Opposizione già iniziata: anche se applicabile il rito locatizio, nella fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione sussistono decadenze e preclusioni?

Sebbene alle opposizioni all’esecuzione fondata su titolo locatizio cioè relativo a controversie in materia di locazione di immobili urbani vada applicato il relativo rito ai sensi dell’art. 618 bis c.p.c., nelle opposizioni ad esecuzione già iniziata – di cui agli artt. 615 cpv. e 617 cpv. c.p.c. – restano fermi la competenza ed il rito deformalizzato della fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione ai sensi del capoverso di tale norma, con la conseguenza che non sussistono termini perentori o decadenze per la proposizione di domande riconvenzionali nella fase sommaria dell’opposizione ad esecuzione già iniziata.

Il caso. La vicenda riguarda uno sfratto per morosità intimato dal proprietario di un immobile adibito ad uso non abitativo studio dentistico nei confronti del proprio inquilino. Concessa l’ordinanza provvisoria di rilascio, il giudice aveva concluso il giudizio con una sentenza di cessazione della materia del contendere perché nel frattempo le chiavi dell’immobile erano già state restituite con condanna alle spese di lite. Il proprietario notificava allora atto di precetto sulla base di tale sentenza. Iniziata l’esecuzione, l’inquilino aveva proposto opposizione adducendo in compensazione un controcredito per la restituzione di una cauzione versata all’inizio del svolgimento del rapporto. Il proprietario, costituitosi direttamente in prima udienza di comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione, aveva contestato le tesi dell’inquilino e aveva svolto domande riconvenzionali per il pagamento di canoni non pagati e per il risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale di Treviso aveva accolto in parte l’opposizione e integralmente le domande riconvenzionali. La Corte d’appello rigettava il gravame principale svolto dal conduttore e anche quello incidentale promosso dal proprietario che propone ricorso in Cassazione avverso il quale resiste la controparte. Modalità di svolgimento di domande riconvenzionali In primo luogo il conduttore sostiene l’irritualità e tardività della domande riconvenzionali presentate dal proprietario direttamente alla prima udienza di comparizione e senza aver chiesto la fissazione di una nuova udienza. Il tema affrontato dalla Suprema Corte è dunque relativo alle modalità di svolgimento di domande riconvenzionali in sede di opposizione all’esecuzione già iniziata e fondata su titolo emesso all’esito di una causa riguardante rapporti di obbligazione, con la particolarità che il rito applicabile ratione temporis è quello anteriore alla riforma 2005/2006. Poiché era stata già intrapresa l’esecuzione nelle forme dell’espropriazione di mobili, gli Ermellini concludono affermando che, in simili casi, il dispiegamento di domande riconvenzionali da parte dell’opposto non è in realtà soggetto a termini di preclusione o decadenza. Aggiunge la Suprema Corte che nel caso di opposizioni in materia locatizia si deve applicare l’art. 618 bis c.p.c. sebbene l’unico precedente affrontato in fattispecie analoga sia stato deciso in senso contrario, vedi Cassazione 4.8.2005, n. 16377 . La lettera dell’articolo è infatti chiara per le materie trattate nei capi I e II del titolo IV del libro secondo, le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili . Poiché dunque l’art. 447 bis c.p.c. relativo proprio alla locazione di immobili urbani rientra pacificamente nel capo II del titolo IV del libro secondo del c.p.c., si deve necessariamente dedurre nel senso dell’applicabilità del rito locatizio anche alle opposizioni all’esecuzione in materia locatizia. La Corte infatti osserva che l’estensione anche alla fase esecutiva della competenza e del rito previsti per la fase di cognizione è espressione dell’unicità della tutela giurisdizionale, nonché della logica e razionale esigenza di garantire una generale unitarietà di disciplina processuale tra fase cognitiva e fase esecutiva essendo l’una la conseguenza e il complemento dell’altra. Chiarito il rito applicabile, con più specifico riferimento ai termini per le domande riconvenzionali la Corte spiega che il secondo comma dell’art. 618 bis c.p.c. resta ferma la competenza del giudice dell’esecuzione nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 615 e dal secondo comma dell’art. 617 nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza è costantemente interpretato nel senso che la competenza e il rito propri del giudice del lavoro non riguardano mai la fase sommaria di competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione quando le opposizioni sono promosse dopo l’instaurazione del processo esecutivo. Pertanto, poiché anche prima della riforma del 2006, non erano previste modalità specifiche per la fase introduttiva del giudizio di opposizione all’esecuzione già iniziata, non aveva errato il giudice di merito a ritenere non applicabili le preclusioni di cui agli artt. 415 e 416 c.p.c. al caso di specie. Anzi la prima udienza di comparizione – si ripete nel caso opposizioni promosse avverso processi esecutivi già iniziati – è da sempre caratterizzata dalla sommarietà e pertanto in questa fase non sussistono termini perentori o decadenze per la proposizione di domande riconvenzionali. La tesi del conduttore viene quindi respinta. Cessazione della materia del contendere? L’altro aspetto affrontato nella sentenza in esame è relativo alla portata della sentenza di cessazione della materia del contendere. Secondo l’inquilino le domande relative ai canoni non pagati e al risarcimento danni non potevano comunque essere esaminate poiché erano già state svolte dal proprietario nel procedimento di sfratto che si era concluso con la pronuncia di cessazione della materia del contendere. In realtà, la Cassazione ribadisce il proprio costante orientamento sul punto rigettando nuovamente la tesi del conduttore. Nel rito contenzioso ordinario la cessazione della materia del contendere non ha alcuna attitudine ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulle pretese fatte valere, ma solo sul venir meno dell’interesse a proseguire quello specifico giudizio. Si tratta infatti di una creazione giurisprudenziale applicata quando non si può giungere a una definizione nel merito del giudizio per via di una rinuncia agli atti, o alla pretesa sostanziale o per carenza di interesse delle parti alla definizione di quella controversia. Il provvedimento però non contiene alcun accertamento idoneo al giudicato relativamente al merito delle pretese svolte o alla sussistenza dei fatti affermati. Il ricorso in Cassazione viene quindi respinto e la sentenza di secondo grado viene confermata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 luglio – 31 agosto 2015, n. 17312 Presidente Salmé – Relatore De Stefano Svolgimento del processo p.1. - La corte di appello di Venezia rigettò i gravami avverso la sentenza resa dal tribunale di Treviso del 15.9.05 sull'opposizione di G.G. al precetto notificatogli da C.E. il 26.1.99 e sulle riconvenzionali in quella sede da quest'ultimo dispiegate, una volta avviata la procedura esecutiva mobiliare ai suoi danni. Questo l'antefatto. Il C. aveva intimato - il 13.6.96 - a controparte sfratto per morosità, con richiesta di ingiunzione di pagamento dei canoni, in relazione ad una locazione di immobile destinato ad uso non abitativo studio dentistico ed a tanto, pronunciata ordinanza provvisoria di rilascio in data 11.3.97 e proseguito il giudizio, era seguita la sentenza n. 77/98 dell'adito pretore di Venezia Mestre, con cui era stata dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di rilascio, con ritenuta preclusione di quella sull'ingiunzione per i canoni sulla considerazione della già avvenuta restituzione delle chiavi e pronunciata condanna del conduttore, in applicazione della soccombenza virtuale, alle spese di lite. E, sulla base di tale sentenza, il 26.1.99 il C. aveva allora notificato a controparte precetto per £ 4.842.534 oltre IVA, CPA e spese successive . A questo, iniziata nel frattempo l'esecuzione, G.G. aveva proposto opposizione, con ricorso al pretore di Treviso dep. il 29.5.99, adducendo in compensazione il controcredito per la restituzione della somma di L. 4.320.000 a titolo di restituzione di una cauzione - di L. 2.400.000, maggiorate però di interessi - versata in data 11.3.89, in occasione della stipula di un preliminare per la medesima locazione, intercorso tra il C. e, quali promissari conduttori, lo stesso G.G., oltre Ga.Fr. e T.G. e, costituendosi direttamente alla prima udienza di comparizione, il C. non solo aveva - da un lato - contestato la sussistenza del credito per una cauzione relativa ad un contratto stipulato anche con altre persone e sostituito da quello poi effettivamente stipulato e - dall'altro lato - eccepito l'estinzione per prescrizione, ma aveva pure dispiegato riconvenzionali per il pagamento dei canoni non pagati - dall'ottobre 1995 a marzo 1997, per Euro 10.093,86 - e già richiesti in sede di sfratto, sia per il risarcimento dei danni all'immobile per Euro 4.028,36 . L'adito tribunale di Treviso - con sentenza 15.9.05 - accolse in parte l'opposizione, riducendo