Errore causato dal giudice: le conseguenze non possono essere scaricate sulla parte incolpevole

Il principio del giusto processo richiede che le regole processuali siano interpretate e applicate in modo da assicurare l’efficienza della Giustizia e l’accessibilità del giudice in un quadro di trasparenza e prevedibilità del modo di esercizio e di svolgimento della funzione giurisdizionale. Questo principio, però, non tollera una decisione a sorpresa di inammissibilità dell’attività compiuta dalla parte, se essa deriva dalle disposizioni prescritte dallo stesso giudice in sede di adozione di un provvedimento interlocutorio di direzione pratica del processo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1800, depositata il 2 febbraio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, condannava un uomo al pagamento di una somma di denaro a favore di un avvocato per le prestazioni professionali svolte. Secondo i giudici, il convenuto era incorso in decadenza con riguardo alla proposizione dell'eccezione di prescrizione del diritto vantato, avendola sollevata solo nella memoria di cui all'art. 183 c.p.c. e non nel termine di 20 giorni antecedente alla prima udienza di trattazione come prescritto dall'art. 180, comma 2, c.p.c Era, quindi, irrilevante che il giudice di primo grado avesse rifiutato di concedere quest’ultimo termine. Il convenuto ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver esteso il principio dell’irrilevanza dell’omessa assegnazione del termine ex art. 180, comma 2, c.p.c. al caso di specie, completamente diverso, in cui la concessione di tale termine era stata esclusa in maniera espressa e motivata dal tribunale, il quale aveva affermato che la decadenza si sarebbe compiuta solo con la prima memoria di cui all'art. 183 c.p.c Perciò, se la parte adegua il proprio comportamento a quanto disposto dal giudice nell’esercizio del potere-dovere di direzione del procedimento, non può poi rispondere degli errori compiuti. Errore del giudice. La Corte di Cassazione rileva che i giudici di primo grado avevano affermato che l'art. 183 c.p.c. consente ad entrambe le parti di proporre eccezioni nuove depositando la memoria nel primo termine perentorio visto che il legislatore non menziona le eccezioni precedentemente svolte dalle parti nei termini - eventualmente concessi - di cui all'art. 180 c.p.c. . Perciò, secondo il tribunale, la conclusione plausibile cui sembra potersi pervenire è che le eccezioni previste per il solo convenuto nell'art. 180 c.p.c. siano le stesse che quel convenuto potrà poi proporre nella prima memoria dell'art. 183 c.p.c. . Di conseguenza, il convenuto non poteva essere poi dichiarato decaduto dal formulare le eccezioni in senso stretto, che aveva sollevato non nel termine di legge, ma in un momento successivo, come richiesto dallo stesso tribunale. Legittimo affidamento. Gli Ermellini ricordano che il principio del giusto processo richiede che le regole processuali siano interpretate e applicate in modo da assicurare l’efficienza della Giustizia e l’accessibilità del giudice in un quadro di trasparenza e prevedibilità del modo di esercizio e di svolgimento della funzione giurisdizionale. Questo principio, però, non tollera una decisione a sorpresa di inammissibilità dell’attività compiuta dalla parte, se essa deriva dalle disposizioni prescritte dallo stesso giudice in sede di adozione di un provvedimento interlocutorio di direzione pratica del processo. Verrebbe, altrimenti, violato il legittimo affidamento nella correttezza della soluzione indicata dal giudice medesimo. L’indicazione da parte del giudicante esclude anche ogni colpevolezza da parte del difensore, che avrebbe comunque dovuto conoscere e rispettare la previsione normativa. L’omissione, infatti, avrebbe causa esclusivamente nella regola direttiva del processo. Perciò, nel caso di specie, i giudici d’appello avrebbero dovuto considerare tempestivamente proposta l’eccezione di prescrizione prodotta nella memoria, non applicando, quindi, la decadenza per mancata osservanza del termine ex art. 180 c.p.c. per sollevare le eccezioni in senso stretto. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione alla Corte d’appello di Cagliari.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 dicembre 2014 – 2 febbraio 2015, n. 1800 Presidente Luccioli – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza del 24 marzo 2009, in riforma della pronuncia del tribunale della stessa città, ha condannato A. O. al pagamento della somma di e 200.000,00, oltre interessi legali dalla domanda, in favore dell'avv. G. M., in proprio e quale legale rappresentante dell'omonimo studio legale associato, a titolo di compenso per le prestazioni professionali svolte dall'avv. B. M Ha ritenuto infatti la Corte del merito a che fosse errata la decisione del tribunale di difetto di legittimazione attiva dell'avv. G. M., posto che l'avv. B. M., della cui prestazione professionale si tratta, era receduto dall'associazione, trasferendo alla stessa tutti i crediti derivanti dagli incarichi svolti b che il convenuto fosse incorso in decadenza con riguardo alla proposizione dell'eccezione di prescrizione del diritto vantato, avendola sollevata solo nella memoria di cui all'art. 183 c.p.c. e non nel termine di venti giorni antecedente alla prima udienza di trattazione come prescritto dall'art. 180, secondo comma, c.p.c., a nulla rilevando che il giudice del primo grado avesse rifiutato di concedere quest'ultimo termine, proprio argomentando dalla proponibilità dell'eccezione in detta memoria c che dovesse, quindi, essere revocata l'ordinanza di rimessione in termini emessa dalla corte d'appello in data 25 giugno 2008. Propone ricorso A. O., affidato a due motivi. Resiste con controricorso G. M., illustrato anche da memoria. Motivi della decisione I. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la falsa applicazione dell'art. 180 c.p.c., in relazione all'art. 175 c.p.c., per avere la corte d'appello esteso il principio dell'irrilevanza dell'omessa assegnazione del termine ex art. 180, secondo comma, c.p.c. secondo cui l'omissione è sanata ove tra l'udienza di prima comparizione e la prima udienza di trattazione siano decorsi i venti giorni alla fattispecie, affatto diversa, dell'espressa e motivata esclusione della concessione di quel termine, avendo il giudice di primo grado affermato che la decadenza si sarebbe compiuta solo con la prima memoria di cui all'art. 183 c.p.c. conclusione che non si concilia con il potere-dovere di direzione del procedimento dalla legge riconosciuto al giudice, né con la regola di civiltà secondo cui, ove la parte conformi il suo comportamento a quanto disposto dal giudice nell'esercizio di tale potere, non può poi rispondere degli errori in cui questi sia eventualmente incorso. Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 184-bis c.p.c. ratione temporis vigente , perché, in ogni caso, il ricorrente era decaduto dal potere di sollevare eccezioni per causa a lui non imputabile, essendosi egli doverosamente attenuto a quanto disposto dal giudice istruttore. 2. - I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono fondati. È vero che costituisce principio consolidato quello, richiamato dalla sentenza impugnata, secondo cui allorché il giudice istruttore ometta di concedere il termine di venti giorni previsto dal secondo comma dell'art. 180 c.p.c. - nel sistema di cui alla l. 20 dicembre 1995 n. 534, di conversione del d.l. 18 ottobre 1995 n. 432 - il vizio del procedimento è sanato qualora tra l'udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge, onde il convenuto decade dalle eccezioni tardivamente proposte fra le altre, 3 settembre 2014, n. 18583 6 giugno 2011, n. 12242 27 febbraio 2007, n. 4448 18 aprile 2006, n. 8938 11 novembre 2005, n. 22900 27 maggio 2005, n. 11318 6 luglio 2004, n. 12314 29 ottobre 2001, n. 13414 . La fissazione di quel termine, da parte del giudice istruttore, potrebbe addirittura essere considerata superflua, posto che il relativo diritto del convenuto deriva comunque dal sistema della legge. La lettera della norma, secondo cui In ogni caso [il giudice istruttore] fissa a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio , palesa invero che la fissazione di quel termine è doverosa e prescinde dall'istanza