Il giudice ti dà sempre torto? Non per questo sussiste la “grave inimicizia”

Respinti i ricorsi per ricusazione ex art. 52 c.p.c. dell’avvocato che aveva subìto decisioni avverse in altri procedimenti decisi dai medesimi giudici poi ricusati.

Ai sensi dell’art. 51, n. 3 c.p.c., l’ inimicizia deve riguardare rapporti estranei al processo e non può, in linea di principio, consistere in comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte, la quale è tenuta a indicare fatti e circostanze concrete che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione. La grave inimicizia del magistrato deve comunque trovare ancoraggio in dati di fatto concreti e precisi estranei e autonomi rispetto alla realtà processuale che deve solo costituire un sintomatico momento dimostrativo – per induzione – della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la ricusazione. È quanto affermato dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 16627/14, depositata lo scorso 22 luglio. Il caso. La vicenda ha per oggetto un serie di istanze di ricusazione che un avvocato aveva svolto nei riguardi di diversi giudici della Suprema Corte appartenenti assieme anche ad altri colleghi a vari collegi giudicanti che avevano emesso provvedimenti negativi nei confronti dei ricorsi proposti dall’avvocato ricusante. Questi deduceva da simile contegno una preconcetta posizione ostile” nei propri riguardi e per tale motivo svolgeva ricorso ex art. 54 c.p.c. La Suprema Corte decideva così a Sezioni Unite affrontando punto per punto le argomentazioni del ricorrente. La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite affronta con grande chiarezza numerosi temi fondamentali riguardanti il giusto processo, l’abuso del processo, la ricusazione del giudice e i giudizi di responsabilità nei riguardi dei magistrati. Si ripercorrono brevemente qui di seguito i tratti salienti del provvedimento in esame con particolare riguardo al procedimento ex art. 52 c.p.c. In primo luogo si osserva che l’art. 51 c.p.c. elenca una serie di ipotesi di astensione” del Giudice. Casi tassativi in cui il magistrato ha l’obbligo di astenersi. Esistono casi tassativi non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica in cui il magistrato ha l’obbligo di astenersi. Essi si configurano 1 quando egli ha interesse nella causa sottoposta al suo esame 2 se vi sono legami di parentela con le parti 3 se il giudice ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito/debito con una delle parti 4 se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa stessa o ha testimoniato o ha operato in qualità di consulente tecnico 5 se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, curatore o datore di lavoro di una delle parti o è gestore di un ente che ha interesse nello stesso giudizio. Vi è poi l’ultimo comma dell’art. 51 c.p.c. che, quale norma di chiusura” del sistema, raccomanda al giudice di astenersi quando vi siano ragioni di convenienza. In simili ipotesi il giudice deve però richiedere espressa autorizzazione al capo dell’ufficio superiore. L’articolo 51 c.p.c. mira quindi ad assicurare l’imparzialità del giudice per la pronuncia di un sentenza il più possibile giusta” e costituisce l’essenza del giudizio stesso, quale valore fondamentale del due process of law ” oggi espressamente sancito dall’art. 111 Cost Un processo giusto”, quindi, comprensivo del diritto ad avere un giudice imparziale, il tutto in tempi ragionevoli, evitando abusi ed istanze processuali meramente emulative”. L’imparzialità va allora concepita non solo come espressione dell’interesse generale alla corretta amministrazione della giustizia, ma anche come vero e proprio diritto soggettivo attribuito dalla Costituzione alla parte che dal magistrato è giudicata così Cassazione Sezioni Unite, 17636/2003 . Da tali premesse, la Corte spiega che la trattazione della ricusazione va compiuta in contraddittorio. La ricusazione va inteso come un vero e proprio procedimento di carattere giurisdizionale. Essa infatti, non è più considerata come un mero iter interno di carattere amministrativo, bensì come un vero e proprio procedimento di carattere giurisdizionale, tanto più che, come detto, è destinato ad incidere su un diritto soggettivo della parte. Non vi è tuttavia una precisa disciplina normativa in materia ed è quindi inevitabile immaginare una trattazione essenziale e informale, di carattere incidentale, volta a decidere rapidamente sull’istanza di ricusazione nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo. Le parti devono dunque essere messe in condizione di interloquire e intervenire adeguatamente in contraddittorio, ma senza tempi e/o termini predeterminati non previsti dal codice e incompatibili con la celerità del procedimento. Nel caso di specie, le doglianze del ricorrente sul punto si sono rivelate infondate dato che il contraddittorio è stato effettivamente garantito e le parti sono state tempestivamente informate del giorno previsto per la trattazione. Nessuno infatti durante il procedimento ha mai affermato di non aver avuto la possibilità di intervenire o interloquire. Sotto altro profilo, il ricorrente lamentava la mancata audizione del giudice ricusato prevista dall’art. 53, comma 2, c.p.c Tali censure sono però giudicate infondate giacché la norma deve essere così intesa. La Suprema Corte ha precisato che il giudice non è parte” del procedimento di ricusazione, cionondimeno la sua presenza deve essere effettivamente considerata. L’audizione del ricusato è prevista a tutela del giudice medesimo egli infatti deve essere a conoscenza del procedimento in questione e ha diritto ad essere ascoltato, ma solo se vuole. In questo senso va intesa l’obbligatorietà nel caso di specie i giudici ricusati invece non intendevano dedurre nulla e pertanto il giudice della ricusazione giustamente non li ha ascoltati. Sotto altro profilo non risultavano necessari particolari approfondimenti istruttori, né nessuna parte li aveva richiesti, confermando così l’irrilevanza dell’audizione dei ricusati, senza possibilità di doglianza per il ricorrente. Il procedimento seguito per la trattazione del ricorso ex art. 52 L.F. era quindi corretto e l’avvocato non poteva lamentare alcun vizio di rito”. In merito ai motivi di ricusazione, il ricorrente sosteneva la grave inimicizia” art. 51, n. 3 c.p.c. dei giudici ricusati nei suoi confronti deducendola dal tenore delle considerazioni esposte nelle motivazioni di alcune decisioni assunte in altri processi, nei quali lo stesso ricorrente era stato parte o difensore, da collegi composti anche dai magistrati ricusati. Ciò perché le anzidette considerazioni sarebbero state addirittura peggiori di quanto avrebbe potuto esprimere il più sprovveduto studente universitario della materia . Sul punto la Cassazione replica che solo nell’ambito del medesimo processo [] è consentito dedurre errori, nullità, illegittimità o irregolarità in esso verificatesi non essendo al contrario possibile per altro giudice in altra sede intervenire su tali questioni. L’errore giudiziario non può costituire inimicizia”, la quale potrebbe in ipotesi derivare dall’attività giurisdizionale del ricusato solo nell’ipotesi in cui l’esercizio della giurisdizione sia volto solo a danneggiare la parte per ragioni di ostilità, arrivando alla commissione di un vero e proprio reato da parte del giudice ricusato. Sotto altro profilo gli Ermellini rilevano che l’adozione di eventuali provvedimenti anomali” o grossolani” nel senso indicato dal ricorrente, sarebbe solo il sintomo” e non la causa” dell’inimicizia. Su tali aspetti il ricorrente aveva omesso di indicare situazioni concrete da cui sarebbe derivato il rancore o l’avversione del giudicante e la doglianza rimaneva quindi priva di pregio. A nulla valeva inoltre invocare la pendenza o l’intenzione di proporre di azioni di responsabilità ex lege n. 117/1988 nei confronti dei giudici ricusati. Tale ipotesi infatti non integra la fattispecie del numero 3 dell’art. 51 c.p.c. giacché l’azione non è promossa nei confronti del magistrato, ma nei riguardi dello Stato sia pure per ipotizzata responsabilità del giudice . Alla luce di simili considerazioni, la Corte di Cassazione non poteva accogliere le pretese dell’avvocato e respingeva il ricorso sollevato.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza interlocutoria 1 – 22 luglio 2014, n. 16627 Presidente Rovelli – Relatore Di Iasi Ritenuto in fatto Con ricorso depositato il 24 aprile 2014 l'avvocato S.S. nell'interesse proprio ha presentato interpello per astensione e, in difetto, ricorso per ricusazione nei confronti dei Dottori M.C.F. , R.R. , P.C. , M.V. , Ma.Gi. , D.P. , S.G.M.R. e V.B. , componenti il collegio delle sezioni unite civili che il giorno 29 aprile 2014 avrebbe dovuto decidere il ricorso proposto dal suddetto avvocato S. in proprio per la cassazione, per motivi di giurisdizione sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giustizia di otto sentenze della quarta sezione del Consiglio di Stato con ciascuna delle quali i cinque componenti il collegio, singolarmente ricusati, hanno deciso ex se la ricusazione a loro singolare carico ed hanno denegato la declaratoria di perenzione pur richiesta dal ricorrente . Considerato in diritto 1. Sulla trattazione in contraddittorio. Il ricorrente sostiene in ricorso che la trattazione della ricusazione va compiuta in contraddittorio . L'affermazione è corretta. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in passato orientata per la natura non giurisdizionale del procedimento di ricusazione, aveva affermato che l'ordinanza resa sull'istanza di ricusazione a norma dell’art. 53 c.p.c. è un provvedimento privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo e non incide sull'organo-giudice o sui suoi criteri di costituzione, essendo diretto esclusivamente, in via ordinatoria e strumentale, ed in esito ad un procedimento di tipo sostanzialmente amministrativo, ad assicurare il soddisfacimento di interessi di ordine generale ed il corretto esercizio dell'attività giudiziaria da parte del giudice v. tra le altre Cass. n. 155 del 2000 . Tuttavia le sezioni unite di questa Corte, già a partire dalla sentenza n. 17636 del 2003, hanno ritenuto che la Costituzione attribuisca a ciascuna parte il diritto soggettivo al giudice imparziale, postulandone la tutelabilità giurisdizionale, ed in particolare affermando che l'ordinanza che pronuncia sulla ricusazione ha natura decisoria, atteso che decide su un'istanza diretta a far valere concretamente l'imparzialità del giudice, la quale costituisce non soltanto un interesse generale dell'amministrazione della giustizia, ma anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte e ciò alla luce sia dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, sia del nuovo testo dell'art. 111 Cost. . Partendo dall'arresto citato, che esprime l'adesione delle sezioni unite di questa Corte ai fondamenti costituzionali e internazionali della terzietà del giudice, il collegio ritiene necessarie le seguenti precisazioni. A differenza di quanto affermato in Cass. n. 27404 del 2008 secondo la quale nel giudizio di ricusazione non è possibile individuare una controparte in quanto il diritto del litigante ad essere giudicato da un giudice terzo e imparziale si estrinseca solo nei confronti dell'ordinamento, non sussistendo un contrapposto diritto del giudice a decidere la lite assegnatagli e non essendo