Valida l’impugnazione proposta dal difensore per conto della parte deceduta

Il decesso della parte rappresentata, verificatosi nel corso del giudizio di primo grado e non dichiarato nei modi previsti dall’art. 300 c.p.c., non priva il difensore del potere di proporre gravame avverso la sentenza del Tribunale.

È quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 19887 del 22 settembre 2014. Il caso. Il giudizio trae origine dalla domanda azionata da un uomo al fine di rivendicare i diritti spettanti alla propria genitrice, ormai defunta, sul patrimonio di una società della quale la stessa era stata socia. Al termine del giudizio di primo grado, nel corso del quale interveniva il decesso dell’attore, la domanda veniva respinta per intervenuta prescrizione del diritto. La pronuncia veniva impugnata dal difensore della parte, il quale, sostenendo la tesi dell’ultrattività del mandato difensivo a suo tempo ricevuto, proponeva gravame per conto del de cuius senza curarsi dell’esistenza di eredi. L’appello veniva quindi dichiarato improcedibile perché intentato da un soggetto privo di poteri, con conseguente condanna dell’avvocato alla rifusione delle spese del grado nonché al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 1, c.p.c. Il professionista si rivolge quindi alla Corte di Cassazione, che rimette la causa alle Sezioni Unite. La regola dell’ultrattività del mandato difensivo. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione delle norme nonché dei principi generali in tema di conferimento, validità e ultrattività della procura alle liti. Nello specifico, il professionista sostiene che la morte della parte non produca alcun effetto sul rapporto processuale ove non venga dichiarata o notificata nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., sicché essa, allorché sopravvenga nel corso del giudizio di primo grado, non priva il difensore del potere di proporre validamente impugnazione per la parte deceduta. Si tratta, quindi, della nota questione relativa agli effetti processuali conseguenti al verificarsi di uno degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., ossia la morte o la perdita della capacità della parte o del suo rappresentante legale. Sul tema, le Sezioni Unite si sono già pronunciate nella recente pronuncia n. 15295/2014 , ove è stato ribadito che l’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c. è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite. In ragione di tale regola, nel caso in cui l’evento non sia stato manifestato nelle forme di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica – proseguono le Sezioni Unite – è suscettibile di modificazione solo nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte come previsto dalla novella di cui all’art. 46 l. n. 60/2009 , o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 300, comma 4, c.p.c I risvolti applicativi. Ebbene, nella pronuncia in commento, le Sezioni Unite ritengono di condividere le affermazioni di cui al precedente arresto. In particolare, sulla scorta del principio di ultrattività del mandato in presenza di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., i Giudici del Supremo Collegio dettano le seguenti direttive a la notificazione della sentenza fatta al procuratore, a norma dell’art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace b detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace c è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330, comma 1, c.p.c., presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento. Le ragioni a sostegno del principio. Al fine di giustificare le proprie affermazioni, le Sezioni Unite richiamano la regola che impone alle parti di stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente, salvo che la legge disponga altrimenti art. 82, comma 3, c.p.c. . Di tale presenza la legge si avvale anche al fine di regolare gli effetti della morte o della perdita della capacità della parte costituita o contumace, in modo che tali eventi non operino automaticamente sul corso della vicenda processuale, ma siano filtrati attraverso la dichiarazione in udienza o la notificazione fattane dal procuratore alle altre parti. Invero, la sostanziale discrezionalità di siffatta comunicazione e la preordinazione della stessa a provocare il fine e l’effetto della tutela dell’interruzione, da un lato, ne rimarca la natura negoziale, dall’altro, connota in termini di tassatività le forme di manifestazione degli accadimenti previsti dall’art. 300, comma 1, c.p.c. Sulla scorta di tale disciplina, le Sezioni Unite giungono quindi a ribaltare la stessa nozione di giusta parte nel processo, individuandola in quella che ha instaurato e contro cui è stato instaurato il giudizio, ossia nelle parti che lo hanno fondato e costruito, conferendo il loro mandato al difensore per la