la somma precettata in relazione ad un terzo dell'importo della cauzione e quindi ad Euro 743,69, oltre interessi dal 31.12.98 , ma integralmente le riconvenzionali per Euro 4.028,38 oltre IVA per danni all'immobile e per Euro 10.093,86, oltre adeguamento ISTAT ed interessi al saldo, a titolo di canoni di locazione , condannando l'opponente ai tre quarti delle spese di lite. Per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Venezia ha rigettato i gravami principale di G.G. e incidentale di C.E., il primo propone ora ricorso articolato su almeno sette motivi, cui resiste il secondo notificando memoria ex artt. 370 e 371 c.p.c. , a sua volta contrastata da controricorso dai ricorrente principale e, per la pubblica udienza del dì 8.7.15, entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione p.2. - Preliminarmente, va notato che il ricorso per cassazione non è tardivo, visto che, una volta dispiegata una riconvenzionale in un'opposizione ad esecuzione e tranne il solo caso, che qui non ricorre, in cui con quella si intenda sostituire il titolo esecutivo contestato con altro Cass. 18 luglio 2011, n. 15731 , se la prima - per il suo oggetto - non è esclusa dalla sospensione feriale e viene anche solo in parte accolta, neppure all'opposizione in sé e per sé considerata si applica più l'esenzione dalla sospensione stessa Cass. 21 gennaio 2014, n. 1123 Cass. 27 agosto 2014, n. 18334 Cass., ord. 19 marzo 2015, n. 5579 . Pertanto, il ricorso, spedito per la notifica a partire dal 21.6.13, rispetta il termine ordinario c.d. lungo, ai sensi dell'art. 327 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis rispetto alla data di pubblicazione della sentenza gravata 8.5.12 , maggiorato della sospensione feriale prevista dalla norma applicabile alla fattispecie quarantasei giorni . p.3. - Ciò posto, è logicamente preliminare la disamina del motivo indicato dal ricorrente principale come terzo e rubricato Violazione di legge art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Per violazione e falsa applicazione degli artt. 618bis 415 e 416 e/o 163/bis, 166, 167 c.p.c Tardività e irritualità delle domande riconvenzionali presentate all'udienza e senza richiesta di fissazione nuova udienza”. p.3.1. È infatti riproposta anche in questa sede la questione delle modalità di dispiegamento di domande riconvenzionali in sede di opposizione a precetto fondato su titolo in esito ad una causa avente ad oggetto un rapporto di locazione di immobile urbano ma con l'ulteriore peculiarità, che il rito da valutare è quello anteriore alla riforma del 2005/06, che ha modificato le modalità di introduzione delle opposizioni esecutive e lo stesso rito da tenersi, con la modifica dell'art. 185 disp. att. cod. proc. civ. dovuta all'art. 13 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, del procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. cod. proc. civ Ribatte, sul punto, il ricorrente incidentale negando l'esistenza di termini perentori per la formulazione delle domande dell'opposto, da qualificarsi oltretutto come mere difese. p.3.2. - Va preliminarmente esclusa la rilevanza dell'erronea sussunzione della doglianza entro il n. 3, anziché il n. 4, dell'art. 360 cod. proc. civ., nonostante l'evidente suo riferimento alla erronea applicazione di norme processuali ed alla conseguente nullità del procedimento e tanto perché lo sviluppo del motivo è coerente con la riconduzione della censura alla violazione di quelle norme processuali, risultando quindi non più decisivo - come invece ritenuto nel passato - il richiamo ad una fattispecie dell'art. 360 cod. proc. civ. manifestamente erronea Cass., ord. 20 febbraio 2014, n. 4036 Cass. Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931 . p.3.3. - Peraltro, sempre in via preliminare va pure riscontrato che, dal tenore letterale del ricorso principale neppure, com'è noto, potendo valere alcuna sua integrazione con atti diversi o successivi , non risulta la trascrizione del ricorso introduttivo dell'opposizione a precetto, né dei pedissequo decreto di fissazione dell'udienza da parte dell'adito giudice elementi che sarebbero comunque essenziali per valutare quale rito in concreto sia stato seguito. Sarebbe di conseguenza precluso - per la descritta violazione del n. 6 dell'art. 366 cod. proc. civ. su cui, tra le innumerevoli, v. Cass., ord. 26 agosto 2014, n. 18218 Cass. 6 febbraio 2014, n. 2712, anche per gli errores in procedendo Cass. 5 febbraio 2014, n. 2608 3 febbraio 2014, nn. 2274 e 2276 Cass. 30 gennaio 2014, n. 2072 Cass., ord. 16 marzo 2012, n. 4220 Cass. 1 febbraio 1995, n. 1161 Cass. 12 giugno 2002, n. 