Lodo arbitrale: la pronuncia di mero rito non esaurisce la potestas iudicandi degli arbitri

In tema di arbitrato rituale, una pronuncia di mero rito non esaurisce la potestas iudicandi degli arbitri, che si fonda sulla validità ed efficacia della convenzione arbitrale, e non preclude quindi, la promozione di un nuovo procedimento, avente il medesimo oggetto, vigendo nella giustizia arbitrale, sostitutiva di quella ordinaria, il medesimo principio generale, in virtù del quale le parti hanno diritto ad ottenere una decisione di merito ove ciò sia giuridicamente possibile, come si desume sia dalla legge n. 25/1994, sia dal d.lgs. n. 40/2006.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 3108, depositata il 17 febbraio 2015. Tra i temi trattati in sentenza vi è quello relativo alla potesta iudicandi degli arbitri in caso di pronuncia di mero rito. Il fatto. Con lodo rituale il collegio arbitrale, territorialmente competente, in accoglimento della domanda proposta dal richiedente, condannava il beneficiario delle prestazioni professionali rese in forza di una convenzione al pagamento in suo favore della somma di denaro pattuita oltre accessori ed interessi. Parte soccombente, adita la Corte di Appello territorialmente competente, impugnava detto lodo, premettendo che già in precedenza il professionista ricorso ad arbitri per il pagamento della medesima prestazione professionale e che tale giudizio era stato definito con declaratoria di non luogo a provvedere per la mancata articolazione delle domande che il Tribunale adito, inoltre, con sentenza, si era dichiarato incompetente, stante la competenza arbitrale ex art. 13 della predetta convenzione che infine, proposto regolamento di competenza, quest’ultimo veniva respinto con sentenza dal Supremo Collegio. La Corte di Appello, pertanto, dichiarava la nullità del lodo, compensando le spese. Il professionista proponeva ricorso per Cassazione. Preclusione della pronuncia di merito sulla potestas iudicandi degli arbitri. In particolare, la Corte di merito aveva ritenuto che ai sensi e per gli effetti dell’art. 829, n. 8, c.p.c. a norma del quale l’impugnazione per nullità è ammessa se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento , la prima pronuncia arbitrale di non luogo a provvedere, in esito al giudizio instaurato dal professionista, avesse valenza preclusiva dell’analoga e successiva domanda. Ne conseguiva perciò, secondo il Collegio, l’esaurimento della funzione e della potestà arbitrale, confermata anche dalla Suprema Corte nella citata sentenza di incompetenza. Tuttavia, il professionista in uno dei motivi di ricorso denuncia che la Corte di merito, sorvolando sulla circostanza che la materia del contendere era rimasta sconosciuta agli arbitri del primo lodo, dichiarava erroneamente l’identità dell’oggetto tra i 2 procedimenti arbitrali e perciò, dichiarava la preclusione del ne bis in idem attraverso il mero richiamo di quanto affermato ad altri fini dalla Cassazione nel regolamento di competenza. Gli Ermellini hanno ritenuto, invece, fondato il motivo di ricorso proposto dal professionista in quanto l’impugnazione del lodo arbitrale dovrebbe ritenersi inammissibile solo ove l’esame dei motivi comporti l’esame del merito della controversia. Inoltre, il non luogo a provvedere reso dalla Corte di Appello non può essere considerato come accertamento negativo del diritto della parte ad ottenere il pagamento pattuito per la prestazione professionale come da convenzione. Non vi è, pertanto, alcun giudicato tale da precludere il diritto di azione ad ottenere il pagamento del compenso pattuito. Concludendo. Pertanto, sulla stregua di quanto ritenuto dai giudici di legittimità è possibile affermare che nella specie il lodo del 1983 non ha inciso in alcun modo, né tanto meno consumato il diritto di azione della parte la quale ha legittimamente provveduto ad incardinare il secondo giudizio arbitrale. Sarebbe, infatti, stata una contraddizione in termini riferire la preclusione alla pronuncia arbitrale che si era limitata semplicemente a rilevare l’inesistenza di ogni materia del contendere. Ciò posto, è pacifico ritenere che non vi fosse identità della causa petendi e del petitum tra i 2 procedimento per l’immediato rilievo che per il primo lodo non erano stati fatti valere elementi costitutivi di alcuna domanda.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 novembre 2014 – 17 febbraio 2015, numero 3108 Presidente Luccioli – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo Con lodo rituale del 16/10/2003, il Collegio arbitrale insediato in Melfi, in accoglimento della domanda proposta dall'ing. D.C.R. , condannava C.G.D. al pagamento della somma di Euro 7958,77, oltre accessori ed interessi, per le prestazioni professionali rese in forza della convenzione del 28/3/1976 a favore dell'associazione non riconosciuta Consorzio Campo Madonnina, nel cui nome e per conto del quale aveva agito il consorziato. Il C. impugnava detto lodo premetteva che già in precedenza, il 21/7/1981, il D.C. aveva adito gli arbitri per il pagamento della medesima prestazione professionale e che tale giudizio era stato definito il 27/1/1983, con declaratoria di non luogo a provvedere, per la mancata articolazione di domande che il Tribunale di Melfi, adito dal D.C. , con sentenza numero 366 del 1999, si era dichiarato incompetente, stante la competenza arbitrale, ex articolo 13 della convenzione del 28/3/1976 che il regolamento di competenza, proposto dal D.C. , era stato respinto dal Supremo collegio con la sentenza numero 890 del 2001, ritenendosi che il Collegio arbitrale avesse proceduto ad una valutazione sostanziale dei termini della lite, sia pure in senso negativo, ritenendo, quindi, di avere definitivamente esaurito ogni suo potere in ordine alla decisione della controversia . Ciò posto, il C. denunciava la violazione degli artt. 829 numero 8 c.p.c. e dell'articolo 13 della convenzione del 28/3/1976, sostenendo che il lodo del 27/1/1983 si era consolidato, a seguito della pronuncia del S.C. del 2001 che gli arbitri avevano omesso la motivazione sul punto decisivo dell'essere stato il C. convenuto avanti al Collegio arbitrale nella qualità, inesistente, di soggetto agente in nome e per conto del Consorzio Campo Madonnina che da ciò conseguivano gli ulteriori motivi di impugnazione, relativi alla nomina di arbitro da parte del C. e non già del Consorzio, ed all'asserita qualità del primo di mandatario degli altri associati, che non gli avrebbe comunque consentito di compromettere in arbitrato, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione. Nel merito, il C. deduceva l'inutilità delle prestazioni rese dal D.C. , atteso che la zona era completamente disciplinata dagli strumenti urbanistici e che questi, una volta presentato il progetto di massima, si sarebbe dovuto astenere da ogni successiva attività se non previa approvazione del primo elaborato. Il D.C. si costituiva, ed eccepiva l'infondatezza della impugnazione. La Corte d'appello di Potenza, con sentenza del 9-17 giugno 2009, ha dichiarato la nullità del lodo, compensando le spese. Nello specifico, la Corte del merito ha accolto il primo, il terzo ed il quarto motivo dell'impugnazione, ritenendo che la pronuncia arbitrale di non luogo a provvedere del 27/1/1983, in esito al giudizio instaurato dal D.C. nei confronti di tutti i contraenti, aveva valenza preclusiva dell'analoga successiva domanda ai sensi dell'articolo 829 numero 8 c.p.c., da cui l'esaurimento della funzione e della potestà arbitrale, come evidenziato dalla Corte di cassazione nella pronuncia 890 del 2001, anche a prescindere dal giudicato formale e sostanziale relativamente ad ogni pretesa di pagamento a seguito di detta pronuncia il C. era stata convenuto quale soggetto agente in nome e per conto del Consorzio, ma tale qualità, non altrimenti comprovata in atti, ostava all'applicazione dell'articolo 13 della convenzione, al quale erano estranee soggettività diverse dal Consorzio ed infatti, se il Consorzio, come pacifico, aveva cessato di esistere stante il raggiungimento dello scopo, si doveva concludere o per l’impossibilità dell'arbitrato da cui il ricorso alla giustizia ordinaria, o per la necessità di convenire tutti i proprietari, risultando in ogni caso impensabile che il lodo potesse essere efficace verso i consorziati non partecipanti al giudizio la contestata qualità del C. di mandatario dei consorziati ne inibiva la possibilità di compromettere in arbitrato ex articolo 1708, 2 comma c.c Avverso detta pronuncia ricorre il D.C. , con ricorso affidato a due motivi. All'udienza del 9/12/2010, la Corte ha disposto rinvio per la rinnovazione della notificazione alla parte, essendo deceduto il difensore del C. a detta notifica ha provveduto nel termine il ricorrente. Il C. si è difeso con controricorso. Motivi della decisione 1.1.- Nel primo complesso motivo, il ricorrente articola due censure tendenti a far valere il vizio ex articolo 360 numero 3 c.p.c., corredate dal relativo quesito di diritto, necessario ex articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis , mentre il richiamo al vizio di motivazione resta meramente enunciato nella rubrica del motivo ove proposto, peraltro, dovrebbe rilevarsi l'inammissibilità per la carenza del necessario momento di sintesi, omologo del quesito di diritto . Il ricorrente, sotto il primo profilo, denuncia che la Corte del merito, invertendo l'ordine logico delle fasi del giudizio di impugnazione ex articolo 829 c.p.c., apoditticamente aderendo alla tesi del C. e sorvolando sulla circostanza che la materia del contendere era rimasta sconosciuta agli arbitri del lodo del 27/1/1983, ha dichiarato l'identità dell'oggetto tra i due procedimenti arbitrali pervenendo a costruire la preclusione del ne bis in idem attraverso il mero richiamo di quanto affermato ad altri fini dalla Cassazione nel regolamento di competenza. Secondo la parte, come evidenziato nel quesito di diritto, dovrebbe ritenersi inammissibile l'impugnazione del lodo ove l'esame dei motivi comporti l'esame del merito della controversia senza aver prima esaurito la fase del judicium rescindens , attinente alla verifica della sussistenza dei profili di nullità del lodo. Nella seconda parte del primo motivo, il ricorrente censura la statuizione della Corte d'appello, secondo cui il non luogo a provvedere del 27/1/1983 conterrebbe l'accertamento negativo del diritto della parte ad ottenere il pagamento pattuito per la resa prestazione professionale come da incarico del 28/3/1976, sottoscritto dalle parti, da cui la formazione del giudicato tale da precludere il diritto di azione ad ottenere il pagamento del compenso. Sostiene il D.C. che il provvedimento di non luogo a provvedere va equiparato all'ordinanza di estinzione del processo ex articolo 306 c.p.c., con effetto relativo a quel singolo procedimento arbitrale, e che la Corte d'appello ha erroneamente inteso il passaggio motivazionale della sentenza della Cassazione del 2001 come qualificazione del lodo del 27/1/1983 al pari di una decisione di merito, avente ad oggetto l'accertamento negativo del diritto. 1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente si duole della pronuncia impugnata, per avere la Corte d'appello ritenuto il vizio di costituzione del Collegio arbitrale, stante la nomina di uno degli arbitri da parte del singolo consorziato e non del Consorzio, ai sensi dell'articolo 13 della convenzione. Anche per il secondo motivo vale il rilievo sopra svolto, in relazione al riferimento anche al vizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c., meramente enunciato nella rubrica. Il D.C. deduce di essere stato convenuto in giudizio non come legale rappresentante del Consorzio, ma come consorziato dell'associazione non riconosciuta Consorzio Campo Madonnina , che aveva agito in detta qualità, come riconosciuto dagli Arbitri sostiene che la clausola compromissoria, come già affermato dal S.C. nella pronuncia sul regolamento di competenza, giustificava l'applicazione di un meccanismo binario, da cui la valida nomina del proprio arbitro da parte del singolo consorziato e quindi la legittima costituzione del Collegio arbitrale, ininfluente essendo il mero dato di fatto della cessazione del Consorzio. Il ricorrente infine sostiene che i singoli firmatari/proprietari sono solidalmente responsabili verso la parte, ma non sono litisconsorti necessari, da cui, l'irrilevanza della qualificazione del C. come mandatario dei consorziati. 