globale cura della controversia. Si tratta di soggetti che, seppur menomati nella loro capacità o nella loro stessa esistenza di vita, continuano a veder tutelate le proprie ragioni, in favore di coloro che saranno i successori, ad opera del rappresentante prescelto, al quale soltanto è conferito il potere di disvelare nel processo l’avvenuta verificazione di quella menomazione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 1° luglio – 22 settembre 2014, n. 19887 Presidente Rovelli – Relatore Amendola Svolgimento del processo Pietro Schiavo, con citazione notificata il 29 novembre 1984, convenne innanzi al Tribunale di Bari A.V.E. , G.C. , A.G.A.M. , A.C.M. , Ca.Ad. e A.R. , rivendicando i diritti spettanti alla propria genitrice, A.E. , ormai defunta, sul patrimonio della s.n.c. A.G. fu P. , della quale la stessa era stata socia. Siffatto patrimonio, costituito da un intero fabbricato, era stato, secondo l'esponente, distratto da A.V.E. in favore suo e degli eredi di A.M. , per il che l'attore chiese la declaratoria di nullità dell'atto di divisione dell'immobile, l'attribuzione della quota di partecipazione spettante alla madre, il risarcimento dei danni subiti. Con sentenza del 30 dicembre 2004, pronunciata all'esito di una complessa istruttoria nel corso della quale erano venuti a mancare A.V.E. , G.C. , Ca.Ad. e A.R. , il giudice adito rigettò la domanda per intervenuta prescrizione del diritto azionato. Propose gravame il soccombente, al quale resistettero A.A. , erede di A.R. , A.G.A.M. e A.C.M. , mentre rimase contumace M.E. , in proprio e nella qualità di tutrice di A.S. . In data 22 giugno 2006, la Corte d'appello di Bari ha dichiarato l'impugnazione improcedibile, condannando l'avvocato C. a rifondere alle controparti costituite le spese del grado e dichiarandolo altresì tenuto per responsabilità aggravata, ai sensi del primo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., a pagare a ciascuno degli appellati, costituiti o contumaci, la somma di Euro 1.000,00, con gli interessi legali dalla sentenza al pagamento. In motivazione ha osservato il giudicante che S.P. , originario istante, era deceduto nel corso del giudizio di primo grado, otto anni prima della pronuncia della sentenza impugnata e che l'appello era stato proposto non già dagli eredi del defunto che pure esistevano , ma dall'avvocato C. , al quale l'attore aveva a suo tempo conferito il mandato difensivo. La tesi dell'ultrattività del mandato, sostenuta dal professionista, era contrastata dal disposto dell’art. 1722, n. 4, cod. civ. ed era stata smentita dalla giurisprudenza di legittimità. In tale contesto il decidente ha ritenuto che l'avvocato C. dovesse rispondere delle spese processuali e che dovesse altresì subire in proprio gli effetti dell'accoglimento della domanda di condanna per responsabilità aggravata, ex art. 96, primo comma, cod. proc. civ., considerato che lo stesso non solo aveva ignorato lapalissiani principi di diritto , ma trascurato anche il comune buon senso. Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione l'avvocato C.G. , formulando tre motivi, in via gradatamente subordinata tra loro , e notificando l'atto ad A.G.A.M. , a A.C.M. , ad A.A. e ad M.E. in proprio e quale legale rappresentante di A.S. . Resistono con controricorso, illustrato anche da memoria, A.G.A.M. e A.C.M. , mentre nessuna attività difensiva hanno svolto le altre intimate. La prima sezione civile, davanti alla quale il ricorso è stato chiamato, affermando di condividere il principio, espresso dalla pronuncia delle sezioni unite Cass. civ. sez. un. 10 maggio 2006, n. 10706 , della non ultrattività del mandato all'infuori del grado in cui l'evento potenzialmente interruttivo si è verificato e di non condividere, invece, il principio, enunciato nel medesimo arresto, secondo cui, in caso di invalidità o di sopravvenuta inefficacia della procura ad litem , non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente perché assegnasse la causa alle sezioni unite civili, ai sensi dell'art. 374, terzo comma, cod. proc. civ., affinché queste si pronunciassero sulla questione della condanna al pagamento delle spese di causa dei soli eredi delle parti sostanziali, allorché il giudizio sia proseguito dal difensore privo di poteri, per morte del soggetto già da lui difeso, laddove gli eredi dello stesso non si siano costituiti ed abbiano con ciò manifestato il loro disinteresse alla prosecuzione del processo. Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1722, n. 4, cod. civ., e 300 cod. proc. civ., nonché dei principi generali in tema di conferimento, validità e ultrattività della procura alle liti. Sostiene che, secondo la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, la morte della parte non produce alcun effetto sul rapporto processuale, ove non venga dichiarata dal difensore nei modi previsti dall’art. 300 cod. proc. civ., di talché essa, ancorché sopravvenuta nel corso del giudizio di primo grado, non priva il difensore del potere di proporre validamente impugnazione per la parte deceduta. E invero - assume, formulando all'uopo congruo quesito di diritto – l’interruzione del processo, come causa estintiva del rapporto procuratorio ai sensi dell'art. 1722, n. 4, cod. civ., è la conseguenza di una fattispecie complessa, costituita dalla verificazione del decesso e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane alle altre parti dal procuratore della parte deceduta, verificandosi, in mancanza di ciò, l'ultrattività del mandato, in virtù della deroga, ad opera dell'art. 300, primo e secondo comma cod. proc. civ., alle norme che, sul piano sostanziale, regolano il rapporto procuratorio. 1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 75 e 83 cod. proc. civ., nonché dell'art. 132 cod. proc. civ., sotto il profilo della motivazione insufficiente. L'assunto della Corte d'appello di Bari, peraltro neppure chiaramente esplicitato, secondo cui la mancanza di una valida procura alle liti comporta l'assunzione, da parte del difensore, della qualità di appellante, sarebbe in contrasto con i principi enunciati dalla Corte Regolatrice nella sentenza n. 10706 del 10 maggio 2006. E invero, il consolidato orientamento giurisprudenziale che negava radicalmente la possibilità che l'avvocato assumesse la posizione di parte in senso sostanziale, era stato temperato dalle sezioni unite della Suprema Corte che, nella sentenza n. 10706 del 2006, avevano distinto tra l'ipotesi in cui la procura era ab initio inesistente perché, ad esempio, falsa , e quella in cui veniva accertata una causa di invalidità o sopravvenuta inefficacia della stessa, limitando alla prima ipotesi l'assunzione della qualità di parte in capo all'avvocato. La sentenza impugnata, senza affrontare siffatte problematiche, aveva condannato il difensore al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno, ex art. 96, cod. proc. civ., benché la procura fosse solamente non più efficace al momento della proposizione del gravame. Le critiche si chiudono con la richiesta rivolta alla Corte di dire se l'accertata invalidità della procura alle liti con specifico riferimento alla sopravvenuta inefficacia della stessa per morte della parte, sia ipotesi dissimile dalla radicale inesistenza della procura stessa e se l'assunzione della qualità di parte in capo al difensore sia configurabile solo in caso di inesistenza della procura. 1.3 Con il terzo motivo l'impugnante deduce violazione degli artt. 96, primo comma, e 132 cod. proc. civ., nonché insufficienza della motivazione. Le censure si appuntano contro la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, primo comma, cod. proc. civ., della quale, a detta dell'esponente, non sussisterebbero i presupposti, considerato che secondo un consolidato, ancorché non univoco, orientamento giurisprudenziale, in caso di morte della parte, vige il principio della ultrattività del mandato difensivo, di talché la conferita procura continua a essere valida anche per la proposizione dell'appello. In ogni caso, aggiunge, a configurare la lite temeraria non sarebbe sufficiente il semplice fatto che il soccombente abbia prospettato tesi giuridiche poi riconosciute errate dal giudice, essendo per contro necessario un quid pluris costituito dalla colpa grave. Infine il riconoscimento dei danni da responsabilità processuale aggravata postulerebbe pur sempre la prova, gravante sulla parte che chiede il risarcimento, sia dell’an che del quantum del pregiudizio subito, prova che nella fattispecie sarebbe mancata del tutto. Nel quesito l'impugnante chiede quindi alla Corte se, a configurare la colpa grave che giustifica la condanna al risarcimento del danno, ex art. 96, primo comma, cod. proc. civ., non sia sufficiente la prospettazione di una determinata interpretazione della norma, specie quando tale interpretazione sia coerente con un consolidato filone giurisprudenziale ancora attuale e se il risarcimento del danno, ex art. 96, primo comma, cod. proc. civ., non possa configurarsi a favore delle parti rimaste contumaci. 