ipotizzabile un interesse della controparte del giudizio di merito ad interferire nel giudizio di ricusazione , occorre evidenziare che, se è vero che nel procedimento di ricusazione non esiste un diritto del giudice a decidere la lite assegnatagli, esiste tuttavia un dovere di tale giudice di non sottrarsi, se non in presenza delle situazioni specificamente considerate dal legislatore, alla decisione della controversia della quale egli risulti giudice naturale o che comunque ove si ritenga il primo comma dell'art. 25 Cost. riferito solo al giudice inteso come organo non anche come persona fisica gli risulti assegnata secondo criteri tabellari predeterminati. È poi ulteriormente da sottolineare che fa capo alla controparte” del ricusante il diritto a che la controversia, in assenza delle condizioni espressamente previste dall'ordinamento, non sia sottratta al suo giudice naturale o comunque l'interesse a che la controversia non sia indebitamente sottratta al giudice tabellarmente predeterminato , e, in ogni caso, più in generale, il diritto, costituzionalmente presidiato, ad un processo giusto , che, come verrà in seguito chiarito, deve ritenersi comprensivo non solo del diritto ad un giudice imparziale ma anche ad un processo di durata ragionevole, nel quale gli strumenti processuali previsti dall'ordinamento non vengano, in ipotesi, utilizzati, al di là e oltre la funzione loro propria, al fine di allungare in maniera irragionevole i tempi del processo medesimo, ovvero di perseguire, ad esempio attraverso la pretestuosa reiterazione di istanze processuali, finalità emulative , oppure, ancora, di scegliersi il giudice o anche solo di sottrarsi ad un giudice non gradito. 1a. Sull'abuso del processo. A migliore chiarimento di quanto sopra, va precisato che è ormai acquisita una nozione comune dell'abuso del processo civile e penale elaborata a partire dall'altrettanto consolidata e risalente nozione generale dell’abuso del diritto, riconducibile al paradigma dell'utilizzazione di esso per finalità oggettivamente non solo diverse ma in alcuni casi perfino pregiudizievoli all'interesse in funzione del quale il diritto è riconosciuto. Il carattere generale del principio discende dal fatto che ogni ordinamento che aspiri a completezza e funzionalità deve tutelarsi per evitare che i diritti da esso garantiti siano esercitati o realizzati, pure a mezzo di un intervento giurisdizionale, in maniera abusiva , ovvero eccessiva e/o distorta. L'esigenza di individuare un limite agli abusi si estende dunque dal diritto sostanziale al processo, trascende le peculiari connotazioni dei vari sistemi, trovando ampio riscontro non solo negli ordinamenti processuali interni, ma anche in quelli sovranazionali e venendo univccamente risolta, sia a livello normativo che interpretativo, nel senso che l’uso distorto del diritto di agire o reagire in giudizio, volto alla realizzazione di un vantaggio diverso e/o contrario allo scopo per cui il diritto o la facoltà processuale sono riconosciuti, non ammette tutela v. in particolare per il processo civile, s.u. civ. n. 23726 del 2007 -secondo la quale l'abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale contrasta con i principi di correttezza e buona fede e col principio costituzionale del giusto processo- per il processo penale, s.u. pen. n. 155 del 2011 in ambito sovranazionale, articolo 35, par. 3 a – già 35, par. 3, e prima 27 - della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - secondo il quale la Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell'articolo 34 se ritiene che il ricorso è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente infondato o abusivo - che, nella consolidata interpretazione della Corte di Strasburgo, consente di ritenere abusivo e perciò irricevibile il ricorso quando la condotta ovvero l'obiettivo del ricorrente siano manifestamente contrari alla finalità per la quale il diritto di ricorrere è riconosciuto - v. esplicazione della norma divulgata dalla Corte di Strasburgo nella guida pratica sulla ricevibilità al punto 134 - il provvedimento della CEDU del 18 ottobre 2011, Petrovic c. Serbia, ric. n. 56551/11 - in relazione al concetto di abuso, ai sensi dell'articolo 35 par. 3 della Convenzione inteso come esercizio dannoso di un diritto, per scopi diversi da quelli per i quali è previsto - nonché, infine, la vasta giurisprudenza della Corte di Giustizia UE - che richiama la nozione di abuso per affermare la regola interpretativa secondo la quale chi si appelli al tenore letterale di disposizioni dell'ordinamento comunitario per far valere avanti alla Corte un diritto che confligge con gli scopi di questo, non merita che gli si riconosca quel diritto, v. in particolare sentenza 20 settembre 2007, causa C 16/05, Tum e Dari, punto 64 sentenza 21 febbraio 2006, causa C 255/02, Halifax, e altre ivi citate . 