Quale tariffa utilizzare per il perito nominato dal Tribunale?

La legge n. 319/1980 e le successive modifiche, in tema di liquidazione del compenso spettante ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori nominati dall’autorità giudiziaria ha carattere di specialità e pertanto può essere applicata solo agli ausiliari del giudici elencati nelle norme di cui agli artt. 11 l. n. 319/1980 e 29 l. n. 794/1942.

E’ stato così affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 18484, depositata il 1° settembre 2014. Il caso. Dopo un lungo iter processuale, la Corte d’appello rigettava la domanda della ricorrente e confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato la società al pagamento di una somma in favore di un uomo a titolo di compenso per prestazioni professionali, per essersi occupato della redazione della perizia disposta dal Presidente del Tribunale. L’accettazione del professionista liberava il debitore? Ricorreva per cassazione la società deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1210 c.c. facoltà di deposito e suoi effetti liberatori , lamentando il mancato riconoscimento dell’effetto liberatorio all’accettazione di somme da parte del professionista, a seguito di offerta reale. La tesi della ricorrente assumeva che l’effetto liberatorio non presupponeva la corrispondenza tra somma dovuta e quella accettata. No, se l’offerta reale non corrisponda alla totalità del dovuto. Questo primo motivo di ricorso è infondato. E’ pacifico in sede di legittimità che l’art. 1208, primo comma, numero 3, c.c. richiede, ai fini della validità dell’offerta reale, che la stessa corrisponda alla totalità della somma o delle cose dovute. Là dove l’accettazione di una offerta non corrisponda alla totalità della somma, ove non accompagnata da una quietanza a saldo o da particolari elementi di fatto, che evidenziano una volontà abdicativa del percipiente, non può che comportare una liberazione soltanto parziale del debitore, allo stesso modi di qualunque altro pagamento non integrale Cass., numero 4996/1996 . L’incarico era di natura pubblicista, corretto utilizzare le tariffe professionali? Con un secondo motivo di ricorso, veniva dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo all’applicazione della tariffa professionale di cui al d.p.r. numero 654/1994, in luogo delle disposizioni di cui alla l. numero 319/1980, come modificata dal d.p.r. numero 352/1988. Si assumeva che il professionista in quanto nominato dal Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 2343 c.c., avrebbe svolto un incarico di natura pubblicista e pertanto non poteva essere ricompensato sulla base delle tariffe professionali. Si deve applicare la normativa speciale degli ausiliari dell’autorità giudiziaria. Anche questo motivo è infondato. Infatti, secondo costante giurisprudenza di legittimità, la legge numero 319/1980 e le successive modifiche, in tema di liquidazione del compenso spettante ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori nominati dall’autorità giudiziaria, ha carattere di specialità e pertanto può essere applicata solo agli ausiliari del giudici elencati nelle norme di cui agli artt. 11 l. numero 319/1980 e 29 l. numero 794/1942 Cass., S.U., numero 1952/1996 . La Cassazione, quindi, rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 maggio – 1° settembre 2014, n. 18484 Presidente Oddo – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Palermo n. 880 del 2008, notificata il 26 agosto 2008, che, a seguito di rinvio disposto dalla pronuncia n. 14022 del 2003 di questa Corte, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Palermo ha condannato la PARS s. r. l. già PARS s.n.c. al pagamento in favore di M.A. dell'importo di lire 22.134.509, oltre accessori, a titolo di compenso per prestazioni professionali. 1.1. - Il procedimento era introdotto con l'opposizione della PARS s.r.l. al decreto ingiuntivo che la condannava al pagamento in favore di M.A. dell'importo di lire 47.300.000 oltre accessori, a titolo di compenso per la redazione di perizia disposta dal Presidente del Tribunale ex art. 2343 cod. civ. in data 30 luglio 1993, per la descrizione e la stima di tutte le componenti aziendali della PARS s.n.c., ai fini della trasformazione della stessa in società di capitali. 1.2. - Il Tribunale aveva ritenuto che non vi fosse prova che le parti avessero raggiunto l'accordo sull'importo lire 50.000.000, comprensivo del compenso dovuto anche l'attività di stima dell'azienda individuale Toluian Tappeti Persiani Importazione Diretta di T.H. . Lo stesso Tribunale aveva quindi determinato in lire 47.134.509 il credito del professionista, dal quale dovevano detrarsi L. 25.000.000, pari alla metà della somma già corrisposta dalla società, imputabile al credito controverso. La PARS s.r.l. aveva proposto appello il professionista si era costituito chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. 