2 Le censure svolte nel primo motivo di ricorso sono fondate per le ragioni che seguono. Le sezioni unite di questa Corte, tornate in tempi recentissimi ad occuparsi della storia infinita degli effetti processuali conseguenti al verificarsi di uno degli eventi previsti nell'art. 299 cod. proc. civ., hanno riaffermato, nei sensi che di qui a poco si andranno a precisare, la perdurante operatività della regola dell'ultrattività del mandato difensivo Cass. civ. sez. un. 4 luglio 2014, n. 15295 . Giova precisare che l'intervento nomofilattico era stato sollecitato dalla seconda sezione civile la quale - investita di un ricorso indirizzato alla parte defunta in un contesto processuale in cui a la causa era iniziata con citazione notificata il 2 marzo 1990, prima, dunque, dell'entrata in vigore delle modifiche apportate all'art. 164 cod. proc. civ. dalla legge n. 353/1990 e successive integrazioni b la morte del destinatario dell'impugnazione si era verificata in epoca antecedente alla pubblicazione della sentenza di secondo grado c il ricorso era stato notificato al procuratore dello stesso, pur dopo l'avvenuto decesso d la notifica del controricorso delle parti che si erano dichiarate eredi del de cuius era intervenuta prima del decorso del termine c.d. lungo per l'impugnazione in sede di legittimità, non risultando notificata la sentenza di appello - si era interrogata sulla perdurante operatività del consolidato principio secondo cui la costituzione degli eredi della parte defunta aveva un effetto sanante dalla notifica del controricorso operando quindi ex nunc , se effettuata nel vigore dell'art. 164 cod. proc. civ. anteriore alle modifiche operate con legge 353/1990 sempre che fosse stato rispettato il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza ovvero dalla notifica del ricorso e quindi ex tunc , se relativa alle cause c.d. di nuovo rito. Ciò in quanto siffatti approdi del diritto vivente apparivano messi in crisi dalla statuizione delle Sezioni Unite del 13 marzo 2013, n. 6070, e, segnatamente, dalla dichiarata applicabilità dei principi successori nella fattispecie in cui, all'estinzione di una società, a seguito di cancellazione, fossero sopravvissute o sopravvenute delle entità patrimoniali non interessate dal procedimento liquidatorio arresto nel quale è stato per vero affermato che la erronea evocazione in giudizio di una parte che non sia la giusta parte non comporta la nullità della vocatio in ius, con conseguente possibilità di sanatoria a seguito della costituzione della parte pretermessa, quanto piuttosto l'inammissibilità del ricorso stesso, da dichiararsi anche di ufficio. 3 Rivisitando la vexata quaestio ad essa sottoposta, e all'esito di una completa a complessa ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi, e talvolta accavallatisi nel corso del tempo - dalla risalente ma ancora ricorrente affermazione dell'ultrattività del mandato, alla recentissima, drastica sanzione d'inammissibilità dell'impugnazione proposta da o contro un soggetto estinto - in un dibattito costantemente dominato dalla esigenza di mediare tra la tutela della giusta parte che, dopo l'evento, è un soggetto nuovo e diverso da quello che era stato fino ad allora nel processo e il problema della conoscibilità dell'evento stesso, con quanto ne consegue in termini di protezione di chi lo abbia incolpevolmente ignorato, le sezioni unite sono pervenute alla enunciazione del seguente principio di diritto l'incidenza sul processo degli eventi previsti nell'art. 299 cod. proc. civ. è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 cod. proc. civ., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell'impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell'ipotesi in cui, nella successiva fase d'impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l'evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l'evento sia documentato dall'altra parte come previsto dalla novella di cui all'art. 46 della legge n. 69 del 2009 , o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ai sensi del quarto comma dell'art. 300 cod. proc. civ. Ne deriva che a la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell'art. 285 cod. proc. civ. è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace b detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione ad eccezione del ricorso per cassazione per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell'ambito del processo ancora in vita e capace c è ammissibile l'atto di impugnazione notificato, ai sensi del primo comma dell'art. 330 cod. proc. civ., presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell'evento. 4 Alla base di siffatte affermazioni, e con specifico riguardo all'ipotesi in cui l'evento si verifichi durante la fase attiva del processo, che è quella che qui rileva, v'è anzitutto la considerazione che, salvo che la legge disponga altrimenti, le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente art. 82, terzo comma, cod. proc. civ. , della cui presenza la legge si avvale anche al fine di regolare gli effetti della morte o della perdita della capacità della parte costituita o contumace, in modo che tali eventi non operino automaticamente sul corso della vicenda processuale, turbandone l'ordinato svolgimento, ma siano filtrati attraverso la dichiarazione in udienza o la notificazione fattane dal procuratore alle altre parti il che, in dipendenza della sostanziale discrezionalità di