8388 Cass. 21 ottobre 2003, n. 15751 Cass. 24 marzo 2006, n. 6679 Cass. 17 maggio 2006, n. 11501 Cass. 31 maggio 2006, n. 12984 Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915, resa anche ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ. Cass. 31 luglio 2012, n. 13677 - a questa Corte l'approfondimento dei motivi addotti dal ricorrente in ordine alla scelta, dinanzi all'adduzione del mero precetto, della forma del ricorso e di quelli posti, se del caso per implicito o con richiamo a norme specifiche, dal giudice per disporre la comparizione e scegliere il rito da applicare. p.3.4. Tuttavia, sulla base di quanto ricavabile da altri degli atti del giudizio di legittimità, la doglianza è infondata. Infatti, nella fattispecie, anche se il ricorrente omette in ricorso di darne conto, stando a quanto riferisce la controricorrente a pag. 3 della memoria ex art. 370 cod. proc. civ. o controricorso a pag. 3 della memoria ex art. 378 cod. proc. civ., righe nona e seguenti l'opposizione è stata dispiegata quando l'esecuzione era già effettivamente iniziata nelle forme dell'espropriazione di mobili ma allora il dispiegamento delle riconvenzionali da parte dell'opposto in quella fase sommaria non è soggetto a termini di preclusione o decadenza. p.3.5. In primo luogo, alle opposizioni in materia locatizia - cioè ad esecuzioni fondate su titoli formati in cause soggette al relativo rito - si applica l'art. 618-bis cod. proc. civ., nonostante il contrario avviso dell'unico precedente di questa Corte regolatrice secondo il rito locatizio si applica solo alle controversie che riguardano direttamente un rapporto locatizio nella fase di cognizione e non anche nella successiva fase di esecuzione, in cui l'oggetto non è più detto rapporto, ma l'attuazione di un titolo che nella locazione trova solo un'origine remota Cass. 4 agosto 2005, n. 16377 . Infatti, non solo la peculiarità di quella fattispecie, relativa ad un'opposizione a decreto ingiuntivo reso ai sensi dell'art. 611 cod. proc. civ. per le spese di un'esecuzione per rilascio immobile fondata su titolo locatizio, non consente di generalizzare la conclusione limitativa ivi raggiunta, ma comunque essa non è coerente con il tenore testuale dell'art. 618-bis cod. proc. civ., né con la ratio della norma. Ed invero, a mente del primo comma di quest'ultimo per le materie trattate nei capi I e II del titolo IV del libro secondo, le opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili poiché l'art. 447-bis cod. proc. civ., riferito tra l'altro alle controversie in materia di locazione di immobili urbani, rientra pacificamente nel capo II del titolo IV del libro secondo del codice civile, è giocoforza concludere nel senso dell'applicabilità diretta ed immediata del rito locatizio e cioè di quello c.d. del lavoro, sia pure - in forza della limitazione del primo comma dell'art. 447-bis cod. proc. civ. suddetto - solo quanto agli artt. 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441 anche alle opposizioni ad esecuzione in materia locatizia. Né può assumere rilievo il carattere più o meno remoto del collegamento con l'originario oggetto locatizio. Al contrario, è evidente la ratio della devoluzione al giudice specializzato in materia - e della conseguente sottoposizione della controversia alle peculiarità del rito ad essa connaturato - di tutte le controversie che possano appunto trovare la loro causa ultima nelle obbligazioni od altre situazioni giuridiche soggettive nascenti dalla locazione o dal comodato di immobili urbani. La proiezione alla fase esecutiva della competenza e del rito della cognizione - beninteso, ove non sia diversamente, ma pur sempre espressamente stabilito - costituisce espressione dell'unicità della tutela giurisdizionale e dell'evidente razionalità dell'esigenza della conseguente tendenziale unitarietà di disciplina processuale tra fase cognitiva ed esecutiva, essendo - come è noto e riconosciuto da tempo ormai anche a livello sovranazionale - la seconda il necessario ed ineliminabile complemento della prima. E tanto se non altro con riferimento alle ipotesi di contestazioni fondate sul medesimo rapporto locatizio mediante adduzione di diritti in quello trovanti fonte diretta ed immediata, come è reso evidente nelle opposizioni ad esecuzione con cui è stato eccepito in compensazione dal debitore esecutato un controcredito per restituzione di cauzione relativa a contratto di locazione e nelle ammesse riconvenzionali dell'opposto fondate sul risarcimento del danno da condizioni dell'immobile all'atto del suo rilascio o sulla spettanza dei canoni od indennità di occupazione fino al