La misura cautelare placa la situazione, ma nulla può contro l’irragionevole durata del processo

E’ irragionevole la durata di un processo che perduri per oltre 12 anni, anche quando sia intervenuto un provvedimento cautelare favorevole al ricorrente, dal momento che tale provvedimento per sua natura è precario, rivedibile e non incidente sul diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, né esclude il dovere dello Stato di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18723, depositata il 5 settembre 2014. Il caso. Una donna chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennità per l’irragionevole durata di un giudizio instaurato dalla stessa ricorrente avanti al Tar del Lazio nel 1993 e ancora pendente. Secondo i giudici di merito mancava l’interesse alla definizione del giudizio e la sofferenza derivante dall’eccessiva durata del processo. La Corte d’appello rigettava la domanda di equa riparazione, rilevando che il soddisfacimento, in via cautelare, del diritto azionato, la mancata presentazione dell’istanza di sollecitazione e la sentenza della Corte Costituzionale, che dichiarava fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla norma da cui muoveva il giudizio presupposto, erano tutti elementi comprovanti l’evidente carenza d’interesse della stessa alla sollecita definizione del giudizio e dell’assenza della dedotta sofferenza derivante dall’eccessiva durata del processo. Era stata violata la Legge Pinto? La donna proponeva allora ricorso in Cassazione, lamentando la falsa applicazione della l. n. 89/2001 Legge Pinta durata ragionevole del processo e equa riparazione , nonché omessa e contraddittoria motivazione. La ricorrente lamentava, in particolare, che il decreto impugnato aveva escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da irragionevole durata, avendo erroneamente desunto dalla misura cautelare concessa, dall’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale e dalla mancata sollecitazione della definizione, la prova dell’assenza di un turbamento cagionato dall’irragionevole protrazione del processo. Il provvedimento cautelare non era sufficiente a definire il giudizio esso è atto precario e rivedibile. Il ricorso è fondato. Infatti, benché il provvedimento cautelare anticipi gli effetti della sentenza richiesta al giudice, è comunque atto precario e rivedibile, che non incide sul diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, né esclude il dovere dello Stato di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine. D’altronde detto provvedimento - specifica la Corte Suprema - può incidere sul diverso versante della consistenza delle conseguenze negative del ritardo, specie quando la protezione provvisoria della posizione dell’istante sia pari a quella reclamata con la domanda e poi accordata in via definitiva con la decisione, ma, anche in tale ipotesi, non osta alla configurabilità di un pregiudizio morale, pure se di entità ridotta, dato che la precarietà di quella protezione non elimina l’incertezza e la connessa sofferenza per l’attesa della definizione della lite, potendo solo diminuire l’intensità, in relazione all’aspettativa del conformarsi dell’emanda sentenza alla determinazione di tipo interinale già adottata dal giudice Cass., n. 21905/2012 . Nel caso di specie, il processo amministrativo si era protratto per una durata irragionevole di circa dodici anni, sicché la Cassazione cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia al pagamento della somma di euro 6.000 in favore della ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 25 giugno – 5 settembre 2014, n. 18723 Presidente Petitti – Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che, con ricorso depositato il 14 maggio 2010 presso la Corte d'appello di Perugia, P.M. ha chiesto la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento dell'indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio da lei instaurato dinnanzi al TAR del Lazio nel luglio 1993 e ancora pendente alla data della proposizione della domanda che l'adita Corte d'appello ha rigettato la domanda di equa riparazione, rilevando che il soddisfacimento, in via cautelare, del diritto azionato dall'istante, la mancata presentazione dell'istanza di sollecitazione e l'emissione della sentenza della Corte costituzionale che dichiarava fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla norma da cui muoveva il giudizio presupposto, costituiva prova evidente della carenza d'interesse della stessa alla sollecita definizione del giudizio e dell'assenza della dedotta sofferenza derivante dalla eccessiva durata del processo che P.M. ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, affidato ad unico motivo, cui ha resistito con controricorso l'amministrazione intimata, la quale ha proposto ricorso incidentale condizionato che in prossimità dell'udienza la ricorrente in via principale ha depositato memoria. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con l'unico mezzo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 l. n. 89 del 2001, degli artt. 6, 13, 41 CEDU nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti la ricorrente in via principale lamenta che il decreto impugnato abbia escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da irragionevole durata, avendo erroneamente desunto dalla misura cautelare concessa, dall'intervenuta pronuncia della Consulta e dalla mancata frequente sollecitazione della definizione del giudizio la prova dell'assenza di un turbamento cagionato dalla irragionevole protrazione del processo che con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato erronea e falsa applicazione dell'art. 54 d.l. n. 112 del 2008 come interpretato dalla S.C. n. 3740 del 2013 e successive conformi ci si duole della mancata dichiarazione dell'improponibilità del ricorso in considerazione della mancata produzione dell'istanza di prelievo nel giudizio presupposto che il mezzo del ricorso principale è fondato che il provvedimento cautelare, ancorché anticipi gli effetti della sentenza richiesta al giudice, è atto precario e rivedibile, di modo che non tocca il diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, né correlativamente esclude il dovere dello Stato, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale e recepiti nell'ordinamento interno, di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine che detto provvedimento può incidere sul diverso versante della consistenza delle conseguenze negative del ritardo, specie quando la protezione provvisoria della posizione dell'istante sia pari a quella reclamata con la domanda e poi accordata in via definitiva con la decisione, ma, anche in tale ipotesi, non osta alla configurabilità di un pregiudizio morale, pure se di entità ridotta, dato che la precarietà di quella protezione non elimina l'incertezza e la connessa sofferenza per l'attesa della definizione della lite, potendo solo diminuirne l'intensità, in relazione all'aspettativa del conformarsi dell'emananda sentenza alla determinazione di tipo interinale già adottata dal giudice Cass., Sez. VI-1, 5 dicembre 2012, n. 21905 che, per quanto attiene all'intervenuta pronuncia di incostituzionalità della disciplina limitativa applicabile alla fattispecie, la piena consapevolezza della manifesta fondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al giudice amministrativo non costituisce elemento da cui desumere l'insussistenza dell'ansia e della sofferenza connesse al protrarsi irragionevole del processo che per effetto dell'accoglimento del ricorso principale diventa scrutinabile il ricorso incidentale condizionato proposto dall'amministrazione resistente che risulta del pari fondata la censura proposta dal Ministero, nei limiti di seguito precisati che - premesso che nella specie è applicabile, ratione temporis , il testo dell'art. 54 del decreto-legge n. 112 del 2008 anteriore alle modifiche apportate dal codice del processo amministrativo a partire dal 16 settembre 2010 - è consolidato principio di questa Corte che la mancata presentazione dell'istanza di prelievo rende improponibile la domanda di equa riparazione per la parte concernente la durata del giudizio presupposto successiva alla data del 25 giugno 2008 di entrata in vigore dell'art. 54 del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale ha configurato la suddetta istanza di prelievo come presupposto processuale della domanda di equo indennizzo Cass. n. 5914 del 2012 Cass. n. 8266 del 2012 che, al riguardo, si è altresì chiarito che l'omessa presentazione dell'istanza di prelievo non determina la vanificazione del diritto all'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008 Cass. n. 5317 del 2011 che il decreto impugnato va pertanto cassato che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. che il processo amministrativo presupposto si è pacificamente protratto per sedici anni e dieci mesi, sicché, detratti tre anni di ragionevole durata in base ai criteri standard e defalcato il periodo compreso tra il 25 giugno 2008 e il 14 maggio 2010 - data di deposito del ricorso - in considerazione della mancata presentazione dell'istanza di prelievo, esso risulta aver avuto una durata irragionevole di circa dodici anni che, nella specie, il diritto all'equa riparazione per il danno non patrimoniale va pertanto equitativamente determinato nella somma di Euro 6.000 pari ad Euro 500 per ogni anno di ritardo, stante l'entità ridotta del pregiudizio per effetto del tempestivo accoglimento della richiesta cautelare che il Ministero dell'economia e delle finanze va dunque condannato al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 6.000, oltre interessi legali dalla domanda al saldo che le spese vanno poste a carico del Ministero, stante la sua prevalente soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso incidentale condizionato, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 6.000, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Condanna il Ministero al rimborso delle spese processuali Euro 700, di cui Euro 600 per compensi, oltre accessori di legge, per il giudizio di merito Euro 600, di cui Euro 500 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge, per il giudizio di legittimità. Dispone la distrazione delle spese, di merito e di legittimità, in favore degli Avv. Ugo Sgueglia ed Andrea Sgueglia, dichiaratisi antistatari.