siffatta comunicazione e della preordinazione della stessa a provocare il fine e l'effetto della tutela dell'interruzione, da un lato, ne rimarca la natura negoziale, definitivamente affrancandola dall'attrazione nell'ambito delle mere dichiarazioni di scienza dall'altro, connota in termini di tassatività le forme di manifestazione degli accadimenti previsti dal primo comma dell'art. 300 cod. proc. civ Tralasciando, per intuibili ragioni di economia espositiva, le argomentazioni svolte nell'arresto in esame con riferimento alla disciplina applicabile agli eventi verificatisi nella fase processuale che va dalla chiusura della discussione alla pubblicazione della sentenza ovvero alle ipotesi in cui l'estinzione del soggetto o le modificazioni della sua capacità vengano in essere durante la decorrenza dei termini per impugnare art. 328 cod. proc. civ. - fattispecie che qui non rilevano - non sembra inutile evidenziare che le sezioni unite, nel confutare le critiche alla teoria dell'ultrattività del mandato, ribaltano, proprio in nome del principio costituzionale della parità di condizioni tra le parti, la stessa nozione di giusta parte, evocata a sostegno degli opposti orientamenti, individuandola in quella che ha instaurato e contro cui è stato A instaurato il giudizio, ossia nelle parti che lo hanno fondato e costruito, conferendo il loro mandato al difensore per la globale cura della controversia soggetti che, seppur menomati nella loro capacità o nella loro stessa esistenza in vita, continuano a veder tutelate le proprie ragioni, in favore di coloro che saranno i successori, ad opera del rappresentate prescelto, al quale soltanto è conferito il potere di disvelare nel processo l'avvenuta verificazione di quella menomazione. 5 Non è superfluo evidenziare che siffatta prospettiva, giuridicamente nuova, consente di superare, in maniera sistematicamente armonica, le ineliminabili aporie nelle quali incappano le opposte esegesi e, in particolare, il paradosso per cui colui che, essendo detentore della conoscenza dell'evento interruttivo il difensore , decida di non svelarlo al giudice ed alla controparte, possa successivamente giovarsi di tale scelta che potrebbe essere addirittura concordata con gli interessati , ottenendo che tutti gli atti rivolti alla parte colpita dal fatto menomante e presso di lui notificati siano, in buona sostanza ed a prescindere dalle categorie giuridiche, ridotti nel nulla. E ciò tanto più che, anche a prescindere dalla predicata, anche se non sempre condivisa, autonomia del diritto processuale da quello sostanziale, e dal valore indiziante, in termini di voluntas legis, di norme come il neointrodotto art. 816 sexies cod. proc. civ., ovvero il novellato testo dell'art. 182 cod. proc. civ., il principio di ultrattività del mandato ad litem non costituisce affatto un'eccezione rispetto alle regole civilistiche che governano il mandato, essendo piuttosto alla base di norme come l'art. 1728 cod. civ., primo comma, cod. civ., che fa obbligo al mandatario di continuare l'esecuzione del mandato estinto, agendo quale gestore di negozi, non già solo in caso di pericolo, ma sempre che a suo criterio, corrispondente a quello del buon padre di famiglia, vi sia l'eventualità di un pregiudizio per l'affare o per la buona riuscita dello stesso l'art. 1722, n. 4, cod. civ., a tenor del quale il mandato avente per oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa non s'estingue per morte, interdizione o inabilitazione del mandante, se l'esercizio dell'impresa è continuato salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi l'art. 1723, secondo comma, cod. civ., laddove sancisce che il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non s'estingue per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante l'art. 2013, terzo comma, cod. civ., che predica la perdurante efficacia della girata per procura del titolo di credito nonostante la morte o la sopravvenuta incapacità del girante l'art. 1396, secondo comma, cod. civ., in base al quale le cause di estinzione, diverse dalla revoca della procura, del potere di rappresentanza conferito dall'interessato non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate. 6 Venendo al caso di specie, alla stregua dei principi enunciati, deve escludersi che la morte della parte rappresentata, verificatasi nel corso del giudizio di primo grado e non dichiarata nei modi previsti dall'art. 300 cod. proc. civ., avesse privato il difensore del potere di proporre gravame avverso la sentenza del tribunale, di talché l'appello non poteva essere dichiarato improcedibile. Conseguentemente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale restano assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione. P.Q.M. La Corte a sezioni unite, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione.