Irragionevole durata del processo: l’indennizzo deve essere parametrato sul caso concreto

Il risultato della liquidazione non deve mai tradursi in una sostanziale locupletazione a vantaggio del soggetto istante, per cui va evitato che tra il danno effettivamente subìto e la somma liquidata quale equo indennizzo, sussista un differenziale di sovracompensazione, e ciò anche se il giudizio presupposto non aveva carattere bagatellare.

Lo afferma la Cassazione nella sentenza n. 15117/15, depositata il 17 luglio. La vicenda. Un soggetto faceva ricorso alla Corte d’appello chiedendo la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo ai sensi dell'art. 2 l. n. 89/2001 – c.d. legge Pinto” – , in relazione all'art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per la durata irragionevole di una causa civile iniziata nei suoi confronti nel novembre 1992 e ancora in secondo grado alla data di proposizione del ricorso. La Corte d’appello, dopo aver valutato in sei anni la durata ragionevole del processo e aver quindi calcolato che nella fattispecie il limite di ragionevolezza era superato di ben tredici anni, liquidava in favore del ricorrente a titolo di equo indennizzo la somma di euro 6.500,00, ossia euro 500,00 per ogni anno di ritardo. La motivazione della Corte d’appello e il ricorso. La Corte di appello motivava la sua decisione sulla base dell'art. 2 bis l. n. 89/2001, introdotto con d.l. n. 83/2012, secondo il quale l’indennizzo deve essere compreso tra un minimo di 500 euro ed un massimo di 1.500,00 euro per ogni anno di ritardo o frazione superiore a sei mesi, tenuto conto del valore e della rilevanza della causa, stabilendo che in ogni caso la misura dell'indennizzo non possa essere superiore al valore della causa stessa. Pertanto, visto che la vicenda oggetto del procedimento di durata irragionevole riguardava la restituzione di 9 milioni di lire per una protesi difettosa, oltre al danno biologico, doveva ritenersi congruo un indennizzo di 500 euro per ogni anno di ritardo. Il soggetto che ha subito l’irragionevole durata del processo, tuttavia, ricorre per cassazione, sostenendo che le disposizioni di modifica della legge Pinto si applicano ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e che secondo i precedenti della giurisprudenza di legittimità l'indennizzo debba essere commisurato a 750 euro per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, e a 1.000 euro per ogni anno successivo. I precedenti della Cassazione. La Suprema Corte rigetta tuttavia il ricorso, evidenziando come la decisione della Corte d’appello impugnata fosse sostanzialmente in linea con la giurisprudenza di legittimità. Infatti, in più precedenti la Cassazione ha già ritenuto che la quantificazione del danno non patrimoniale soltanto di regola deve essere non inferiore a 750 euro per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a 1.000 euro per quelli successivi, ritenendo comunque conforme a legge una quantificazione inferiore pari a 500 euro per anno di ritardo nell’ipotesi in cui, in relazione anche alla posta in gioco del processo presupposto, vi sia l'esigenza di evitare sovracompensazioni. Il criterio astratto 750 euro per i primi tre anni. Infatti, alcune sentenze della Suprema Corte avevano affermato che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto dovesse essere individuato nell'importo non inferiore ad euro 750 per anno di ritardo per i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e, per il periodo successivo, nell’importo minimo pari ad euro 1.000, in quanto l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno così, ex multis , Cass., n. 8471/12 . L’esigenza di concretizzare l’impatto del ritardo. Tuttavia la Cassazione ha sottolineato la necessità di mitigare” il suddetto principio, evidenziando la rilevanza della valutazione dell'entità della pretesa patrimoniale azionata c.d. posta in gioco , alla quale occorre procedere per accertare l'impatto dell'irragionevole ritardo sulla psiche della parte richiedente, al fine di giustificare l'eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La Cassazione ha inoltre stabilito che la soglia minima è solamente tendenziale, vale cioè di regola così Cass., n. 8471/12 , senza costituire una frontiera invalicabile laddove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto – parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente –, vi sia l'esigenza di evitare sovracompensazioni così, da ultimo, Cass., 633/2014 . Il giudizio di comparazione con la situazione socioeconomica dell'istante. Di conseguenza, allo scopo di verificare tale impatto occorre effettuare un giudizio di comparazione con la situazione socioeconomica dell'istante, tale da evidenziare la reale portata dell'interesse di quest'ultimo alla decisione, in ordine al quale il giudice di merito è tenuto a fornire una puntuale motivazione, che però non legittima comunque il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall'applicazione dei predetti criteri si veda in proposito, tra le tante Cass., n. 6697/2012 . La liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato, infatti, contrasterebbe con l'esigenza, posta a fondamento della legge Pinto, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione. Il riferimento al tenore di vita. Gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale possono essere anche inferiori a quelli liquidati dal giudice europeo, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del Paese interessato, e purché detti importi non risultino irragionevoli. È possibile ridurre la compensazione del danno non patrimoniale