di parte in ogni caso onde è giocoforza ritenere sia che quel termine non potrebbe mai essere negato, sia che l'omissione della sua fissazione non influenza il potere di sollevare le eccezioni, sia che, a questo punto, resta irrilevante la concessione o no di quel termine, purché vi sia materialmente il lasso di tempo necessario per formulare venti giorni prima della successiva udienza le dette eccezioni dunque con esclusione in radice, in caso di omissione della concessione di quel termine e alla detta condizione, di qualsiasi vizio procedimentale al riguardo . Ma - si discorra di un vizio procedimentale sanato, oppure della radicale insussistenza ab origine del vizio procedimentale - non è quello il caso di specie. Come risulta dall'esame degli atti del giudizio, consentito in ragione della natura del vizio denunziato, il tribunale non omise semplicemente di assegnare il termine di legge, ma, con ordinanza riservata pronunciata dopo l'udienza di prima comparizione, affermò che l'art. 183 c.p.c. consente ad entrambe le parti di proporre eccezioni nuove depositando la memoria nel primo termine perentorio visto che il legislatore c non menziona le eccezioni precedentemente svolte dalle parti nei termini - eventualmente concessi - di cui all'art. 180 c.p.c. . Onde la conclusione plausibile cui sembra potersi pervenire è che le eccezioni previste per il solo convenuto nell'art. 180 c.p.c. siano le stesse che quel convenuto potrà poi proporre nella prima memoria dell'art. 183 c.p.c. . Tanto basta per ritenere che, a tutela dell'affidamento della parte, il convenuto non potesse poi essere dichiarato decaduto dal formulare le eccezioni in senso stretto, che proprio in ottemperanza dell'ordinanza istruttoria egli aveva sollevato non nel termine di legge, ma in un momento successivo, rappresentato dalla memoria depositata nel termine concesso alla prima udienza di trattazione, come lo stesso giudice aveva richiesto. È noto come l'esigenza di temperare, alla stregua del valore superiore del giusto processo, le decadenze in cui la parte sia incorsa facendo affidamento su di un orientamento del giudice stia alla base del c.d. principio del prospective overruling, o applicazione solo per il futuro del nuovo approdo, con il quale si intende circoscrivere, mediante il mezzo ritenuto congruo allo specifico caso, l'effetto retroattivo del mutamento di giurisprudenza repentino e non prevedibile, a fronte di un orientamento consolidatosi nel tempo del pregresso indirizzo su norma processuale, qualora ne consegua la preclusione del diritto di azione o di difesa della parte per l'incidenza sulla tempestività dell'atto compiuto sussistente in base alla giurisprudenza overruled, ma venuta meno a seguito della mutata esegesi . Di ciò, vari esempi possono portarsi nella giurisprudenza di questa Corte fra cui Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144, la quale rispose negativamente alla questione se il sopravvenuto mutamento di esegesi della norma processuale di riferimento possa comportare la tardività di un ricorso, altrimenti tempestivo alla stregua del diverso diritto vivente alla data della sua proposizione ord. 20 giugno 2012, n. 10224, sul rilievo dell'incompetenza in tema di azione ai sensi della legge n. 117 del 1988 che si risolve in una pronuncia di inammissibilità 17 maggio 2012, n. 7755, sui presupposti di applicazione della tutela, reale o obbligatoria, al licenziamento illegittimo 27 dicembre 2011, n. 28967, in materia di licenziamento Cass., ord. 2 luglio 2010, n. 15811 e 17 giugno 2010, n. 14627, in tema di impugnabilità per cassazione di provvedimenti relativi a compensi liquidati a consulenti in sede penale, nelle forme non più del rito penale, bensì di quello civile . In particolare, poi, questa Corte - in presenza, appunto, di un fuorviante provvedimento giudiziario - ha cassato la sentenza, la quale aveva finito per riversarne le conseguenze sulla parte incolpevole, perché indotta in errore stabilendo che il giudice d'appello, il quale abbia ordinato la rinnovazione della notifica del gravame con prescrizioni rivelatesi erronee, non può dichiarare inammissibile