rilascio nelle quali - come è chiaro nella fattispecie - si questiona di diritti trovanti causa comunque nell'inadempimento di originarie obbligazioni delle parti del rapporto locatizio. p.3.6. Ciononostante, nemmeno la pure necessaria applicazione dell'art. 618-bis cod. proc. civ. osta alla conclusione dell'assenza di termini perentori per la proposizione di domande riconvenzionali nella fase sommaria delle opposizioni esecutive. Infatti, a tenore del capoverso della norma in esame resta ferma la competenza dei giudice dell'esecuzione nei casi previsti dal secondo comma dell'articolo 615 e dal secondo comma dell'articolo 617 nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza disposizione interpretata costantemente da questa Corte regolatrice nel senso che la competenza ed il rito propri del giudice del lavoro non riguardano mai la fase sommaria di competenza esclusiva del giudice dell'esecuzione, quando le opposizioni esecutive sono state proposte dopo l'instaurazione del processo esecutivo come si ricava, anche se per lo più a contrario, da Cass. 30 dicembre 2014, n. 27527 Cass., ord. 30 luglio 2012, n. 13601 Cass. 14 marzo 2008, n. 6882 Cass. 25 agosto 1990, n. 8718 . p.3.7. - Ora, neppure prima della riforma del processo esecutivo del 2005/06 erano previste modalità specifiche per la fase introduttiva del giudizio di opposizione all'esecuzione iniziata ed anzi l'udienza di prima comparizione era connotata da una spiccata sommarietà, destinata com'era - se non altro nelle opposizioni ai sensi dei capoversi degli artt. 615 e 617 o in quelle dell'art. 619 cod. proc. civ. - alla mera delibazione delle questioni relative alla sospensione o all'adozione dei provvedimenti indilazionabili e urgenti, ed anzi la differenziazione rispetto al formale rito ordinario di cognizione, con la radicale semplificazione delle modalità introduttive delle domande e delle eccezioni, era stata ritenuta del tutto conforme a Costituzione dal giudice delle leggi Corte cost., ord. 14 ottobre 2005, n. 389 . Ma allora non erra la corte territoriale nell'escludere l'applicabilità delle norme degli artt. 415 e 416 cod. proc. civ. all'introduzione delle opposizioni esecutive ad esecuzione già iniziata. Infatti, adito con ricorso, il giudice dell'esecuzione si limita a fissare con decreto l'udienza di prima comparizione solamente all'esito della quale, provveduto sulle eventuali istanze di sospensione o di altri provvedimenti interinali, istruirà la controversia, purché, beninteso, competente per il merito e, dopo la riforma del 2005/06, mediante le speciali forme previste dagli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. , senza che il ricorrente sia tenuto al rispetto di termini particolari sicché, per doverosa simmetria, non è - ripetesi - in questa specifica fase tenuto al rispetto di alcun termine per le proprie difese, neppure se articolate in domande riconvenzionali, l'opposto. E la soluzione varrebbe a maggior ragione dopo la riforma, vista la consacrazione della deformalizzazione del rito operata con la modifica dell'art. 185 disp. att. cod. proc. civ. già detta del resto, in casi analoghi di introduzione con ricorso senza previsione di oneri formali specifici, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso la sussistenza di un onere, a maggior ragione se lo si volesse munito della sanzione della decadenza, di proposizione di riconvenzionali anteriormente all'udienza di comparizione per l'udienza presidenziale nel procedimento di separazione dei coniugi, ad es., v. Cass. 7 febbraio 2006, n. 2625, oppure Cass., ord. 17 dicembre 2010, n. 25558 sul presupposto che le sanzioni processuali, soprattutto quando di gravità pari alla decadenza, vanno espressamente previste. p.3.8. È stata quindi fatta corretta applicazione del seguente principio di diritto nonostante anche alle opposizioni all'esecuzione fondata su titolo c.d. locatizio cioè relativo a controversie in materia di locazione di immobili urbani vada applicato il relativo rito ai sensi dell'art. 618-bis cod. proc. civ., nelle opposizioni ad esecuzione già iniziata - di cui agli artt. 615 cpv. e 617 cpv. cod. proc. civ. - restano fermi la competenza ed il rito deformalizzato della fase sommaria davanti al giudice dell'esecuzione ai sensi del capoverso di tale norma, con la conseguenza che non sussistono termini perentori o decadenze per la proposizione di domande riconvenzionali nella fase sommaria dell'opposizione ad esecuzione già iniziata. E, pertanto, la gravata sentenza si sottrae alle critiche mosse con il motivo in esame. p.4. - Vanno ora esaminati, tra loro congiuntamente per la loro intima connessione, i