1b. Sulle concrete modalità di sviluppo del contraddittorio. Ritenuta dunque la necessità di un effettivo contraddittorio anche nel procedimento di ricusazione sia in relazione alla natura giurisdizionale del medesimo sia in relazione al diritto di entrambe tali parti ad un processo giusto - tale da intendersi quello dinanzi a un giudice imparziale, concluso in tempi ragionevoli e sviluppatosi senza interferenze determinate dall'uso distorto di diritti e facoltà processuali- il collegio intende precisare che il riconoscimento di tale necessità è cosa diversa dal riconoscimento, alle parti del processo al quale la ricusazione accede, di termini in vista della trattazione della medesima. La disciplina dettata dagli artt. 51-54 c.p.c. non prevede in proposito alcun termine né opera rinvio ad altri tipi di procedimento contemplati nel codice di rito e prevedenti i termini suddetti. Tale disciplina, non casualmente sobria e rigorosa, tratteggia dunque un procedimento essenziale e informale, volto a decidere rapidamente sull'istanza di ricusazione, in consonanza con la tendenziale non complessità in fatto delle questioni in discussione siccome individuabili sulla base dell'art. 51 c.p.c. , con la natura incidentale del procedimento e, soprattutto, col principio di ragionevole durata del processo. Nel procedimento di ricusazione deve quindi essere garantito il contraddittorio nel senso che le parti devono essere messe in condizione di intervenire e adeguatamente interloquire, ma ciò, ove possibile, deve accadere salvo che specifiche caratteristiche della questione o altre situazioni peculiari prospettate dalle parti inducano il giudice ad una considerazione diversa in tempi brevi o brevissimi , in ogni caso senza che sia configurabile un diritto a tempi e/o termini predeterminati, non previsti dalla disciplina vigente e non compatibili con le caratteristiche e la natura del procedimento. Tanto premesso in linea generale, occorre osservare che nella specie di stato effettivamente garantito il contraddittorio, posto che del giorno fissato per la trattazione si è disposta la comunicazione alle parti del processo nel quale è stata proposta la revocazione e che all'adunanza camerale sono intervenuti la parte istante in ricusazione ed il PG, mentre le altre parti non hanno ritenuto di intervenire. È peraltro da aggiungere che nessuna delle parti ha nella specie in alcun modo affermato di non essere intervenuto - ovvero di essere intervenuto ma di non aver comunque potuto adeguatamente interloquire – per l’incongruità del tempo a disposizione né ha chiesto, per tale motivo, rinvio della trattazione. 2. Sull'audizione del giudice ricusato. L'istante nel proprio ricorso deduce che in penale l'audizione del giudice ricusato viene compiuta solo se occorre mentre in civile è obbligatoria” in quanto espressamente prevista dall'art. 53 comma 2 c.p.c L'affermazione merita alcune precisazioni. Come già sottolineato, il giudice ricusato non è parte del procedimento di ricusazione e pertanto non è configurarle un contraddittorio nei suoi confronti, cionondimeno la sua presenza nel procedimento suddetto va doverosamente considerata, e ciò sotto due diversi profili, la cui mancata valutazione può ingenerare confusione in ordine alla contrapposizione tra necessità o discrezionalità dell'audizione, soprattutto ove non si chiarisca se esse siano da riferirsi al giudice della ricusazione ovvero al giudice ricusato. Un primo profilo sotto il quale va considerata la presenza del giudice ricusato è senza dubbio quello lato sensu a tutela del giudice medesimo. È vero che egli non è parte del procedimento di ricusazione e pertanto non può a suo riguardo venire in considerazione un contraddittorio in senso tecnico ed è vero altresì che il procedimento de quo non è e non può in alcun modo configurarsi neppure come un procedimento a carico del suddetto giudice, tuttavia è anche vero che l'istanza di ricusazione lo riguarda personalmente ed occorre pertanto che gli sia sempre data, se lo ritiene, la possibilità di intervenire nel procedimento per fornire la sua versione , precisare o chiarire alcuni aspetti della questione dedotta, o anche, eventualmente, proporre richiesta di astensione. Sotto questo primo profilo, occorre indubbiamente sempre mettere il giudice ricusato nella condizione di conoscere della ricusazione e della data fissata per la relativa trattazione, al fine di consentirgli di essere ascoltato, se lo ritiene, dovendo pertanto concludersi che in questo caso è obbligatorio per mutuare la terminologia del ricorrente per il giudice della ricusazione consentire al giudice ricusato di essere ascoltato, ma non è obbligatorio per quest'ultimo farsi sentire, con la precisazione che della eventuale mancata possibilità di intervenire alla trattazione della ricusazione potrà evidentemente dolersi solo il giudice ricusato, essendo la previsione da ritenersi a sua tutela . Un secondo profilo sotto il quale va considerata la presenza del giudice ricusato nel procedimento di ricusazione è quello lato sensu istruttorio , in quanto, pur non essendo ipotizzabile una testimonianza” del giudice ricusato, potrebbe essere ritenuto necessario un suo appoorto in termini di informazioni o chiarimenti sia il codice di procedura civile che il codice di procedura penale considerano l'eventualità di una pur sommaria istruttoria nell'ambito del procedimento di ricusazione - il primo prevedendo, al secondo comma dell'art. 53, l'assunzione delle prove offerte quando occorre , e il secondo, all'art. 41, prevedendo che la Corte decide dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni - . In relazione a tale secondo profilo l'audizione del giudice ricusato non può evidentemente che essere eventuale, dovendo essere disposta tanto nel processo penale che in quello civile, secondo le norme richiamate solo se ritenuta necessaria, ma, una volta disposta, non è ovviamente più discrezionale per il giudice ricusato, nel senso che non gli è più concesso di scegliere se farsi sentire o meno, trattandosi di un'audizione non prevista nel suo interesse ma ritenuta necessaria a finalità istruttorie. A differenza del codice processuale penale, quello di tutela” civile contempla entrambi i profili sopra delineati quello di tutela del ricusato e quello istruttorio laddove, al citato articolo 53, prevede che il giudice decide sulla ricusazione udito il giudice ricusato e assunte, quando occorre, le prove offerte . Tanto chiarito in linea generale, occorre precisare che nella fattispecie in esame i giudici ricusati erano a conoscenza della proposta ricusazione – in relazione alla quale non si è più tenuta l'udienza del 29.04.2014 – e che sono stati informati per le vie brevi della data fissata per la presente trattazione, ma non hanno ritenuto di intervenire. Deve altresì evidenziarsi che non risultano sollecitati dal ricusante incombenti istruttori comprendenti l'audizione dei giudici ricusati per informazioni o chiarimenti ed inoltre che il collegio, considerate le caratteristiche delle ricusazioni in discussione implicanti istruttoria esclusivamente documentale non ha ritenuto che occorresse sentire con finalità istruttorie, su specifici aspetti della vicenda, i magistrati ricusati. 3. Sulla affermazione - resa verbalmente dal ricorrente all'odierna adunanza - relativa alla fissazione, per il successivo 3 luglio, dinanzi ad un collegio di questa Corte non a sezioni unite , della trattazione di un’istanza di ricusazione proposta dal medesimo ricorrente nei confronti, tra gli altri, della Dottoressa A.A. , componente questo collegio. In fatto, occorre rilevare che l'affermazione di cui sopra non è stata preceduta né accompagnata da un ricorso per ricusazione nei confronti della dottoressa A. in relazione al presente procedimento e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la pretesa incompatibilità di uno dei giudici che hanno composto il collegio può esser fatta valere soltanto con la ricusazione nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 cod. proc. civ. e non dà luogo al vizio di costituzione, ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio” v. cass. n. 21287 del 2007 e n. 16861 del 2013 . È peraltro da aggiungere che la semplice affermazione della esistenza di un ricorso per ricusazione proposto dalla stessa parte in altro processo senza neppure produrre il suddetto ricorso o precisarne il contenuti non significa di per sé allegazione dell'esistenza di motivi di ricusazione anche in procedimento diverso riguardante la medesima parte e il medesimo giudice, posto che non tutte le ipotesi di astensione obbligatoria considerate dall'art. 51 c.p.c. sono riferibili, in relazione ad un determinato giudice, a tutte le controversie riguardanti una determinata parte, riguardando alcune di esse esclusivamente singole, specifiche controversie. 4. Sulla eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 53 comma 1 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3, 24, e 111 Cost., nella parte in cui attribuisce ad un collegio composto da soli giudici togati, senza il correttivo della presenza quantomeno di rappresentanti della collettività , la decisone sulle ricusazioni. L'eccezione è manifestamente infondata. Occorre premettere che il giudice della controversia è innanzitutto giudice della propria legittimazione a decidere. È pertanto suo potere ma soprattutto suo dovere procedere al controllo preventivo della propria regolare investitura e composizione, compatibilità, giurisdizione, competenza, al fine di proteggere il deliberato finale da possibili illegittimità. In questa fase vanno inseriti incidenti come l'astensione o la la ricusazione, dovendo, con particolare riguardo a quest'ultima, ritenersi che nella previsione codicistica anche le parti, pur ciascuna portatrice di propri interessi sostanziali contrapposti, contribuiscano a questa preventiva attività di controllo in vista della protezione del deliberato, finale ad ogni illegittimità ed in funzione dell'interesse generale oltre che proprio al corretto esercizio della giurisdizione. È da considerarsi anche in quest'ottica la scelta del legislatore di rimettere la decisione sulla ricusazione non solo ad un giudice, ma proprio allo stesso collegio al quale appartiene il ricusato ovviamente privato” del medesimo , ed è anche in quest'ottica che va letta la previsione di un'astensione che non opera ipso iure ma deve necessariamente essere autorizzata dal capo dell'ufficio cui appartiene il giudice che chiede di astenersi. Tanto chiarito sul piano generale, va altresì ribadito che né strutturalmente né concettualmente il procedimento di ricusazione può configurarsi come un procedimento a carico del giudice ricusato, e neppure un procedimento del quale egli sia parte , con la conseguenza che non può ritenersi fondato un generico sospetto di parzialità del giudice della ricusazione in ragione della mera colleganza col giudice ricusato, e perciò tanto meno dedursi l'illegittimità costituzionale della disciplina in esame nella parte in cui non prevede che la ricusazione venga giudicata anche da rappresentanti della collettività . Peraltro, anche se il problema a differenza di quanto accade nella specie si ponesse in rapporto a controversie in cui il giudice fosse effettivamente parte di un processo civile oppure imputato o persona offesa ovvero danneggiato da un reato in un processo penale, il sospetto di parzialità tale da determinare un diverso trattamento delle suddette cause dovrebbe essere fondato su qualcosa di più specifico del mero rapporto di colleganza tra giudici togati, che di per sé solo considerato non autorizza una preconcetta presunzione di favore nei confronti del collega al punto da imporre la previsione di una diversa composizione del giudice della ricusazione, questa sì potenzialmente illegittima sotto il profilo costituzionale perché idonea a creare ingiustificate disuguaglianze sul piano della tutela giurisdizionale, sottoponendo alcune controversie meglio, segmenti incidentali di esse al giudizio di giudici in certa misura speciali”. Il legislatore agli artt. 11 c.p.p. e 30 bis c.p.c. si è posto il problema del giudice dei giudici , non certo in maniera generica, astratta aprioristica in relazione a tutti i giudici solo in ragione del