2. - La Corte d'appello di Palermo aveva accolto il gravame, ritenendo che fosse provato l'accordo sull’entità del compenso al professionista, pari a complessive lire 50.000.000, per entrambi gli incarichi affidatigli e che, di conseguenza, con la corresponsione della somma di lire 50.000.000 in data 10 marzo 1998, la società aveva interamente saldato il credito per capitale. Per contro, il professionista doveva restituire quanto percepito in eccedenza, con gli interessi a decorrere dal 18 novembre 1998. 2.1. - Avverso la sentenza d'appello M.A. aveva proposto ricorso per cassazione. Con la sentenza n. 14022 del 2003, questa Corte accoglieva il ricorso e cassava con rinvio la sentenza impugnata, rilevando l'erronea attribuzione di valore probatorio ad una testimonianza de relato priva di riscontri, nonché il vizio di motivazione nella parte in cui era attribuito valore alle dichiarazioni di una teste, dalle quali non era desumibile il convincimento trattone, ed era esclusa la rilevanza delle affermazioni di un altro teste, con palese incongruenza logica tra premesse e conclusioni. 2.2. - Il giudizio era riassunto dalla PARS s.p.a. già PARS s.r.l. , che insisteva per l'accoglimento del gravame. L'appellato Marino ribadiva le difese già svolte, chiedendo inoltre la restituzione della somma di Euro 18.723,94, corrisposta alla società opponente in esecuzione della sentenza cassata, con gli interessi a decorrere dal 4 maggio 2000. 3 - Con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, la Corte d'appello di Palermo rigettava l'appello, confermando la sentenza di primo grado, e condannava la PARS s.p.a. alla restituzione degli importi percepiti e al pagamento delle spese di lite. 3.1. - Osservava la Corte d'appello che, in base alla sentenza di cassazione, doveva ritenersi definitivamente acclarata l'assenza di elementi di prova dell'asserito accordo sul compenso di lire 50.000.000 per l'attività complessivamente svolta dal Dott. M. . Inoltre, l'offerta reale della somma di lire 50.000.000, ricevuta dal professionista il 10 marzo 1998, era priva di effetti liberatori poiché non corrispondente al dovuto. Quanto ai criteri di liquidazione del compenso, doveva essere applicata la tariffa professionale introdotta con il d.P.R. n. 645 del 1994, né si poteva ravvisare un colpevole ritardo nel deposito della relazione, in considerazione, tra l'altro, della complessità degli accertamenti richiesti, riguardanti il periodo fino al 31 dicembre 1994. Era inoltre ritenuto inammissibile, per genericità, il motivo di appello con cui la società contestava l'ammontare del compenso, in assenza di formulazione di specifici rilievi riguardanti la spettanza di singole voci ovvero la corrispondenza degli importi liquidati alle tariffe applicate. Era infine considerata infondato il motivo di appello avente ad oggetto al statuizione sulle spese di lite, che il Tribunale aveva compensato per un quarto, ponendo la rimanente parte a carico della società. 3.2. - La Corte d'appello accoglieva la domanda, proposta da M.A. , di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza cassata, sul rilievo che non poteva considerarsi domanda nuova, trattandosi di effetto della riforma della sentenza d'appello che discendeva dall'applicazione dell'art. 336 cod. proc. civ 3. - Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 novembre 2008, la PARS s.p.a., in persona del legale rappresentante e amministratore unico T.H. , sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso M.A. . Considerato in diritto 1. - Il ricorso è infondato e va rigettato. 1.1. - Con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1210 cod. civ., lamentando il mancato riconoscimento dell'effetto liberatorio all'accettazione di somme da parte del professionista, a seguito di offerta reale. Si assume, in particolare, che l'effetto liberatorio non presupporrebbe la corrispondenza tra la somma dovuta e quella accettata. In ossequio al disposto dell'art. 366-ibis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis , è formulato il seguente quesito di diritto [se,] poiché il Marino ha ricevuto quale compenso per le due perizie lire 50.000.000 oltre lire 10.500.000 d'interessi tramite offerta reale e si è ricevuto le somme anziché rifiutarle, allora la PARS s.p.a. ha ritenuto l'accettazione di dette somme così come offerte e ha dunque adempiuto in tale misura alla propria obbligazione. Dunque il principio di diritto affermato dalla Corte territoriale sulla dovuta corrispondenza della prestazione a quella dovuta è errato poiché detta corrispondenza trova coerenza con la semplice accettazione delle somme quietanzate. Pertanto la liberazione del debitore consegue all'accettazione della somma depositata e quietanzata e non alla verifica del quantum della prestazione” . 