motivi rubricati dal ricorrente principale sub 1.A, 1.B, 2.A e 2.B p.4.1. Coi primi due, G.G. si duole di violazione di legge, in riferimento agli artt. 2909 cod. civ., 39 e 100 cod. proc. civ. sostenendo che la pronuncia di cessazione della materia del contendere precluderebbe la riproposizione delle domande svolte nel processo così definito, in un primo momento ipotizzando di quella declaratoria una natura di rito e, successivamente, partendo dal contrario presupposto di una sua natura di merito con i secondi due, il ricorrente principale adduce poi violazione di legge, in riferimento agli artt. 2909 cod. civ. e 39 cod. proc. civ., sostenendo - dapprima - che il giudicato sulle spese in dipendenza della valutata soccombenza virtuale precluderebbe la nuova proposizione delle domande definite nel relativo processo e - poi - che comunque sarebbe erronea l'estensione del giudicato alla circostanza dell'avvenuto rilascio nel 1997 e non già fin nel 1995. p.4.2. Replica il controricorrente che il pretore aveva escluso solo per ragioni di rito la pronuncia sulla domanda di ingiunzione per canoni e, comunque, che né la cessazione, né la condanna alle spese per soccombenza virtuale potevano riguardare la relativa domanda, perché non avrebbero mai forza di giudicato sulla pretesa. p.4.3. Pur non essendo nemmeno in tal caso idoneamente trascritto in ricorso un atto decisivo quale la sentenza invocata a titolo di giudicato esterno, cioè la n. 77/98 del pretore di Venezia , dirimente appare la considerazione che, come risulta dagli atti legittimamente esaminabili da questa Corte nonostante quella pure evidente carenza, sia la dichiarazione di cessazione della materia del contendere che la delibazione di soccombenza virtuale si riferiscono alla domanda principale di condanna al rilascio in forza della risoluzione del contratto di locazione per morosità, mentre sulla domanda di ingiunzione di pagamento, che non risulta essere stata reiterata nel giudizio di merito successivo all'emanazione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 665 cod. proc. civ. tanto meno nella forma della, ormai sola ammissibile, domanda di condanna al pagamento dei canoni, non potendo più pronunciarsi, con l'opposizione dell'intimato resa evidente dal fatto che si era pronunciata l'ordinanza provvisoria di rilascio, alcuna ingiunzione ai sensi dell'art. 664 cod. proc. civ. , si è solo dato atto di una conseguente preclusione. Già solo per questo potrebbe essere esclusa la rilevanza delle argomentazioni del ricorrente principale, che ritiene riferita la cessazione della materia del contendere o la soccombenza virtuale anche alla questione della non spettanza dei canoni. p.4.4. Più radicalmente, quanto ai motivi 1.A e 1.B, la giurisprudenza di questa Corte è chiarissima nell'escludere l'efficacia di giudicato sostanziale alla dichiarazione di cessazione della materia del contendere fin da Cass. Sez. Un., 28 settembre 2000, n. 1048 richiamata già dalla corte territoriale, in uno a Cass. 6 maggio 2010, n. 10960 è stato composto un contrasto tra le sezioni semplici con affermazione del principio per il quale, nel rito contenzioso ordinario, la cessazione della materia del contendere - la quale costituisce una ipotesi di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale ed applicata in ogni fase e grado del giudizio, da pronunciare con sentenza, d'ufficio o su istanza di parte, ogniqualvolta non si può fare luogo alla definizione dei giudizio per rinuncia agli atti o per rinuncia alla pretesa sostanziale, per il venire meno dell'interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio - determina il venire meno delle pronunce emesse nei precedenti gradi e non passate in giudicato e, proprio perché accerta solo il venire meno dell'interesse, non ha alcuna idoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, ma solo ed appunto sul venire meno dell'interesse a proseguire quello specifico giudizio, con la conseguenza che il giudicato si forma solo su quest'ultima circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui è emessa nello stesso senso Cass. 4 giugno 2009, n. 12887, ove riferimenti alla consolidata giurisprudenza intermedia Cass. 25 marzo 2010, n. 7185 . Poiché non sono sviluppati argomenti idonei a superare tale prevalente orientamento, va qui - disattendendosi il motivo sub 1.B -ribadita la natura di pronuncia di mero rito della dichiarazione di cessazione della materia del contendere e, al contempo, in applicazione di tali conclusioni, va pure rilevato che essa non è in grado di acquisire giudicato su alcuno dei fatti dedotti nel giudizio in cui è resa, ma solo