rapporto di colleganza”, ma con specifico riferimento al particolare rapporto dì contiguità che potrebbe crearsi tra colleghi che lavorano nel medesimo distretto, inoltre non con riferimento ad un procedimento incidentale che, come la ricusazione, non vede il magistrato né parte né imputato né offeso o danneggiato dal reato, bensì con riferimento alle ipotesi di magistrati che invece sono appunto parti di un processo civile oppure assumono la qualità di imputato, persona offesa o danneggiata dal reato in un processo penale, e lo ha risolto non prevedendo che tali controversie siano decise da un giudice speciale o comunque diverso , bensì prevedendo soltanto una differente regolamentazione della competenza territoriale un diverso foro per le controversie riguardanti magistrati , come recita la rubrica dell'art. 30 bis c.p.c. . Cionondimeno la Corte costituzionale è in più riprese intervenuta a ridimensionare considerevolmente la portata del suddetto art. 30 bis c.p.c., prima, con la sentenza n. 444 del 2002, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui si applica ai processi di esecuzione forzata promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto di corte d'appello comprendente l'ufficio giudiziario competente ai sensi dell'art. 26 c.p.c., e successivamente, con la sentenza n. 147 del 2004, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'intero primo comma del citato articolo ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti il risarcimento del danno da reato di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all'art. 11 c.p.p. . In particolare, la Corte ha ritenuto l'illegittimità costituzionale della norma in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione perché l'art. 30-bis c.p.c. si riferisce a tutte le categorie di cause civili e non solo a quelle per le quali possa riscontrarsi la medesima ragione giustificativa della regola di competenza derogatoria posta dall'art. 11 c.p.p., e, sottraendole alla normale competenza territoriale, le assoggetta ad un diverso criterio di competenza, di portata generale, solo perché in concreto ne è parte un magistrato in servizio nel distretto del giudice ordinariamente competente. In particolare, secondo il giudice delle leggi, l'incostituzionalità della norma in questione deriverebbe dall'assumere come preminente l’esigenza di tutelare l'imparzialità - terzietà del giudice concependola in termini del tutto astratti e generali, omettendo completamente la valutazione selettiva ritenuta necessaria per garantire alle pretese dedotte nei vari tipi di processo civile una tutela giurisdizionale pienamente correlata alle rispettive peculiarità, irragionevolmente confondendole in un'indifferenziata disciplina uniforme e così intaccando in misura rilevante il contenuto specifico che, in ciascun tipo, assume il diritto di agire e di difendersi in giudizio, sia della parte magistrato che delle altre parti. La ragioni poste a fondamento della ritenuta illegittimità costituzionale del citato art. 30 bis c.p.c. rendono superfluo ogni ulteriore argomento in relazione alla eccezione di illegittimità costituzionale in essere, che peraltro, ripetesi, risulta proposta in relazione ad un procedimento che neppure vede il giudice come parte ovvero imputato, persona offesa o danneggiato da reato ed indica come soluzione in certa misura necessitata dai precetti costituzionali richiamati la creazione di un giudice ad hoc per le ricusazioni, composto in parte da estranei alla giurisdizione, o comunque da non togati e non necessariamente tecnici. 5. Sulla ricusazione proposta nei confronti del Dottor M.C. . Il suddetto magistrato, componente il collegio delle sezioni unite che avrebbe dovuto trattare la controversia all'udienza del 29.04.2014, risulta dal giugno scorso cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, pertanto sulla sua ricusazione non vi è luogo a provvedere, posto che l’istanza di ricusazione è lo strumento attribuito alla parte per denunciare l’esistenza di una delle situazioni che possono fondare il sospetto di parzialità del giudice ed ha carattere strumentale rispetto alla decisione di merito, con la conseguenza che, qualora non vi sia più la possibilità che il giudice ricusato partecipi alla decisione di merito, non vi è motivo di decidere sull'istanza di ricusazione. In tal senso è concorde la giurisprudenza di questo giudice di legittimità v. tra le altre cass. n. 6257 del 2002 e n. 13570 del 2000, quest'ultima riferita alle ipotesi di magistrati trasferiti o in aspettativa . 6. Sui motivi di ricusazione. Col ricorso in decisione il ricorrente ricusa i dottori R. , P. , Ma. , S.G. e V. per aver partecipato al collegio delle s.u. che all'udienza del 14.05.2013 ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 23861/2012 nella considerazione per la quale avverso un atto del giudice penale viziato da nullità/inesistenza giuridica, non immediatamente impugnabile ma incidente immediatamente sul diritto di difesa non sarebbe proponibile autonoma azione di nullità/inesistenza giuridica nanti il giudice civile nonché nella convinzione che il regolamento di giurisdizione richiesto non sarebbe proponibile, richiamando in proposito le tecnicamente abnormi e aberranti pronunce SSUU 26949/06 10959/05 e ignorando che il difetto di giurisdizione non era stato dedotto dal ricorrente ma dal Tribunale di Cagliari i Dottori R. , M. , D. , S.G. e V. per aver partecipato al collegio delle s.u. che all'udienza del 18.12.2012 ha dichiarato inammissibili i ricorsi n. 19886/12 e n. 19883/12 nella convinzione che si trattasse di ricorsi impugnatori non consentiti laddove si trattava di ricorsi con i quali si chiedeva la revoca non la revocazione di due analoghi provvedimenti anomali, di tipo amministrativo, non previsti dall'ordinamento, con i quali altri due collegi delle sezioni unite avevano casi unici, salvo errore, nella storia giurisprudenziale Italiana deciso di rimettere alle sezioni penali due ricorsi correttamente proposti alle sezioni civili prospettando motivatamente questioni di giurisdizione, motivazione ignorata perché non superabile il Dottor Ma. per avere, quale relatore-estensore partecipato al collegio della sezione lavoro della Corte che l'11.04.2013 ha dichiarato inammissibile il ricorso in revocazione recante il n. 2916/11 escludendo la sussistenza del denunciato errore revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c., in quanto ciascuno corresponsabile unitamente ai componenti dei relativi collegi di pronunce anomale sulla base di considerazioni che neppure il più sprovveduto degli studenti universitari in materia sarebbe giunto a formulare , non spiegandosi perciò il suddetto operato se non in termini di preconcetta posizione negativa , deponente per un atteggiamento di inimicizia verso l'odierno istante rilevante ex art. 51 comma 1 n. 3 c.p.c. , con la considerazione aggiuntiva che il non essersi i suddetti magistrati astenuti dal trattare le cause che qui occupano, nonostante l’anomalo operato di cui sopra depone per un loro interesse personale non legittimo ex art. 51 comma 1 n. 1 c.p.c. sia pure di natura morale . Inoltre, in relazione al Dottor D.P. e al dottor M.C. , la cui posizione, però, in relazione a quanto sopra osservato, nella specie non rileva , l'istante deduce la pendenza dinanzi al Tribunale civile di Roma di causa promossa dal medesimo istante ex art. 2 e ss. L. 117/1988, pendenza che come capitato di recente per altri magistrati della Corte avrebbe dovuto indurre il suddetto magistrato ad astenersi. Infine, in calce alla esposizione relativa a ciascuno dei giudici ricusati escluso il Dottor M.C. , l'istante aggiunge che sarà proposta azione ex artt. 2 e segg L. 117/88 . 6a. Sui motivi fondati sul tenore di decisioni assunte da colleghi dei quali facevano parte i giudici ricusati e delle relative motivazioni . È indubbio che la sottrazione di una controversia al giudice natuale” o omunque al giudice individuato sulla base di tabelle e/o criteri predeterminati può essere ammessa solo in ipotesi tassative e per giustificazioni rilevanti sul piano costituzionale. Su questa base la dottrina ha in grandissima parte escluso l’interpretazione estensiva e/o analogica delle ipotesi contemplate dall'art. 51 c.p.c. e la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato ormai da circa mezzo secolo che l'art. 51 c.p.c. enumera in maniera tassativa i casi di astensione obbligatoria del giudice, ai quali corrisponde la facoltà di ricusazione ad iniziativa delle parti v, tra le altre già su n. 664 del 1964 e cass. n. 2455 del 1972 . Occorre ancora precisare che i motivi di astensione obbligatoria/ricusazione di cui al citato art. 51 c.p.c. sono tradizionalmente divisi in due categorie a seconda che dipendano dal rapporto in cui il giudice si trova con l'oggetto della causa ovvero con le parti, e che le ipotesi di astensione obbligatoria da ritenersi, per quanto sopra esposto, di stretta interpretazione richiamano la pregressa attività del giudice solo nel caso contemplato dal n. 4 comma primo dell'art. 51 c.p.c. l'aver il giudice conosciuto del processo in altro grado , ipotesi che riguarda il medesimo processo e si riferisce al dato oggettivo della pregressa conoscenza del processo da parte del giudice. Tanto premesso, la caratteristica del caso che ci occupa consiste nel fatto che il ricorrente denuncia come motivo di ricusazione l'inimicizia di ciascuno dei giudici ricusati nei suoi confronti ma non riferisce la causa” della suddetta inimicizia, limitandosi a dedurre la sussistenza di essa dal tenore” delle considerazioni esposte nelle motivazioni di alcune decisioni assunte in altri processi, dei quali esso ricorrente era parte o difensore, da collegi composti anche dai magistrati ricusati, e ciò perché le suddette considerazioni sarebbero tali da non poter essere espresse neppure dal più sprovveduto studente universitario della materia e quindi non sarebbero spiegabili se non in termini di preconcetta posizione negativa, fatti, questi, deponenti per un atteggiamento di inimicizia verso il ricorrente medesimo. Il ricusante tra le altre richiama, a sostegno della propria tesi, l'ordinanza delle sezioni unite civili n. 12345 del 2001, secondo la quale il giudice può essere ricusato anche in relazione al pregresso operato in altre vicende processuali nel caso di violazione grossolana e macroscopica di principi giuridici, indicativa di un esercizio della giurisdizione volto allo scopo di danneggiare la parte per ragioni di ostilità o di rancore nonché la sentenza della cassazione penale n. 316 del 2000, secondo la quale la condotta endoprocessuale del giudice non impedisce la ricusazione nell'ipotesi in cui sia indice di malafede, di dolosa scorrettezza, di vero e proprio abuso della funzione da parte del giudice stesso, che finisce così per abdicare al proprio ruolo di giudice terzo e imparziale, dovendo trattarsi, quindi, di un comportamento che presenti aspetti talmente anomali e settari da doverlo considerare considerare necessariamente, sul piano logico, manifestazione, nella sede giudiziaria, di una grave inimicizia verso l'imputato . In proposito è tuttavia da osservare che questa Corte di legittimità ha anche ripetutamele affermato che solo nell'ambito del medesimo processo e delle diverse fasi di impugnazione , ai sensi dell'art. 161 cod. proc. civ., è consentito dedurre errori, nullità, illegittimità o irregolarità