Errore di fatto e vizio di motivazione: la sottile linea di confine tra istanza di revocazione e ricorso in Cassazione

Il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunciabile con ricorso in Cassazione, postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico diversamente, è configurabile errore revocatorio laddove l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 16280 del 31 luglio 2015. Il caso. Una società citava in giudizio due avvocati affinché ne venisse accertata la responsabilità professionale. Nel dettaglio, l’attrice aveva acquistato un trattore stradale, dotato di autorizzazione speciale per il trasporto conto terzi, da un’altra impresa che, a sua volta, aveva rinunciato alla facoltà di trasferire detta autorizzazione su altro veicolo di sua proprietà. Successivamente, dichiarato il fallimento dell’impresa cedente, il Ministero dei Trasporti aveva negato l’autorizzazione al trasferimento della predetta licenza all’attrice sul presupposto che la dichiarazione di rinuncia ed il consenso alla voltura, a seguito della dichiarazione di fallimento, fossero affetti da nullità. Per ottenere l’annullamento del provvedimento di diniego del Ministero, l’attrice aveva conferito mandato ai due avvocati convenuti, ma il ricorso proposto dagli stessi era dichiarato inammissibile dal TAR per difetto di notifica al curatore fallimentare, in capo al quale era riconosciuta la qualità di controinteressato. Ebbene, all’esito del giudizio di primo grado, la domanda attorea veniva respinta e la pronuncia veniva confermata in sede d’appello. In particolare, i due giudici di merito ritenevano insussistente la responsabilità professionale dei convenuti poiché, diversamente da quanto sostenuto dal TAR, non reputavano necessaria la notificazione del ricorso al curatore. L’attrice si rivolge, quindi, alla Corte di Cassazione. Omesso esame di un documento decisivo. Tra i motivi di ricorso, la società denuncia un vizio motivazionale rinvenibile nella decisione della Corte territoriale di respingere la domanda sul presupposto che la causa del danno lamentato fosse riconducibile non già alla condotta dei difensori, quanto piuttosto alla mancata impugnazione della sentenza del TAR da parte della stessa attrice. A giudizio della ricorrente, tale assunto si fonderebbe sull’omesso esame da parte del Giudice di secondo grado di un documento che, se fosse stato valutato, avrebbe condotto ad una diversa decisione. Difatti, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di merito, la decisione del TAR era stata impugnata dall’attrice, tanto che nel corso del giudizio d’appello era stata depositata la sentenza del Consiglio di Stato intervenuta nelle more, peraltro confermativa della sentenza del TAR. La Corte territoriale avrebbe, dunque, negato l’esistenza di un fatto storico decisivo, oggettivamente verificatosi, ossia l’avvenuta impugnazione della decisione resa dal giudice amministrativo di primo grado, basando il rigetto dell’appello su un’inesistente mancata contestazione della sentenza del TAR da parte dell’attrice. Il rimedio è l’istanza di revocazione. Ebbene, i Giudici di legittimità osservano preliminarmente che l’affermazione della responsabilità civile del professionista non può prescindere dalla verifica in positivo dell’esistenza di un danno eziologicamente legato alla predetta condotta. Nella specie, tale nesso eziologico è stato escluso giacché la causa dell’evento dannoso è stata individuata dalla Corte territoriale nella mancata impugnazione della sentenza del TAR. L’anzidetta ratio decidendi è stata, quindi, impugnata tramite la denuncia di un vizio di omesso esame di un documento decisivo per la decisione della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c L’affermazione della Corte d’appello sulla mancata impugnazione della sentenza del TAR attiene al rilievo di un fatto storico e materiale non controverso in sede di giudizio. Essa, quindi, non integra un giudizio, sia pure sul fatto medesimo, sicché l’errore di fatto addebitato alla Corte d’appello non poteva essere oggetto di ricorso ordinario per cassazione, bensì di ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c Invero, la ricorrente pretende di sottoporre a scrutinio