sulla diversa circostanza del venir meno dell'interesse a proseguire ma, appunto, a proseguire proprio quel giudizio in cui è resa, impregiudicato - se non altro, per il solo fatto della declaratoria - ogni altro aspetto, perché altrimenti la limitazione endoprocessuale della sua valenza sarebbe radicalmente vanificata. È quindi infondato il motivo sub 1.A p.4.5. - E la medesima conclusione di non estensibilità al di fuori del processo in cui è resa va presa - quanto al motivo 2.A - per la vantazione di soccombenza virtuale ipotizzare che quanto considerato ai fini di una soccombenza meramente virtuale, cioè sul presupposto che nel merito non si possa entrare, possa comportare un valido pregiudizio delle questioni di fatto e di diritto che si dichiara di non potere e non volere esaminare comporterebbe una violazione della funzione stessa dell'istituto e la sua sostanziale vanificazione. p.4.6. - Infine, quanto al motivo 2.B, esso è inammissibile quanto alla contestazione delle valutazioni sulla persistenza dell'obbligo di pagamento dei canoni anche nonostante la restituzione delle chiavi, il motivo non si fa carico dell'espressa ratio decidendi della corte territoriale v. pag. 11 della gravata sentenza in ordine alla carenza di prova dell'esercizio di un valido recesso, da cui fa discendere che, quand'anche vi fosse effettivamente stata la restituzione delle chiavi nel 1995, non si era avuta una risoluzione consensuale del contratto, il quale anzi aveva continuato a produrre tutti i suoi effetti fino al formale rilascio avvenuto in forza dell'ordinanza 11.3.97, tra cui anche l'obbligo del conduttore di pagamento del canone. E tanto pur sempre non volendo attribuire decisiva rilevanza al fatto che nessun giudicato sostanziale, di alcun tipo, può ricoilegarsi alla pronuncia di cessazione della materia del contendere, neppure in punto di epoca del rilascio dell'immobile. p.4.7. In definitiva, la gravata sentenza si sottrae alle censure mossele coi motivi in esame perché è stata fatta corretta applicazione del seguente principio di diritto la declaratoria di cessazione della materia del contendere o la vantazione di soccombenza virtuale per la liquidazione delle relative spese di lite non sono idonee ad acquistare autorità di giudicato sul merito delle questioni che erano oggetto della controversia, né in ogni caso di precluderne la riproposizione in diverso giudizio. p.5. - Del ricorso principale è poi inammissibile il quarto motivo, con cui si prospetta violazione di legge in relazione agli artt. 1218 e 1362-1371 cod. civ. e vizio motivazionale circa la corretta interpretazione dei contratti intercorsi tra le parti e soprattutto circa l'imputazione di un diritto di restituzione della cauzione originaria limitato ad un terzo del totale. Ribatte il controricorrente che il credito andrebbe negato in radice, perché riferito ad un contratto poi del tutto superato e ripropone, ma senza articolare sul punto specifico motivo di ricorso incidentale, anche l'eccezione di prescrizione. p.5.1. Infatti, il sindacato di questa Corte sull'interpretazione delle clausole contrattuali può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597 Cass. 1 aprile 2011, n. 7557 Cass. 14 febbraio 2012, n. 2109 Cass., ord. 9 gennaio 2013, n. 380 Cass. 27 febbraio 2015, n. 3980 pertanto, il ricorrente per cassazione avrebbe dovuto fare esplicito specificamente indicare le regole legali di interpretazione asseritamente violate, nonché precisare come e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se esso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168 . Ma il motivo in esame, in tal modo violando tale consolidato orientamento di legittimità, non individua - né nella rubrica, né con aderenza a ciascuna fattispecie normativa nello sviluppo - alcuna violazione di specifiche norme in materia di ermeneutica contrattuaie, richiamandole tutte congiuntamente e confusamente, senza alcuna analitica indicazione di quali passaggi motivazionali abbiano in particolare violato una ben individuata norma in tema di ermeneutica contrattuale. p.5.2. E tanto a prescindere dal fatto che la ricostruzione del giudice del merito involge un apprezzamento di fatto e, per di più, manifestamente scevro da vizi logici e giuridici, per la ineccepibile premessa dell'insussistenza di una solidarietà presunta dal lato attivo e per la valida considerazione delle circostanze della fattispecie concreta in ordine all'esclusione di una esclusività del credito restitutorio in capo ad uno solo di chi aveva assunto chiaramente la qualità di solvens . p.6. - Non assurge nemmeno a dignità di motivo quello rubricato 