale ammesso alcuni capitoli di prova testimoniale, né accolto l'istanza di esibizione proposta dall'attore in ordine all'esposto presentato dalla F.C. Internazionale Milano s.p.a. in procura, né adeguatamente valutato alcuni documenti in atti verbali dell'interrogatorio T., verbali della testimonianza C. . Con il primo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione o falsa applicazione degli art. 2935 e 2947 c.c., per avere il tribunale respinto l'eccezione di prescrizione, dovendo il dies a quo collocarsi nel momento in cui il fatto si è verificato e non escludendo impedimenti di mero fatto il decorso della prescrizione. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli art. 1219, 2926 e 2043 c.c., perché la raccomandata del 16 settembre 2010, non contenendo l'importo richiesto né una intimazione di pagamento, non costituiva idonea messa in mora atta ad interrompere la prescrizione. 2. - Il primo motivo è infondato. L'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003, sotto la rubrica Danni cagionati per effetto del trattamento, dispone Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile. / Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell'articolo 11 . La norma sancisce la responsabilità per danni cagionati per effetto del trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 2050 c.c., che attiene alla responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. Tale responsabilità esige, dunque, l'allegazione e la dimostrazione di un pregiudizio conseguente al trattamento illecito, vale a dire della condotta illecita, del danno e del nesso causale, solo ponendo a carico dell'agente l'onere, ove voglia sottrarsi all'obbligo risarcitorio, di provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Pertanto, anche per la sussistenza della responsabilità ai sensi dell'art. 2050 c.c. il danneggiato deve provare l'evento di danno e il nesso di causalità tra l'attività ed il medesimo, spettando solo allora all'agente dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e multis, Cass. 5 settembre 2014, n. 18812 . La sentenza impugnata si è uniformata a tali principi, avendo affermato che il possibile autore dell'illecito trattamento dei dati è appunto qualsiasi soggetto che ad esso provveda, ossia colui che venuto in possesso dei dati, causi. Un danno al titolare degli stessi, dovendosi ex lege intendere come `trattamento' qualsiasi attività che comporti l'acquisizione, anche attraverso il profilo della committenza, come dedotto, oltre che l'uso, diretta o indiretto, di tali dati . Tale corretta interpretazione dell'art. 15 d.lgs. n. 196 del 2003, esposta nell'impugnata decisione nel capo relativo alla ritenuta legittimazione passiva della società ivi convenuta, non è smentita nella restante motivazione del provvedimento, in cui il tribunale ha provveduto ad accertare, in punto di fatto, se la F.C. Internazionale Milano s.p.a. abbia in concreto commissionato la raccolta dei dati o l'abbia utilizzata anche indirettamente, pervenendo, sotto entrambi i profili, ad una risposta negativa e ciò è rimesso al prudente apprezzamento riservato al giudice del merito. 3. - Il secondo motivo è infondato. Premessa la non necessità del consenso allorché il dato sia trattato per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria art. 24, lettera f, d.lgs. n. 196 del 2003 , va rilevato come il motivo non ponga, in effetti, una censura di violazione di legge, ma piuttosto si tratti della velata denuncia di un vizio motivazionale circa la ritenuta irrilevanza della presentazione dell'esposto, archiviato dalla procura, a provare l'uso dei dati in questione da parte della società calcistica. Com'è noto, il vizio di violazione di legge deve invece consistere nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito Cass. 4 aprile 2013, n. 8315 . 4. - I motivi dal terzo al quinto sono inammissibili. Come le sezioni unite di questa Corte hanno ormai chiarito Cass., sez. un., 22 settembre 2014, n. 19881 sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e v. Cass. 5 marzo 2014, n. 5133 , l'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Ne deriva che il dedotto omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Ed i fatti storici dedotti nei motivi - l'imputazione economica dell'attività di dossieraggio pretesamente in capo alla società calcistica, la richiesta di illecita acquisizione dei dati proveniente dalla società calcistica, l'illecito utilizzo da parte della medesima società dei dati abusivamente acquisiti - sono stati tutti ampiamente esaminati dal tribunale, che ha concluso insindacabilmente per la loro esclusione. Tanto meno può dirsi il vizio integrato dalla deduzione, come nella specie, di una valutazione delle prove che non risponda alle aspettative della parte che lo deduce, essendo noto, già nel regime di cui all'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c. anteriore alla riforma da ultimo menzionata, che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova e multis, Cass. 14 novembre 2013, n. 25608 . 5. - Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito. 6. - Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in e 8.200,00, di cui e 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ex art. 13, comma 1 bis, d.P.R. n. 115 del 2002.