della Corte di Cassazione un errore che, lungi dal sostanziare il denunciato vizio motivazionale, si profila come una falsa rappresentazione della realtà, contrastante con i documenti processuali ritualmente depositati e acquisiti in sede di gravame. Il ricorso in Cassazione è inammissibile. Gli Ermellini richiamano dunque il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, configura un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione diversamente, laddove il vizio dedotto si sostanzi in una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti, esso è sindacabile in Cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c Pertanto, il denunciato vizio omissivo in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello non può che appalesarsi come una mera svista materiale su circostanze decisive, che presenta i caratteri della obiettività e dell’evidenza, sostanziandosi quindi in un vizio di carattere revocatorio. Ne consegue l’inammissibilità della censura con conseguente cristallizzazione della assorbente ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alla causa dell’evento dannoso, che rende inammissibili, per difetto sopravvenuto di interesse, le doglianze che investono le ulteriori ragioni a fondamento della decisione, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività della prima, alla cassazione della decisione stessa.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 maggio – 31 luglio 2015, n. 16280 Presidente Vivaldi – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto 1. - Con atto di citazione ritualmente notificato nel marzo 2003, la F.lli Campioni S.r.l. evocò in giudizio, dinanzi al Tribunale di Massa, gli avv.ti R.G. e P.P. , affinché ne venisse accertata e dichiarata la responsabilità professionale, per negligente esercizio del mandato loro conferito. 1.1. - A tal fine, la F.lli Campioni S.r.l. dedusse di aver acquistato, nei primi di febbraio 1992, dalla impresa Del Chierico, un trattore stradale, dotato di autorizzazione speciale per il trasporto conto terzi, ad un prezzo pari a lire 27.000.000, assumendo che, con dichiarazione resa in data 5 febbraio 1992, l'impresa cedente aveva rinunciato alla facoltà di trasferire detta autorizzazione su altro veicolo di sua proprietà aggiunse l'attrice di aver provveduto, pochi giorni dopo l'acquisto, a rivendere alla Del Chierico il trattore, per un importo pari a lire 2.000.000, in quanto interessata al solo trasferimento della autorizzazione conto terzi. Assunse, altresì, l'attrice che in data 18 febbraio 1992, il Tribunale di La Spezia aveva dichiarato il fallimento della Del Chierico e che, successivamente, il Curatore fallimentare aveva richiesto che la procedura di trasferimento dell'autorizzazione fosse sospesa che il Ministero dei Trasporti, con provvedimento del 1 giugno 1992, aveva negato l'autorizzazione al trasferimento alla F.lli Campioni della predetta licenza, sostenendo che la menzionata dichiarazione di rinuncia da parte della impresa cedente e il conseguente consenso alla voltura fossero affetti da nullità, a seguito della dichiarazione di fallimento della Del Chierico. Sicché, per ottenere l'annullamento del provvedimento del Ministero, l'attrice sostenne di aver conferito mandato all'avv. R. e all'avv. P. , i quali avevano proposto ricorso avverso l'atto di diniego, chiedendone l’annullamento e la conseguente dichiarazione di efficacia del trasferimento dell'autorizzazione, nonché di tutti gli atti ad essa conseguenti e successivi. Con sentenza del dicembre 1999, il T.A.R. del Lazio dichiarava l'inammissibilità del ricorso proposto dalla F.lli Campioni, per difetto di notifica al Curatore fallimentare, in capo al quale veniva riconosciuta la qualità di controinteressato. 1.2. - Nel contraddittorio con i convenuti avv.ti R. e P. , l'adito Tribunale, con sentenza del marzo 2007, rigettò le domande della Campioni Logistica Integrata S.p.A. già F.lli Campioni S.r.l. , con condanna dell'attrice alla refusione delle spese di lite. Ritenne il primo Giudice che non fosse condivisibile la pronuncia del T.A.R. del Lazio - nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile il ricorso amministrativo, per non essere invece necessaria la notificazione del ricorso al Curatore fallimentare - e che, quindi, fosse, conseguentemente, insussistente la pretesa responsabilità professionale dei convenuti. 