No all’impugnazione del provvedimento se la parte non ha svolto apposita istanza di ricusazione

La violazione dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51 c.p.c. determina la nullità del provvedimento adottato solo nell’ipotesi in cui il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del giudizio, laddove, nelle altre ipotesi, la violazione del suddetto obbligo assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza non determina la nullità del provvedimento.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 8392/15 della Corte di Cassazione, depositata il 24 aprile scorso. Il caso. La vicenda riguarda un ricorso in Cassazione svolto avverso la decisione della Corte d’Appello di Palermo che confermava il fallimento di una società dichiarato in prime cure dal Tribunale. Le censure svolte nel ricorso sono relative a due aspetti fondamentali la composizione del Collegio giudicante e la valutazione dello stato di insolvenza. In ordine al primo aspetto, il ricorrente lamenta il fatto che il Collegio del giudizio di opposizione al fallimento vedeva tra i suoi componenti due giudici già membri del Collegio che aveva dichiarato in primo grado il fallimento stesso determinando così la nullità della sentenza impugnata. La Cassazione giudica, però, tale motivo inammissibile in primo luogo poiché fondato su una produzione documentale un’attestazione del dirigente del Tribunale in merito all’assetto dell’unica sezione civile del Tribunale stesso e dalla quale sarebbe derivata la tardiva conoscenza della composizione dell’organo , mai esibita nei precedenti gradi di giudizio e non consentita quindi in Cassazione. In secondo luogo, anche nel merito, il motivo viene comunque considerato infondato. Infatti, i problemi relativi alla composizione dell’organo giudicante costituiscono motivi di astensione di cui all’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. che la parte deve far valere con apposita istanza di ricusazione ex art. 52 c.p.c. nello stesso giudizio in cui si è verificata l’incompatibilità. In mancanza, non può poi dolersene come motivo di gravame impugnando successivamente la decisione assunta. Tardiva conoscenza della composizione del Collegio? A nulla vale invocare la tardiva conoscenza della composizione poiché, in realtà, le parti sono in grado di avere tempestiva e pronta contezza di tali elementi dal ruolo di udienza e dall’intestazione del verbale di causa. Il vizio di composizione del Collegio, prosegue la Cassazione, può determinare in ipotesi la nullità del provvedimento solo nel caso più grave in cui il giudice ha un interesse proprio e diretto nella causa, quasi come se fosse parte” del giudizio stesso art. 51, n. 1, c.p.c. . In alternativa sarebbe possibile considerare la violazione dell’obbligo di astensione come motivo idoneo a rendere nulla la sentenza solo ove l’istanza di ricusazione, tempestivamente proposta, fosse stata poi erroneamente respinta. Con riferimento invece alla contestazione circa la sussistenza dell’insolvenza ex art. 5 L.F. la Suprema Corte ritiene che il motivo non è stato svolto correttamente e va quindi considerato inammissibile. Il ricorrente infatti, nel caso in esame, non ha censurato l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, ma al contrario ha inteso sostenere semplicemente la non condivisibilità e l’opinabilità delle valutazioni della Corte d’Appello. Tale ipotesi però non rientra nelle previsioni di cui all’art. 360 c.p.c. e comporta di conseguenza il rigetto del gravame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 marzo – 24 aprile 2015, n. 8392 Presidente Ceccherini – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo La Corte d'appello di Palermo con sentenza del 18 dicembre 2007 ha respinto l'impugnazione proposta avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della So.Ge.Im. s.p.a La corte territoriale ha ritenuto che a non sussiste la nullità della sentenza impugnata, sebbene l'opposizione a dichiarazione di fallimento sia stata respinta da un collegio cui partecipavano due membri di quello dichiarante il fallimento, perché la prima è fase a cognizione piena e la seconda a cognizione sommaria non pregiudicante il successivo giudizio, ed in ogni caso la violazione dell'obbligo di astensione avrebbe dovuto farsi valere con la ricusazione, tuttavia non proposta b sussiste lo stato d'insolvenza ex art. 5 l.f., in quanto, in particolare, esiste un ingente debito verso un istituto bancario, non soddisfatto nonostante un piano di rientro. Contro questa sentenza la società propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi resistono con controricorso la curatela e la creditrice Unicredit Leasing s.p.a. a socio unico, nuova denominazione di Locat s.p.a. già Leasingroma s.p.a. , quest'ultima depositando altresì una memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, la società ricorrente deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e l'illegittimità costituzionale degli art. 51, 1 comma, n. 4 e 52, 1 comma, c.p.c., in relazione agli art. 3, 24, 101, 104 e 111 cost., in quanto essi non ammettano che la parte possa proporre istanza di ricusazione tardiva pur non avendo avuto conoscenza, per causa non imputabile, della composizione del collegio giudicante. Con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 l.f., nel testo ante novelle, in relazione agli art. 3, 24, 101, 104 e 111 cost., in quanto la norma non prevede l'incompatibilità a decidere il giudizio di opposizione in capo al giudice che abbia concorso alla dichiarazione di fallimento. Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 l.f., per non avere la corte del merito escluso lo stato d'insolvenza in presenta di un notevole patrimonio immobiliare della società e con un attivo patrimoniale superiore al passivo, e solo in uno stato momentaneo di illiquidità. 2. - Il primo motivo è inammissibile. Esso verte sull'ammissibilità della ricusazione per incompatibilità del giudice allorché la parte fosse nell'impossibilità di conoscere preventivamente i nomi dei componenti del collegio e, quindi, di ricusarli. A dimostrazione di tale impossibilità in fatto, la parte produce - per la prima volta - in questa sede un'attestazione in data 7 aprile 2008 del dirigente del tribunale sulla composizione dell'unica sezione civile di tribunale. Tale produzione, tuttavia, è inammissibile, a norma dell'art. 372 c.p.c., la quale attiene alla nullità unicamente della sentenza impugnata, non di altri precedenti provvedimenti giudiziari, quale la sentenza di primo grado. Ne deriva che, essendo l'allegazione dell'impossibilità di conoscere in anticipo i componenti del collegio, non rappresentata al giudice di merito, priva dei necessari riscontri fattuali, il motivo è inammissibile. Solo per completezza giova poi ricordare che, come già da questa Corte affermato Cass., ord. 15 dicembre 2011, n. 26976 , il motivo di astensione di cui all'art. 51, 1 comma, n. 4, c.p.c., che la parte non abbia fatto valere in via di ricusazione del giudice a termini dell'art. 52, c.p.c., non può in seguito essere invocato in sede di gravame ed il principio non trova deroga in relazione alla deduzione di tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante, tenuto conto che le parti sono in grado di avere tempestiva contezza di tale composizione dal ruolo di udienza e dall'intestazione del verbale di causa ad opera del cancelliere e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione. 3. - Il secondo motivo è infondato. La sentenza, emessa in primo grado nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 18 l.f. nel testo previgente, applicabile ratione temporis , dallo stesso collegio che ha provveduto alla dichiarazione di fallimento, integra l'ipotesi di astensione obbligatoria prevista dall'art. 51 n. 4 c.p.c., da far valere esclusivamente mediante tempestiva e rituale istanza di ricusazione, formulata ai sensi dell'art. 52 c.p.c. nel corso del procedimento ove si sia verificata l'incompatibilità. Le Sezioni unite di questa Corte Cass., sez. un., 9 maggio 2011, n. 10071 hanno chiarito che la violazione dell'obbligo dell'astensione di cui all'art. 51 c.p.c. determina la nullità del provvedimento adottato solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del giudizio, ovvero ai sensi del primo comma di detta disposizione, laddove, nelle altre ipotesi, la violazione del suddetto obbligo assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza non determina la nullità del provvedimento. Ne deriva che la questione di legittimità costituzionale, dell'art. 18 l.f. previgente, nella parte in cui non esclude il giudice che abbia composto il collegio il quale abbia dichiarato il fallimento dalla composizione del tribunale nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento stesso, resta irrilevante, atteso che la mancata proposizione di tale istanza preclude la possibilità di far valere quel vizio quale motivo di nullità derivante dalla costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., della sentenza impugnata, onde l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale non potrebbe comunque comportare la nullità della sentenza stessa. Ed invero, una volta ribadito che la parte ha a disposizione, in dette fattispecie, gli istituti della astensione e della ricusazione, e che nella specie difetta un'ammissibile prova della impossibilità di avvalersi di quest'ultima nei termini dalla legge prefissati, occorre ricordare che la Corte costituzionale Corte cost. 15 ottobre 1999, n. 387 ha affermato che il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, ma trova attuazione con le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento, ribadendo essa la netta distinzione, al riguardo, tra processo penale e processo civile. Di modo che - ferma l'esigenza che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo rispetto agli interessi oggetto del processo - le soluzioni per assicurare la necessaria garanzia non debbono seguire linee direttive necessariamente identiche per i due tipi di processo. Per il processo civile, vige un peculiare sistema procedurale caratterizzato da una diversa posizione delle parti, che si possono avvalere di particolari poteri di difesa, sicché è stata reputata non arbitraria la diversa scelta di garantire - in tale processo - l'imparzialità - terzietà del giudice solo attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Il giudice delle leggi ha inoltre affermato, in altra sentenza interpretativa di rigetto, che la violazione dell'obbligo di astensione è idonea a rendere nulla la sentenza per vizio di costituzione del giudice solo se sia tempestivamente proposta la ricusazione e questa venga erroneamente respinta la sentenza ha dichiarato quindi non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, 1 comma, n. 4, c.p.c., sollevata in riferimento agli art. 24 e 111 Cost. Corte cost. 23 dicembre 2005, n. 460 . In conclusione, resta irrilevante la proposta questione di legittimità costituzionale nel giudizio di impugnazione della sentenza emessa in sede di opposizione, ove sia mancata l'istanza di ricusazione, secondo il principio più volte affermato Cass. 5 maggio 2010, n. 10900 9 luglio 2005, n. 14471 6 settembre 2004, n. 17961 1 luglio 2004, n. 12029 13 aprile 2004, n. 7002 27 febbraio 2004, n. 3974 23 ottobre 1998, n. 10527 . Lo stesso principio, giova ricordare, questa Corte ha ribadito con riguardo ad altri procedimenti Cass. 5 luglio 2013, n. 16861 e 8 giugno 2007, n. 13433, in tema di revocazione 16 novembre 2012, n. 20149 ord. 31 marzo 2011, n. 7545, 4 giugno 2008, n. 14807 e 14 luglio 2006, n. 16119, con riguardo al giudizio d'appello 12 novembre 2009, n. 23930 28 marzo 2007, n. 7578 29 marzo 2007, n. 7702 . 4. - Il terzo motivo è inammissibile. Esso verte sulla sussistenza dello stato d'insolvenza, con esposizione degli elementi di fatto che si debbono all'uopo valutare e sulla base della documentazione prodotta anche in questo grado. Il motivo, pertanto, pur enunciato sotto il profilo della violazione dell'art. 5 l.f., propone in realtà una denunzia di vizio di motivazione, tale dovendosi ritenere la censura relativa all'omessa o inadeguata considerazione di uno o più elementi di prova. Occorre allora rilevare la sostanziale inammissibilità della stessa impostazione delle censure, laddove sono intese a far valere la non condivisibilità della valutazione della corte d'appello e non già l'insufficienza della motivazione. Mentre, come è noto, non è necessario che siano prese in considerazione tutte le argomentazioni svolte dalle parti, per confermarle o confutarle, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse Cass., 2 febbraio 2007, n. 2272 ed altre . 5. - Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.