subito. Oltre al criterio c.d. della posta in gioco”, occorre considerare l'onere per la finanza pubblica e, quindi, per la collettività dei cittadini che deriverebbe da una rigida ed anelastica applicazione dei criteri di liquidazione elaborati dalla giurisprudenza, come tale incapace di cogliere le particolarità del caso. Infine, a seguito del Protocollo n. 14 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, entrato in vigore il 1 giugno 2010, che ha modificato il par. 3 dell'art. 35 della Convenzione, la ricevibilità del ricorso non consegue automaticamente alla violazione di un diritto, quale che sia la sua realtà da un punto di vista strettamente giuridico, ma è piuttosto subordinata all'apprezzamento di una soglia minima di gravità, idonea a giustificare l'esame da parte di una giurisdizione internazionale, salvo che il rispetto dei diritti dell'uomo non esiga un esame del ricorso per quanto riguarda il merito ed a patto di non rigettare, per questa ragione, alcuna causa che non sia stata debitamente esaminata da un tribunale interno. Pertanto, è stata ritenuta adeguata una soglia pari al 45% del risarcimento che la CEDU avrebbe attribuito Cass., n. 21524/14 . Bisogna evitare il sostanziale arricchimento del soggetto istante. Di conseguenza, il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie modulabili in relazione al concreto pregiudizio subito cfr. ex pluribus , Cass., n. 13803/11 . Dunque in nessun caso il risultato della liquidazione deve tradursi in una sostanziale arricchimento a vantaggio del soggetto istante, per cui va evitato che tra il danno effettivamente subìto e la somma liquidata a titolo di equo indennizzo sussista un differenziale di sovracompensazione, e ciò anche se il giudizio presupposto non aveva carattere bagatellare. Concludendo. In conclusione, la Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che l'assenza di un pregiudizio importante, dovuto all'irrisorietà o alla modestia del valore effettivo della controversia sottoposta al giudice nel giudizio presupposto, consentisse di ridurre ragionevolmente la compensazione del danno non patrimoniale subito per la lentezza del processo in relazione alla particolarità del caso concreto e di scendere - al fine di cogliere l'effettiva consistenza economica e sociale della vicenda presupposta - al di sotto dei parametri tabellari plasmati dalla giurisprudenza della stessa Suprema Corte, da riservare ai casi in cui il pregiudizio è serio e tale da comportare conseguenze significative sulla situazione personale della parte.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 9 aprile – 17 luglio 2015, n. 15117 Presidente Petitti – Relatore Manna In fatto Con ricorso del 6.8.2012 M.G. adiva la Corte d'appello di Catanzaro per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo CEDU , del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, per la durata irragionevole di una causa civile promossa nei suoi confronti innanzi al Tribunale di Reggio Calabria nel novembre 1992 e ancora in grado d'appello alla data di proposizione del ricorso. Resisteva il Ministero. Con decreto del 27.4.2013 la Corte territoriale, valutata in sei anni la durata ragionevole e calcolata in tredici quella eccedente il limite di ragionevolezza, liquidava in favore del ricorrente a titolo di equo indennizzo la somma di Euro 6.500,00, in ragione di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo. A sostegno della decisione, osservava che l'art. 2-bis della legge n. 89/01, introdotto con D.L. n. 83/12, stabiliva un indennizzo compreso tra un minimo di 500 ed un massimo di 1.500,00 Euro per ogni anno di ritardo o frazione superiore a sei mesi, tenuto conto del valore e della rilevanza della causa, stabilendo che in ogni caso la misura dell'indennizzo non poteva essere superiore al valore della causa stessa. Rilevava, quindi, che nel caso in esame, tenuto conto dell'entità della posta in gioco in cui si discuteva della restituzione di 9 milioni di lire per una protesi difettosa, oltre al danno biologico , doveva ritenersi congruo un indennizzo di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo. Per la cassazione di tale decreto M.G. propone ricorso, affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia. Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata. Motivi della decisione 1. - Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 2-bis della legge n. 89/01, 55 D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, e 11 disp. prel. c.c., il tutto in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. Ai sensi dell'art. 55 D.L. cit., deduce parte ricorrente, le disposizioni di modifica della legge n. 89/01 si applicano ai ricorsi depositati a decorrere dal tredicesimo rectius , trentesimo n.d.r. giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione. Essendo quest'ultima entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione, avvenuta l'11.8.2012, la nuova normativa è applicabile a partire dall'11.9.2012, mentre il ricorso in oggetto è stato depositato il 6.8.2012. 2. - Il secondo motivo espone la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 CEDU, 2 legge n. 89/01, nel testo anteriore alle recenti modifiche, 1226 e 2056 c.c., in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., nonché un non meglio precisato omesso esame, ex art. 360, n. 5 c.p.c. . La Corte d'appello di Catanzaro, si sostiene, ha sostanzialmente smentito i principi di diritto cui ha premesso di volersi conformare e che rappresentano orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità in ordine alla misura dell'indennizzo. Parte ricorrente richiama, in particolare, la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale l'indennizzo va commisurato a Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, e a Euro 1.000,00 per ogni anno successivo e sostiene che da tale principio non v'era ragione di discostarsi, tenuto conto della natura non bagatellare della lite presupposta. 3. - I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati, anche se occorre correggere, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma c.p.c., la motivazione del decreto impugnato. Infatti, sebbene ai sensi dell'art. 55, 2 comma D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, le modifiche che detto provvedimento ha apportato alla legge n. 89/01 si applichino ai ricorsi d'equa riparazione depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione e dunque a partire dall'11.9.2012 , la misura dell'indennizzo complessivo liquidato dalla Corte territoriale è, ad ogni modo, in linea con la giurisprudenza di questa Corte formatasi anteriormente. In particolare, com'è stato osservato, tra le altre, da Cass. nn. 24927/14, 21524/14, 13082/14 e 12937/12, questa Corte ha già ritenuto che la quantificazione del danno non patrimoniale soltanto di regola deve essere non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, e che è conforme a legge una quantificazione inferiore pari ad Euro 500,00 per anno di ritardo quando, in relazione anche alla posta in gioco del processo presupposto, vi sia l'esigenza di evitare sovracompensazioni. Come si legge nella motivazione della sentenza n. 24927/14, che conviene riportare in parte qua, n el rimeditare questa Corte il principio acquisito secondo il quale il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell'importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo Cass. 8 luglio 2009 n. 1608 per i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e, per il periodo successivo, la soglia minima sale ad Euro 1.000,00, in quanto l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno così Cass. 14 ottobre 2009 n. 21840 Cass. 30 luglio 2010 n. 17922 Cass. 28 maggio 2012 n. 8471 , ha statuito la rilevanza della valutazione dell'entità della pretesa patrimoniale azionata c.d. posta in gioco , alla quale occorre procedere per accertare l'impatto dell'irragionevole ritardo sulla psiche della parte richiedente, al fine di giustificare l'eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. È stato al riguardo chiarito che la verifica deve avvenire attraverso l'effettuazione di un giudizio di comparazione con la situazione socioeconomica dell'istante, tale da evidenziare la reale portata dell'interesse di quest'ultimo alla decisione, in ordine al quale il giudice di merito è tenuto a fornire una puntuale motivazione, che però non legittima comunque il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall'applicazione dei predetti criteri Cass. 5 luglio 2011 n. 14756 Cass. 10 novembre 2011 n. 23519 Cass. 3 maggio 2012 n. 6697 . Inoltre, sono state valorizzate anche altre affermazioni di principio della giurisprudenza di questa Corte, quale quella secondo cui la soglia minima è tendenziale, vale cioè di regola così Cass. 30 luglio 2010 n. 17922 Cass. 28 maggio 2012 n. 8471 , senza costituire una frontiera invalicabile, laddove in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, vi sia l'esigenza di evitare sovracompensazioni da ultimo, Cass. 14 gennaio 2014 n. 633 e Cass. 24 luglio 2012 n. 12937 . Inoltre, una rinnovata analisi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che di fronte a poste in gioco di modesta entità - nel proclamare di essere una giurisdizione internazionale che ha il compito principale di assicurare il rispetto dei diritti dell'uomo sanciti nella Convenzione e nei suoi protocolli piuttosto che di compensare, minuziosamente e in maniera esaustiva, i danni subiti dai ricorrenti - non ha esitato a liquidare importi di gran lunga inferiori a quelli normalmente riconosciuti. Ne è stato un esempio la sentenza 21 dicembre 2010, divenuta definitiva il 20 giugno 2011, nel caso Gaglione ed altri c. Italia, nella quale è stato accordata la somma forfettaria di Euro 200,00 per ciascun ricorso in riparazione del danno morale . Il senso complessivo che se ne trae e che è ben espresso anche in altri precedenti di questa Corte pur non riferiti al tema della quantificazione dell'indennizzo liquidabile, secondo cui il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie modulabili in relazione al concreto patema subito cfr. expluribus, Cass. n. 13803/11 , è che in nessun caso il risultato della liquidazione deve tradursi in una sostanziale locupletazione a vantaggio del soggetto istante, per cui va evitato che tra il danno effettivamente subito e la somma liquidata a titolo di equo indennizzo sussista un differenziale di sovracompensazione, e ciò anche se il giudizio presupposto non aveva carattere bagatellare. 3.1. - Nello specifico, la Corte territoriale ha adeguatamente valutato il processo nel quale si è verificata la violazione, e attraverso l'applicazione di un moltiplicatore annuo Euro 500,00 comunque ricompreso nel campo di variazione elaborato dalla giurisprudenza di questo S.C. nel rispetto dei precedenti della Corte EDU, ha compensato il danno morale da ritardo con una somma congrua in rapporto alla posta in gioco. 4. - Il ricorso va pertanto respinto. 5. - Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente. 6. - Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'ari. 1, comma 17 legge n. 228/12. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.