2. - Avverso tale sentenza interponeva gravame la Campioni Logistica Integrata S.p.A., che, nel contraddittorio con gli appellati avv.ti R. e P. , veniva rigettato dalla Corte di appello di Genova con sentenza resa pubblica il 2 dicembre 2011. 2.1. - La Corte territoriale escludeva che fosse ravvisabile una condotta colposa degli avv.ti R. e P. , ribadendo, al pari del primo giudice, che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso amministrativo, da parte del T.A.R. del Lazio, si fondava sull'erroneo presupposto che l'atto introduttivo dovesse essere notificato al Fallimento Del Chierico, quale controinteressato, posto che, in forza di un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, nelle ipotesi di atto di diniego non è ravvisabile la figura del controinteressato. 2.2. - Peraltro, soggiungeva la Corte distrettuale, con riferimento al caso di specie, che non fosse necessaria la partecipazione del Curatore fallimentare al giudizio di impugnazione intrapreso in sede amministrativa e che là dove il Fallimento avesse voluto opporsi al trasferimento della licenza, avrebbe dovuto esperire azione revocatoria, ovvero, rifiutare, ai sensi dell'art. 72, L.F., l'esecuzione del contratto eventualmente non ancora perfezionato. 2.3. - Rilevava, altresì, il giudice di appello la non univocità dell'orientamento espresso nella predetta sentenza dal T.A.R. del Lazio, avendo lo stesso organo amministrativo, in ipotesi analoga a quella dedotta, accolto il ricorso, senza rilevarne preliminarmente l'inammissibilità per non essere stato evocato in giudizio il Fallimento dell'impresa cedente. 2.4. - Sicché, concludeva la Corte di appello, la causa effettiva del danno di cui l'appellante chiede il risarcimento non era da individuare nella condotta degli appellati e nelle scelte defensionali da essi effettuate, ma in quella, addebitabile alla stessa Campioni Logistica, di non impugnare la sentenza del TAR chiedendone la riforma davanti al Consiglio di Stato . 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Logistica Campioni Integrata S.p.A., affidando le sorti dell'impugnazione a cinque motivi. Resistono, con separato controricorso, gli avv.ti R.G. e P.P. . Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. - Con il primo mezzo viene dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, comma secondo e 2236 cod. civ., con riferimento all'art. 21 della legge n. 1034 del 1971. La Corte territoriale sarebbe incorsa in violazione degli artt. 1776 e 2236 cod. civ. per aver proceduto al riesame della gravata sentenza del Tribunale prescindendo da ogni valutazione sull'adozione, da parte dei difensori, della diligenza media loro richiesta per l'esecuzione di una prestazione professionale, che si assumeva non involgere la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà né sarebbe stato condotto un esame volto a verificare se, nel caso di specie, la prestazione loro richiesta fosse di una complessità tecnica tale da limitarne la responsabilità per danni al dolo o alla colpa grave. Se, invece, l'indagine fosse stata correttamente rivolta non al risultato, bensì all'adozione dell'opportuna diligenza professionale, la Corte territoriale avrebbe, evidentemente, accertato come, in violazione dei minimi parametri di prudenza, i difensori non si fossero neppure posti il problema della individuazione o meno del controinteressato, così esponendo, imprudentemente, il cliente al rischio di una soccombenza pregiudiziale. 2. - Con il secondo mezzo è prospettato, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione. In conseguenza dell'assunta violazione degli artt. 1776 e 2336 cod. civ., la sentenza impugnata sarebbe viziata, in quanto fondata su una motivazione omessa, contraddittoria e insufficiente nella parte in cui, apoditticamente, statuendo su un punto non decisivo ai fini della decisione, ha sindacato, anziché la diligenza dei difensori, la correttezza o meno della decisione negativa del T.A.R., ritenendo, sotto vari aspetti, che non vi fosse necessità di notificare il ricorso amministrativo al presunto controinteressato. Sarebbe, altresì, insufficiente la motivazione con cui, dall'affermazione secondo la quale si osserva che l'orientamento espresso, nel caso in esame, dal T.A.R. del Lazio, non fosse univoco, essendosi lo stesso Giudice amministrativo espresso in termini opposti in analoga fattispecie, si fa discendere che la causa del danno non fosse imputabile alla condotta dei difensori, ma alla stessa appellante, per non aver impugnato la decisione del Tribunale amministrativo davanti al Consiglio di Stato. L'insufficienza della motivazione conseguirebbe, inoltre, dal fatto che la Corte ha sindacato unicamente l’ininfluente esito negativo della controversia amministrativa, omettendo l'esame del fatto decisivo consistente nella circostanza che proprio tale risultato infausto sarebbe stato evitato, ove i difensori avessero espletato il mandato con l'opportuna diligenza e prudenza. Infine, sarebbe omessa e insufficiente la motivazione, nella parte in cui imputa, apoditticamente, alla Campioni la causa del danno proprio per non aver impugnato la decisione del T.A.R., asseritamente erronea, al fine di rimediare all'invocata responsabilità dei professionisti, in quanto, tale statuizione non è riferibile al punto decisivo controverso, non potendosi così imporre alla società un onere di impugnazione per rimediare all'inadempimento dei propri difensori. 3. - Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all'art. 112, cod. proc. civ Invero, come risulta testualmente dalle conclusioni dell'appellante, integralmente trascritte, alla Corte territoriale era stato richiesto di accertare e dichiarare la responsabilità professionale dei difensori, i quali, senza adottare la diligenza media richiesta nell'espletamento del mandato loro conferito, non avevano provveduto alla notifica al controinteressato, cosi determinando l'inammissibilità del ricorso, ed era, altresì, stato domandato l'accertamento e la dichiarazione, con giudizio prognostico e per l'effetto, del nesso di causalità tra tale inadempimento e il pregiudizio subito. Disattendendo le domande svolte dall'appellante e travalicando le stesse, la Corte ha, da un lato, proceduto unicamente all'esame del nesso causale, negando che esso sussistesse e, in tal modo, implicitamente ritenendo che laddove il T.A.R. non avesse erroneamente dichiarato l'inammissibilità del ricorso, questo sarebbe stato certamente accolto, dall'altro, ha indagato, senza che ne fosse stata investita, la correttezza o meno della decisione del giudice amministrativo, individuando responsabilità diverse, ossia quella del Tribunale amministrativo e della stessa Campioni Logistica Integrata S.p.A., omettendo, invece, di valutare se la condotta dei difensori rispondesse ai parametri di diligenza professionali loro imposti nell'esecuzione del mandato. La Corte di appello avrebbe, pertanto, omesso di rispondere al capo decisivo della domanda che le era stato rivolto, senza porre il thema decidendum a controprova del cosa sarebbe successo se i patroni il ricorso avessero invece notificato ritualmente al controinteressato , rispondendo, viceversa, a capi della domanda che non erano mai stati prospettati. 4. - Con il quarto mezzo è censurato, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione. In. conseguenza del predetto vizio di nullità, la Corte distrettuale avrebbe totalmente omesso la motivazione su un punto decisivo della controversia. Come già osservato, infatti, il giudice di secondo grado non avrebbe provveduto a rispondere alla domanda principale che le era stata rivolta, omettendo di argomentare cosa sarebbe successo se i convenuti avessero adoperato l'opportuna diligenza professionale, ossia provvedendo alla notificazione del ricorso amministrativo al controinteressato, attesa la prevedibilità del rischio di inammissibilità del ricorso, a fronte dell'affermata non univocità dell'orientamento sulla sussistenza del predetto vizio processuale. 5. - Con il quinto mezzo è dedotto, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione. La Corte distrettuale sarebbe incorsa nel denunciato vizio motivazionale per aver fondato la decisione sull'erroneo presupposto che la causa del danno lamentato fosse riconducibile non già alla condotta dei difensori, quanto, piuttosto, alla mancata impugnazione della sentenza del T.A.R., da parte della stessa Campioni Logistica Integrata S.p.A Invero, tale assunto si fonda sull'omesso esame di un documento che il secondo giudice avrebbe mancato di esaminare e che, se fosse stato valutato, avrebbe condotto ad una diversa decisione e, conseguentemente, all'accoglimento del gravame. Infatti, all'udienza collegiale di appello del 3 dicembre 2008 era stata depositata la sentenza del Consiglio di Stato n. 2592/2008, intervenuta nelle more del giudizio di secondo grado, con la quale era stata confermata la sentenza del T.A.R. del Lazio, nella parte in cui era stata rilevata la mancata notifica al controinteressato, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso in appello. La Corte territoriale ha, dunque, negato l'esistenza di un fatto storico decisivo, oggettivamente verificatosi, ossia l'avvenuta impugnazione della decisione resa dal giudice amministrativo di primo grado, basando il rigetto dell'appello su un'inesistente mancata contestazione della sentenza del T.A.R., da parte della Campioni Logistica Integrata S.p.A Peraltro, la sentenza del Consiglio di Stato, prodotta in atti e completamente ignorata dal giudice di appello, confermando la pronuncia del primo giudice amministrativo, in ragione della ritenuta individuabilità, nel caso di specie, del controinteressato e della ineludibile partecipazione del Curatore fallimentare al processo di impugnazione amministrativa incardinato dalla Campioni Logistica Integrata S.p.A., è, di per sé, idonea a scardinare tutte le tesi sostenute nella gravata sentenza di appello, in quanto tali argomentazioni, oltre che omissive, insufficienti e non pertinenti, sono, evidentemente, contrastanti e incompatibili con l'orientamento manifestato dapprima dal T.A.R. e, successivamente, dallo stesso giudice amministrativo di secondo grado. 6. - Lo scrutinio del quinto motivo, unitamente a taluni profili di censura del secondo e terzo motivo, è preliminare ed assorbente. 6.1. - La causa dell'evento dannoso è 3tata individuata dalla Corte territoriale nella mancata impugnazione della sentenza del T.A.R. Lazio - dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso avverso l'atto di diniego impugnato dalla società Logistica con il patrocinio dei difensori P. e R. - dinanzi al Consiglio di Stato, al fine di ottenerne la riforma scelta, di non procedere all'impugnazione, addebitatale alla stessa società Campioni Logistica e non ai difensori che l'avevano difesa nel primo grado del giudizio amministrativo. Si tratta di ratio decidendi assorbente e decisiva, giacché, a prescindere dalla sussistenza di una condotta professionale negligente e/o imperita, l'affermazione della responsabilità civile del professionista non può prescindere dalla verifica in positivo dell'esistenza di un danno eziologicamente legato alla predetta condotta tra le molte, Cass., 7 agosto 2002, n. 11901 Cass., 5 febbraio 2013, n. 2638 . Nesso causale che, nella specie, sarebbe escluso, secondo l'avviso della Corte territoriale, proprio in ragione della mancata impugnazione della sentenza sfavorevole per una opzione riferibile esclusivamente alla parte interessata. 6.2. - In ragione dei rilievi appena evidenziati, cadono, anzitutto, le, comunque generiche, censure mosse con il secondo ed il terzo motivo di ricorso in relazione alla richiamata ratio decidendi. Le prime, sotto il profilo del vizio di motivazione, si infrangono contro un percorso argomentativo che, esente da errori giuridici, si palesa, con tutta evidenza, riferibile ad un punto decisivo della controversia. Le seconde, veicolate come errores in procedendo, non colgono appieno la portata della statuizione, giacché questa ha reso superfluo l'esame del profilo attinente alla condotta inadempiente dei professionisti. 