5. Sulle spese pagina 41 del ricorso principale visto che, solo prospettandosi quale conseguenza di un eventuale accoglimento degli altri motivi la riforma del capo sulle spese di primo e secondo grado, nessuna censura si rivolge con esso alla gravata sentenza di secondo grado in ordine ai regime delle spese in quanto tale e come applicato nel caso concreto, cioè quale necessaria conseguenza delle altre pronunzie. p.7. - Infine, il ricorso incidentale è inammissibile. In primo luogo, è sommaria e generica l'esposizione dei fatti di causa, in violazione dei n. 3 dell'art. 366 cod. proc. civ. in secondo luogo, il tenore del motivo è privo della chiara indicazione - con trascrizione integrale e indicazione della loro sede processuale - dei passaggi degli atti di merito in cui le relative questioni sarebbero state sottoposte via via ai giudici del merito, così privando questa corte della possibilità di verificare che esse non siano nuove in questa sede. Ma, come si è già accennato vedi p.3.3 , va ribadita la necessità che, per consentire a questa Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, nel ricorso si rinvengano sia l'indicazione della sede processuale di produzione dei documenti o di adduzione delle tesi su cui si fondano ed in cui si articolano le doglianze stesse, sia la trascrizione dei primi e dei passaggi argomentativi sulle seconde. Ed è pure consolidato l'orientamento dell'equiparazione, a questi fini, di ricorso incidentale e principale quanto meno, come nella specie, in cui le questioni da esaminare con l'uno non siano già state rese oggetto di specifica descrizione nell'altro. Tali insuperabili carenze di requisiti di contenuto-forma del ricorso incidentale non colmabili con atti diversi e tanto meno successivi ne precludono quindi l'esame nel merito. p.8. - In conclusione, infondati o inammissibili i motivi di ricorso principale e inammissibile il motivo di ricorso incidentale, vanno adottate le relative declaratorie e la soccombenza reciproca rende di giustizia l'integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità. p.9. - Inoltre, deve trovare applicazione l'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione ai sensi di tale disposizione, il giudice dell'impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto - senza poter procedere a valutazioni discrezionali - della sussistenza dei presupposti rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione per il versamento, da parte dell'impugnante totalmente soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, a norma del comma I-bis del medesimo art. 13. In relazione alla ratio di tale disposizione, peraltro, ogni parte impugnante soccombente deve reputarsi tenuta al versamento dell'ulteriore somma rispetto a quella che essa stessa, ma solo essa, era tenuta a versare ab initto infatti, quella norma in certo modo sanziona l'inanità dell'attivazione e dell'impiego delle risorse giudiziarie a seguito di attività processuale per il cui espletamento si era tenuti al versamento del contributo iniziale, ma, per mantenere una correlazione tra quell'attivazione e la sanzione stessa, tutto ciò deve avere luogo in misura necessariamente corrispondente al rispettivo obbligo, quest'ultimo a sua volta dipendente ora dalla natura di impugnazione principale, ora da quella di impugnazione incidentale, ma solo se ed in quanto abbia però determinato la modifica del valore della controversia. Pertanto, ciascuna delle parti è tenuta al pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da ognuna rispettivamente proposta, a norma del co. 1-bis del medesimo art. 13, sempre che - appunto - a quel pagamento essa fosse tenuta al momento di proporre l'impugnazione. E può adottarsi la declaratoria di cui in dispositivo, che lascia impregiudicata - rimettendola alla successiva fase amministrativa del recupero dell'ulteriore somma - la verifica della spettanza o meno, per l'impugnante incidentale, dell'obbligo di versare ulteriore o separato contributo unificato cioè, aggiuntivo rispetto a quello dovuto dal ricorrente principale in dipendenza degli eventuali effetti della sua impugnazione incidentale sull'entità del valore della controversia e con la conseguenza che, ove l'impugnante incidentale non fosse stato ab initio tenuto a versare alcunché di aggiuntivo per l'impugnazione da lui proposta, non sarà tenuto a versare nulla neppure in dipendenza del mancato accoglimento di questa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla l. 228/12, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto da ognuno per il ricorso rispettivamente proposto, a norma del co. I-bis dello stesso art. 13.