Quando la causa dura troppo non si può eludere il diritto all’indennizzo invocando l’abuso del processo

Il ricorso in forma collettiva non elimina il diritto all’equa riparazione spettante a ciascun singolo litisconsorte per lo stato di ansia e sofferenza patito a causa dell’eccessiva durata del processo, indipendentemente dall’esito della lite e dalla manifesta infondatezza della prospettazione d’incostituzionalità delle norme su cui si fondava il diritto azionato dagli istanti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18654, depositata il 4 settembre 2014. Il caso. La Corte d’Appello rigettava la domanda di equa riparazione proposta dagli istanti, in relazione ad un giudizio amministrativo svoltosi dinanzi al TAR, iniziato con ricorso depositato il 3/06/1995 e definito con sentenza pubblicata il 9/04/2010. Per la cassazione di tale decreto proponevano ricorso le parti. Il ricorso proposto da una pluralità di attori La presunzione di danno non patrimoniale, notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, non può essere superata dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo litisconsorte Cass., n. 30160/11 . non fa venir meno il diritto all’equa riparazione. Il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della l. n. 89/2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte. Nessun abuso del processo. A giudizio della Corte di Cassazione, la Corte territoriale ha errato nel ritenere sussistenti, nel caso di specie, i presupposti della fattispecie di abuso del processo sull’assunto della manifesta infondatezza della prospettazione d’incostituzionalità delle norme su cui si fondava il diritto azionato dagli istanti. Infatti, il diritto iniziato dagli odierni istanti non può reputarsi ab origine pretestuoso, avuto riguardo alla data di presentazione del ricorso introduttivo del giudizio amministrativo 1995 , giacché, semmai, è solo a far data dalla pronuncia di manifesta infondatezza della Corte Costituzionale del 2001 che è divenuta insussistente qualsivoglia speranza di successo dell’intrapresa iniziativa giudiziaria. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio il decreto impugnato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 25 giugno– 4 settembre 2014, n. 18654 Presidente Petitti– Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che la Corte d'appello di Perugia, con decreto depositato in data 3 giugno 2010, rigettava la domanda di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, proposta da D.R.V. e dagli altri istanti indicati in epigrafe in relazione ad un giudizio amministrativo svoltosi dinanzi al TAR del Lazio, iniziato con ricorso depositato il 3 giugno 1995 e definito con sentenza pubblicata il 9 aprile 2010 che la Corte territoriale rigettava la domanda di equa riparazione sul rilievo che la serialità della controversia, la sicura reiezione della pretesa azionata e la carenza di interesse dimostrata all'esito del processo, tanto da determinarne la pronuncia di improcedibilità, facevano escludere la sussistenza della dedotta sofferenza derivante dalla eccessiva durata del processo che per la cassazione del decreto della Corte d'appello D.R.V. e le altre parti private indicate in epigrafe hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, l'amministrazione intimata. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con l'unico mezzo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e ss. l. n. 89 del 2001 e dell'art. 6, par. 1, CEDU nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione ci si duole del mancato riconoscimento dell'equo indennizzo, sostenendo che le argomentazioni addotte dalla Corte d'appello sarebbero del tutto inidonee a giustificare il rigetto della domanda, atteso che il deposito dell'istanza di prelievo è prova evidente del perdurante interesse alla sollecita decisione del giudizio che il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la presunzione di danno non patrimoniale, notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, non può essere superata dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d'animo riferibili specificamente a ciascun singolo litisconsorte v., da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011 che, del pari, non può costituire utile ragione per escludere la spettanza dell'equo indennizzo il rilievo del manifestato mancato interesse dei ricorrenti circa l'esito del giudizio, considerato che la presentazione dell'istanza di prelievo da parte di D.R.V. e degli altri istanti indicati in epigrafe fa cadere ogni presunzione di totale disinteresse al riguardo che, nella specie, la Corte d'appello di Perugia ha motivato il rigetto della domanda di equa riparazione facendo altresì riferimento alla temerarietà della lite azionata dai ricorrenti che, invero, è consolidato principio di questa Corte che il diritto all'equa riparazione di cui all'art. 2 della legge n. 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l'ansia e la sofferenza per l'eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell'incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2 che, tuttavia, la Corte ha errato nel ritenere sussistenti, nel caso di specie, i presupposti della fattispecie di abuso del processo sull'assunto della manifesta infondatezza della prospettazione d'incostituzionalità delle norme su cui si fondava il diritto azionato dagli istanti che, infatti, il giudizio iniziato da D.R.V. e dagli altri ricorrenti indicati in epigrafe non può reputarsi ab origine pretestuoso, avuto riguardo alla data di presentazione del ricorso introduttivo del giudizio amministrativo 1995 , giacché, semmai, è solo a far data dalla pronuncia di manifesta infondatezza della Corte costituzionale ordinanza n. 439 del 2001 che è divenuta insussistente qualsivoglia speranza di successo dell'intrapresa iniziativa giudiziaria, con la correlata cessazione del patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa promossa al fine di ottenere la perequazione del trattamento stipendiale che per effetto dell'accoglimento del ricorso deve disporsi l'annullamento del decreto impugnato con rinvio della causa alla Corte di appello di Perugia perché, in diversa composizione, conformandosi ai principi su richiamati, proceda ad un nuovo esame della domanda di equa riparazione che al giudice di rinvio è rimessa, altresì, la determinazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto e rinvia, anche per le spese del grado, alla Corte d'appello di Perugia, in diversa composizione.