6.3. - Con il quinto motivo di ricorso l'anzidetta ratio decidendi, è stata, quindi, impugnata tramite la denuncia di un vizio di omesso esame di documento decisivo per la decisione della controversia, veicolato ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., adducendosi che tale omissione conseguirebbe alla produzione in giudizio della sentenza del Consiglio di Stato n. 2592 del 2008, effettuata all'udienza collegiale in appello del 3 dicembre 2008. Peraltro, la ricorrente soggiunge che, ove fosse stata esaminata, detta sentenza del Consiglio di Stato avrebbe indotto il giudice del gravame a conclusioni diverse da quelle alle quali è erroneamente giunto, posto che con essa veniva confermata la sentenza del T.A.R. e, dunque, la necessità della notifica del ricorso impugnatorio anche al controinteressato. 6.3.1. - L'affermazione della Corte di appello sulla mancata impugnazione della sentenza del T.A.R. dinanzi al Consiglio di Stato attiene al rilievo di un fatto storico e materiale, non controverso in sede di giudizio, come del resto desumibile dalla stessa circostanza che la produzione del documento è stata effettuata in sede di udienza collegiale del giudizio di secondo grado, là dove, in precedenza, di una siffatta impugnazione non vi è cenno nel thema decidedum sino ad allora configuratosi secondo quanto emerge dalla stessa prospettazione di parte ricorrente nel ricorso - cfr. anche quanto viene ribadito al riguardo con il secondo motivo - e dalla sentenza impugnata in questa sede . L’anzidetta affermazione, quindi, non integra un giudizio, sia pure sul fatto medesimo, e di ciò ne è consapevole la stessa società ricorrente, là dove in ricorso assume che la Corte viene a negare l'esistenza di un fatto storico decisivo viceversa oggettivamente verificatosi e del pari ciò è ribadito con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. cfr. pp. 15 e 16 . Sicché, l'errore, di fatto, addebitato alla Corte di appello, non poteva essere oggetto di ricorso ordinario per cassazione, bensì di ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ È evidente, infatti, che si pretende di sottoporre a scrutinio di questa Corte un errore che, lungi dal sostanziare il denunciato vizio motivazionale, si profila, invero, come una falsa rappresentazione della realtà, contrastante con i documenti processuali che si assumono ritualmente depositati e acquisiti in sede di gravame. Invero, come da orientamento costante di questa Corte tra le altre, Cass., 14 novembre 2012, n. 19921 , l'apprezzamento del giudice di merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, configura un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione diversamente, laddove il vizio dedotto si sostanzi in una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti, esso è sindacabile in Cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ Mentre, infatti, il vizio di motivazione su un punto decisivo postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo, in modo che l'omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza dello stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico, è, invece, configurabile errore revocatorio, laddove l'omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa Cass., 27 luglio 2005, n. 15672 . Pertanto, il denunciato vizio omissivo, in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, non può che appalesarsi come una mera svista materiale su circostanze decisive, che presenta i caratteri della obiettività e dell'evidenza, sostanziandosi, per l'appunto, in un vizio di carattere revocatorio. Donde, l'inammissibilità della censura proposta con il quinto motivo di ricorso. 6.4. - Ne consegue, all'esito dello scrutinio condotto sub § § 6/6.3.1., che precedono, la cristallizzazione della assorbente ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alla causa dell'evento dannoso, che rende inammissibili, per difetto sopravvenuto di interesse, le doglianze che investono le ulteriori ragioni a fondamento della decisione ossia di quelle che ruotano intorno al profilo della partecipazione del controinteressato al giudizio amministrativo, cui si correlerebbe la condotta inadempiente ascritta ai legali della società attrice , in quanto quest'ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività della prima, alla cassazione della decisione stessa tra le tante, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108 . 3. - Il ricorso va, pertanto, rigettato e la società ricorrente condannata, ai sensi dell'art. 385, primo comma, cod. proc. civ., al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.