2.1.- Il primo motivo, le cui due censure sono sostanzialmente esaminabili congiuntamente in quanto strettamente collegate, è da ritenersi fondato, nei limiti e per le ragioni di seguito esposta. Deve premettersi che alla fattispecie si applica, ratione temporis il procedimento di cui si tratta è iniziato con la richiesta di arbitrato del 31/1/2003, e si è esaurito sempre nel 2003 , la disciplina di cui alla l. 25/1994, entrata in vigore il 17 aprile 1994, e non incidono né le disposizioni transitorie di cui alla l. numero 25 cit., articolo 27, né la disciplina transitoria di cui al d.lgs. 40/2006, articolo 27, commi 3 e 4. È viziata ex articolo 360 numero 3 c.p.c. la pronuncia impugnata, per avere ritenuto sussistente il vizio del lodo ex articolo 829 numero 8 c.p.c., come denunciato dal C. , sul rilievo della contrarietà del lodo impugnato al precedente lodo del 1983, di declaratoria di non luogo a provvedere sulla richiesta del D.C. di pagamento delle prestazioni professionali rese in adempimento della convenzione del 28/3/1976. Come affermato, con ampia motivazione, nella recente pronuncia 25735/2013, in tema di arbitrato rituale, una pronuncia di mero rito non esaurisce la potestas iudicandi degli arbitri, che si fonda sulla validità ed efficacia della convenzione arbitrale, e non preclude, quindi, la promozione di un nuovo procedimento, avente il medesimo oggetto, vigendo nella giustizia arbitrale, sostitutiva di quella ordinaria, il medesimo principio generale, in virtù del quale le parti hanno diritto ad ottenere una decisione di merito ove ciò sia giuridicamente possibile, come si desume sia dalla legge 5 gennaio 1994, numero 25, sia dal d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40. La fattispecie esaminata da detta pronuncia è esattamente sovrapponibile al caso in oggetto, nel quale gli Arbitri nel lodo del 1983 si sono espressi per il non liquet , rilevando la decorrenza del termine prefissato per la pronuncia del lodo, nella totale inerzia delle parti, che non avevano articolato alcuna domanda, di talché rimaneva precluso, agli stessi la cognizione della materia del contendere. Sostanzialmente, il lodo del 1983 non ha inciso in alcun modo né tanto meno consumato il diritto di azione della parte, che pertanto ha provveduto ad incardinare il secondo giudizio arbitrale. D'altra parte, è di per sé una contraddizione in termini riferire la preclusione alla pronuncia arbitrale che si era limitata a rilevare l'inesistenza di ogni materia del contendere, di talché non si potrebbe in alcun modo ritenere l'identità della causa petendi e del petitum tra i due procedenti, per l'immediato rilievo che per il primo lodo non erano stati fatti valere elementi costitutivi di alcuna domanda. 2.2.- Il secondo motivo è fondato, per quanto di seguito rilevato. Il C. ha fatto valere il terzo e quarto motivo di impugnazione avanti alla Corte d'appello, ex articolo 829 numero 2 c.p.c. nullità relativa alla nomina degli arbitri , nella situazione in fatto in cui, proposta dal D.C. domanda di arbitrato nei confronti del solo C. , come soggetto consorziato che aveva agito in nome e per conto del Consorzio, questi aveva nominato il proprio arbitro. Ciò posto, vi sarebbe già da rilevare la carenza di interesse della parte a far valere la nullità della nomina del proprio arbitro, e in ogni caso. Xè dirimente il rilievo che, dato impulso al procedimento arbitrale dal D.C. con la notifica della nomina del proprio arbitro e l'invito alla nomina dell'arbitro al C. , toccava a questo nominare il proprio arbitro, come effettivamente nominato, in quanto controparte nel giudizio arbitrale. 3.1.- Conclusivamente, va accolto il ricorso e, cassata la sentenza impugnata, va rinviata la causa alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione, che proseguirà nella valutazione del giudizio di impugnazione del lodo attenendosi a quanto sopra rilevato, ed a cui si rinvia anche la decisione sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.