1.2. - La doglianza è infondata. Come affermato ripetutamente da questa Corte, l'art. 1208, primo comma, n. 3, cod. civ. richiede, ai fini della validità dell'offerta reale, che la stessa corrisponda alla totalità della somma o delle cose dovute. Là dove l'accettazione di una offerta non corrispondente alla totalità della somma, ove non accompagnata da una quietanza a saldo o da particolari elementi di fatto, che evidenzino una volontà abdicativa del percipiente, non può che comportare una liberazione soltanto parziale del debitore, allo stesso modo di qualunque altro pagamento non integrale ex plurlmis , Cass., Sez. III, sentenze n. 4996 del 1996 e n. 933 del 1995 . 2. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo all'applicazione della tariffa professionale di cui al d.P.R. n. 654 del 1994, in luogo delle disposizioni di cui alla legge n. 319 del 1980, come modificate dal d.P.R. n. 352 del 1988. Si assume che il professionista, in quanto nominato dal Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 2343 cod. civ., avrebbe svolto un incarico di natura pubblicistica e pertanto non potrebbe essere ricompensato sulla base delle tariffe professionali. A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto [se,] poiché l'esperto non ha espletato un incarico per nomina del ricorrente, ma per incarico del Presidente del Tribunale, rivestendo esso natura pubblicistica, non può pretendere l'applicazione delle tariffe professionali di contro all'avviso del giudice di rinvio che fa riferimento unicamente al tempo di introduzione del d.P.R. n. 645 del 1994 anteriore al deposito delle relazioni di stima”. 2.1. - La doglianza è infondata. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che la normativa invocata dal ricorrente, e cioè la legge n. 319 del 1980 e successive modifiche, in tema di liquidazione del compenso spettante a periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori nominati dall'autorità giudiziaria, ha carattere di specialità e pertanto può essere applicata soltanto agli ausiliari del giudice elencati nelle norme di cui agli artt. 11 della legge n. 319 del 1980 e 29 della legge n. 794 del 1942 Cass., Sez. U., sentenza n. 1952 del 1996 . Il principio è stato dito anche in riferimento specifico al commercialista incaricato della stima, ex art. 2343 cod. civ., dei conferimenti in natura apportati in occasione della trasformazione di una società Cass., Sez. II, sentenza n. 1823 del 2000 . 3. - Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 636 cod. proc. civ., nonché omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo. Si assume l'assenza di prova del credito azionato, posto che il professionista si era limitato a chiedere il parere dell'Ordine professionale, la cui valenza è circoscritta alla fase di emissione del decreto ingiuntivo. A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto [se,] poiché il M. non ha provato il credito per cui ha chiesto il parere all'Ordine professionale senza provare le varie voci anche a mezzo di CTU dell'attività svolta e per cui è intervenuta la liquidazione dell'organo professionale, egli non ha provato il suo credito nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso in forza di quel parere, per cui la sua domanda doveva essere rigettata”. 3.1. - La doglianza è inammissibile. Posto, infatti, che la sentenza d'appello ha ritenuto i-nammissibile, per genericità, il motivo di gravame con cui la società aveva contestato il quantum della liquidazione, in questa sede la ricorrente avrebbe dovuto censurare tale affermazione, riportando il motivo di appello considerato privo di specificità, e quindi introdurre la questione di merito relativa alla prova delle voci liquidate. Diversamente, rimane ferma la pronuncia di inammissibilità, per genericità, del motivo d'appello e non sono ulteriormente controvertibili le questioni ad esso afferenti ex plurimis, Cass. Sez. L., sentenza n. 9243 del 2004 . 4. - Con il quarto motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ., assumendosi che il giudice del rinvio non poteva statuire la condanna ai compensi del ricorrente per la dovuta soccombenza del Dott. M. ”. 4.1. - La doglianza è inammissibile per mancata formulazione del quesito di diritto, imposto dall'art. 366-bxs cod. proc. civ. applicabile ratione temporis al presente ricorso. 5. - Al rigetto del ricorso segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,0 per esborsi.