l'impugnazione, ma deve revocare l'ordinanza e concedere nuovo termine di notifica Cass. 12 maggio 2014, n. 10273 . Ciò in una fattispecie, del tutto similare alla presente, in cui la specifica attività processuale viziata era stata disposta o autorizzata dal giudice il quale, allora, al momento della decisione della causa, non avrebbe poi potuto ritenere invalida la notificazione rinnovata secondo le modalità da lui stesso suggerite. Come, invero, sì afferma in tale pronuncia, Il principio del giusto processo articolo 111 Cost. articolo 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali richiede infatti che le regole processuali siano interpretate, ed applicate, in modo da assicurare l'efficienza del servizio giustizia, ma anche l'accessibilità del giudice in un quadro di trasparenza e prevedibilità del modo di esercizio e di svolgimento della funzione giurisdizionale . Al contrario, detto principio non tollera una decisione a sorpresa di inammissibilità dell'attività compiuta dalla parte, derivante dalle disposizioni dal giudice stesso precedentemente prescritte in sede di adozione, nel corso del medesimo procedimento . , di un provvedimento interlocutorio di direzione pratica del processo la quale violerebbe il legittimo affidamento nella correttezza della soluzione indicata non da altri che dal giudice medesimo, nel suo provvedimento direttivo del processo così ancora Cass. 12 maggio 2014, n. 10273 . Tale principio si intende nella fattispecie in esame ribadire. Né potrebbe dirsi che, in quanto norma di legge, quella previsione avrebbe comunque dovuto essere conosciuta e rispettata dal difensore della parte, nonostante la diversa indicazione del giudicante perché quest'ultima è invece tale - proprio in un ordinamento che voglia conservare la fiducia nei componenti dell'ordinamento giudiziario e l'autorità dei loro provvedimenti - da escludere ogni colpevolezza di quell'omissione, cagionata, quale fattore causale a questo punto eziologicamente esclusivo ed impediente la preclusione, dalla regola direttiva del processo, impartita dall'unico soggetto cui la legge tale potere-dovere attribuiva. Quanto, poi, al mezzo per realizzare il bilanciamento dei valori in gioco, questo va modulato - come, ai fini dei limiti all'overruling, ha chiarito la menzionata sentenza delle Sezioni unite n. 15144 del 2011 - in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate. In sostanza, in tali evenienze le strade percorribili, per non frustrare l'affidamento della parte, potrebbero essere in astratto le seguenti o quella di considerare senz'altro - laddove venga in rilievo, come nella specie, un problema di tempestività dell'atto sussistente in base alla interpretazione e al dictum originario del giudice, ma non in forza della più diffusa esegesi della norma - non operante la preclusione incolpevolmente maturata per la parte che abbia confidato nell'ordinanza del giudice ex art. 175 c.p.c., così attuandosi il valore del giusto processo in via immediata o la revoca del precedente erroneo provvedimento, se da ciò possa derivare la tutela della posizione pregiudicata oppure individuare nella rimessione in termini, prevista ratione temporis dall'art. 184-bis c.p.c., ora dall'art. 153 c.p.c., lo strumento processuale a mezzo del quale realizzare la tutela della parte. Nella specie, avrebbe dunque dovuto considerarsi, ad opera del giudice d'appello posto che quello di primo grado non aveva più esaminato la questione ravvisando un difetto di legittimazione attiva all'azione , l'eccezione di prescrizione tempestivamente proposta nella memoria di cui all'art. 183 c.p.c., non operando nei confronti della parte indotta in errore ad opera del giudice, ed in ottemperanza alle sue disposizioni, la decadenza per mancata osservanza del temine ex art. 180 c.p.c. per sollevare le eccezioni in senso stretto. 3. - Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio della causa innanzi alla Corte d'appello di Cagliari, in diversa composizione, perché applichi il principio enunciato e provveda anche alle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Cagliari, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.