La dichiarazione di estinzione processuale in Cassazione può avvenire tramite ordinanza

In tema di dichiarazione di estinzione a seguito di rinuncia”, la forma è la sentenza nell'ipotesi in cui siano da decidere altri ricorsi con lo stesso provvedimento in caso contrario, è il decreto ma se quest'ultimo non riporta la condanna alle spese, tale provvedimento deve considerarsi non conclusivo del processo di Cassazione . Tuttavia, nel silenzio della legge, si deve ritenere che, nel caso in cui vi siano altri ricorsi da decidere e per essi ricorrano le ipotesi di cui all'art. 375 c.p.c. e, dunque, per la decisione in Camera di Consiglio, sia possibile decidere con il procedimento di cui all'art. 380- bis c.p.c. e, quindi, in camera di consiglio con un'unitaria ordinanza, che dichiari l'estinzione per rinuncia sul ricorso rinunciato e decida con l'applicazione dell'ipotesi di cui all'art. 375 c.p.c. ritenuta congrua per gli altri ricorsi.

Pertanto, ove la rinuncia avvenga nelle more del procedimento di decisione in udienza pubblica prima dell'inizio della relazione, ove la si faccia nelle more dello svolgimento del procedimento di decisione in Camera di Consiglio e ove la si faccia nelle more del procedimento prima che siano notificate le conclusioni scritte del pm, la forma del procedimento può essere convenuta nell'ordinanza, trattandosi di provvedimento collegiale. Qualora, però, il Presidente non ravvisi di poter pronunciare il decreto di dichiarazione dell'estinzione per rinuncia, pur non ricorrendo l'ipotesi che debbano decidersi altri ricorsi, sembra obbligatoria la fissazione dell'udienza. Tutto ciò emerge dalla sentenza n. 19980/14 della Corte di Cassazione, depositata il 23 settembre scorso. Il caso. L'Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione avverso la sentenza di appello della Commissione Tributaria Regionale di Firenze che accoglieva il ricorso incidentale dei contribuenti intimati, ritenendo illegittimi i tre avvisi di accertamento emessi nei confronti di ciascuno di essi a titolo di imposta dovuta in relazione alla maggiore plusvalenza realizzata con riguardo alla cessione di pacchetti azionari di due società di capitali, s.p.a. e s.r.l., avvenuta con una scrittura privata autenticata dal notaio difatti, l'Ufficio della Commissione Tributaria Provinciale di Prato non aveva fornito alcuna prova del pagamento di corrispettivi in misura superiore a quella indicata nell'atto. Nella pendenza del ricorso dinanzi alla Corte veniva dichiarato che il contribuente aveva provveduto al versamento di tutte le somme dovute e l'Avvocatura Generale dello Stato, quale difensore dell'Agenzia delle Entrate, faceva di conseguenza richiesta di estinzione del giudizio il Presidente titolare della sezione tributaria della Corte, con decreto emesso ai sensi dell'art. 391, comma 1, c.p.c., dichiarava quindi estinto il processo di Cassazione per compensazione delle spese, con una particolarità tale decreto era formalmente pronunciato fra la ricorrente principale e tutti i contro-ricorrenti e ricorrenti incidentali, ma nella motivazione si faceva riferimento alla premessa dell'istanza della difesa erariale riferendola al contribuente”. Errata dichiarazione di estinzione per intervenuto condono? Con atto depositato, l'Agenzia delle Entrate proponeva, ai sensi dell'art. 391, comma 3, c.p.c., istanza di fissazione dell'udienza per la trattazione del ricorso, previa revoca del decreto dichiarativo dell'estinzione, adducendo che, per mero errore, era stata chiesta l'estinzione dell'intero processo, mentre, in realtà, l'attestazione di regolarità dell'espletamento del condono a seguito dell'istanza di definizione della controversia, riguardava solo uno dei tre avvisi di accertamento oggetto della controversia stessa. A seguito dell'istanza, la Sezione Tributaria di Cassazione fissava l'udienza di trattazione, rimettendo poi gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, assumendo che a sussisteva un contrasto rilevante di giurisprudenza sulla possibilità di dar corso alla trattazione del ricorso, in ordine alla natura, se perentoria ovvero ordinatoria del termine di cui dell'art. 391, comma 3, c.p.c. b la vicenda evidenziava una questione di massima di particolare importanza, in quanto incidente sul contenzioso scaturente dall'errata dichiarazione di estinzione per intervenuto condono. Per la dichiarazione di estinzione a seguito di rinuncia, la forma è la sentenza. Chiamate le Sezioni Unite, così si sono pronunciate. L'ordinanza ha evidenziato che sussiste un orientamento secondo il quale, a seguito della pronuncia del decreto del Presidente, di cui all'art. 391 c.p.c., l'inutile decorso del termine di cui al comma 3 comporta l'inammissibilità di un'istanza di fissazione dell'udienza che, se proposta, dev'essere dichiarata comunque tardiva ciò comporta che la ripresa del processo di Cassazione non può avere luogo e quindi il termine è a pena di decadenza. Un altro orientamento rileva la natura del termine non impugnatorio e meramente sollecitorio. A seguito delle riforme del 2001 e del 2006, l'articolo in esame è stato modificato nel primo comma, abbracciando ipotesi prima escluse in particolare, la varietà dei modi di verificazione delle ipotesi di estinzione del processo di Cassazione diversi dalla rinuncia induce a domandarsi se il legislatore lasciando immodificato l'art. 375 c.p.c. abbia inteso assegnare alle due previsioni un contenuto diverso. In termini letterali dire casi di estinzione disposti dalla legge potrebbe avere un significato diverso dalla formula usata nel n. 3 dell'art. 375 c.p.c., relativa all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia. Si potrebbe pensare, in fatti, che con la prima espressione, il legislatore abbia inteso riferirsi solo alle ipotesi in cui l'effetto estintivo è disposto direttamente dalla legge e non anche alle ipotesi non automatiche. A parere della Corte adita, la formula casi di estinzione disposta per legge dev'essere considerata comprensiva sia dei casi di estinzione disposti direttamente dalla legge senza necessità di comportamenti diretti ad integrare la fattispecie estintiva, sia di quelli in cui tali comportamenti siano necessari. Ciò anche considerando che la norma usa la preposizione per” e non quella dalla”, che sarebbe stata più idonea a rivelare la limitazione soltanto ai primi dunque, deve escludersi che nella species del ricorso in esame ricorra un'ipotesi di estinzione in relazione alla quale il potere di decidere con il decreto presidenziale non sussiste nemmeno in astratto e deve affermarsi il principio di diritto secondo cui l'art. 391, comma 1, c.p.c., quando allude ai casi di estinzione del processo disposti dalla legge si riferisce sia alle ipotesi di norma di legge direttamente dispositiva dell'estinzione, sia alle ipotesi di norma che prevede l'effetto estintivo sulla base del verificarsi all'esterno del processo di Cassazione di determinati fatti che poi debbono in essi essere rappresentati e fatti constare. Deve, inoltre, ritenersi che in presenza di una fattispecie estintiva del processo di Cassazione ricollegata al verificarsi al di fuori del processo di determinati presupposti indicati dalla legge, il deposito in sede di legittimità di un'istanza accompagnata da idonei documenti, debba essere preceduto da un'attività della parte che vuole eseguire il deposito di notificazione alle altre parti costituite dall'elenco dei documenti depositati in funzione di detta istanza. Stesso percorso argomentativo tocca all'art. 391, comma 3, c.p.c., ricostruendo di fatto la pronuncia del decreto presidenziale e le conseguenze della inosservanza del termine previsto nella norma in esame. In particolare, si rileva che per la dichiarazione di estinzione a seguito di rinuncia, la forma è la sentenza nell'ipotesi in cui siano da decidere altri ricorsi con lo stesso provvedimento in caso contrario, è il decreto. Tuttavia, nel silenzio della legge, si deve ritenere che, nel caso in cui vi siano altri ricorsi da decidere e per essi ricorrano le ipotesi di cui all'art. 375 c.p.c. e, dunque, per la decisione in camera di consiglio, sia possibile decidere con il procedimento di cui all'art. 380- bis c.p.c. e, dunque, in camera di consiglio con un'unitaria ordinanza, che dichiari l'estinzione per rinuncia sul ricorso rinunciato e decida con l'applicazione dell'ipotesi di cui all'art. 375 c.p.c. ritenuta congrua per gli altri ricorsi. Quindi, ove la rinuncia avvenga nelle more del procedimento di decisione in udienza pubblica prima dell'inizio della relazione, ove la si faccia nelle more dello svolgimento del procedimento di decisione in camera di consiglio e ove la si faccia nelle more del procedimento prima che siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero, la forma del procedimento può essere convenuta nell'ordinanza, trattandosi di provvedimento collegiale. Sempre nel silenzio della legge, qualora il Presidente non ravvisi di poter pronunciare il decreto di dichiarazione dell'estinzione per rinuncia, pur non ricorrendo l'ipotesi che debbano decidersi altri ricorsi, sembra obbligatoria la fissazione dell'udienza. Infine, in riferimento all'esegesi dell'art. 391, comma 3, c.p.c. sulla pronuncia del decreto presidenziale che non riporti la condanna alle spese, tale provvedimento deve considerarsi non conclusivo del processo di Cassazione, pur chiarendo che il termine previsto dalla norma in esame ha carattere perentorio.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 luglio – 23 settembre 2014, n. 19980 Presidente Rovelli – Relatore Frasca