in esso verificatesi, ed ove tali deduzioni intervengano in un diverso processo il giudice adito non ha il potere, neanche in via incidentale, di rilevare, dichiarare o correggere gli eventuali errori o le nullità ed illegittimità dell'altro processo v. da ultimo cass. n. 22506 del 2013 e n. 1083 del 2013 . Per poter, sia pure incidentalmente, rilevare o comunque anche solo considerare anomalie di carattere macroscopico e grossolano relative a provvedimenti emessi in altri processi occorrerebbe dunque ipotizzare che esse siano tali da non consentire neppure più l'identificazione dell'atto come provvedimento giurisdizionale. È peraltro appena il caso di rilevare che, ove anche si ritenesse possibile, nell'ambito del procedimento sulla ricusazione, un accertamento incidentale su provvedimenti pregressi del giudice ricusato riguardanti la parte ricusante, ed in tali provvedimenti fossero effettivamente riscontrabili violazioni macroscopiche e grossolane , occorrerebbe, secondo l'impostazione del ricorrente, ancora procedere, in via ulteriormente incidentale, all'accertamento della commissione di un vero e proprio rato da parte del giudice ricusato tale dovendosi qualificare un provvedimento anomalo assunto sulla base di una preconcetta posizione negativa nei confronti del ricusante, in quanto dolosamente contrario ai doveri d’ufficio e tale ulteriore accertamento incidentale dovrebbe essere effettuato sulla base di una semplice presunzione, per giunta fondata su di un solo indizio, tutt'altro che univoco potendo per assurdo un provvedimento giuridicamente aberrante essere piuttosto ascrivibile ad una incapacità naturale del giudice che non a dolo, essendo peraltro verosimile che in caso di ipotetico dolo il giudice, tecnicamente provveduto, sarebbe forse attento ad evitare e/o mascherare violazioni di legge in modo che non risultino macroscopiche e/o grossolane . Inoltre, in via ulteriore incidentale ed in via ulteriormente presuntiva quindi, sempre per assurdo, con una sorta di praesumptio de praesumpto , ancora una volta unico sulla base di un unico e non e non univoco indizio, il giudice della ricusazione dovrebbe accertare che il provvedimento - in ipotesi macroscopicamente dolosamente e, al contempo, dolosamente anomalo emesso dal ricusato - derivi proprio da inimicizia nei confronti del ricusante, per giunta grave. É inoltre da precisare che l'ipotetica emissione, da parte del giudice ricusato, di uno o più provvedimenti in ipotesi anomali a punto da poter essere ritenuti solo effetto di preconcetta posizione negativa nei confronti del ricusante costituirebbe in ogni caso solo il sintomo, non la causa” dell'inimicizia che nella specie il ricusante nulla ha dedotto in ordine alle ragioni della suddetta inimicizia, limitandosi a prospettare, come sopra esposto, solo una catena di presunzioni su fatti sintomatici, senza neppure accennare alle ragioni per le quali i diversi magistrati ricusati dovrebbero nutrire sentimenti di ostilità nei suoi confronti che il ricusante in ricorso riferisce solo di inimicizia sia pure indicata come rilevante ex art. 51 comma 1 n. 3 c.p.c. , senza neppure allegarne la gravità, espressamente richiesta dal codice di rito. È infine da evidenziare che proprio i due precedenti di questa Corte richiamati dal ricorrente precisano che l'inimicizia deve riguardare rapporti estranei al processo, e non può, in linea di principio, consistere in comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte, la quale è tenuta a indicare fatti e circostanze concrete, che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione v. su n. 12345 del 2001 cit. e chiariscono che la grave inimicizia del magistrato deve comunque trovare ancoraggio in dati di fatto concreti e precisi estranei alla reatà processuale, autonomi rispetto a questa, che deve solo costituire un sintomatico momento dimostrativo - per induzione - della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la ricusazione v. cass. pen. n. 316 del 2000 cit. . 6b. Sul motivo di ricusazione fondato sulla allegazione della pendenza di azione di responsabilità ai sensi della L. n. 117 del 1988. In relazione al Dottor D.P. e al Dottor M.C. , la cui posizione tuttavia, per quanto sopra esposto, non rileva nella specie il ricusante deduce anche la pendenza di causa civile promossa ai sensi degli artt. 2 e ss. L. n. 117 del 1988, in relazione alla partecipazione del suddetto Dottor D. al collegio delle SU del 16.06.2009 che avrebbe, con provvedimenti anomali, rigettato numerosi ricorsi proposti dal medesimo ricorrente. In proposito si osserva che la causa ai sensi dell'art. 2 ss. Legge n. 117 del 1988 non è promossa nei confronti del magistrato ma dello Stato sia pure per ipotizzata responsabilità del suddetto magistrato e pertanto non può ritenersi ricorrente l'ipotesi di cui al n. 3 comma 1 dell’art. 51 c.p.c. in quanto non può tecnicamente affermarsi la pendenza di una causa tra la parte ricusante e il giudice ricusato, anche in relazione a tutto quanto sopra esposto con riguardo alla tassatività delle ipotesi di astenzione obbligatoria/ricusazione previste dal citato art. 51 c.p.c. ed al divieto di interpretazione estensiva e/o analogica delle suddette previsioni. È da aggiungere, peraltro, che nella specie il ricorrente non ha neppure precisato se nelle suddette cause sia stato o meno superato il vaglio di ammissibilità di cui all'art. 5 della citata l. n. 117 del 1988. A maggior ragione non può rilevare come motivo di ricusazione la precisazione in ricorso, per ciascuno dei magistrati ricusati ad eccezione del Dottor M.C. , che l'azione di responsabilità ex art. 2 l. n. 117 del 1998 sarà proposta . 6c. Sulla indicazione, quale motivo di ricusazione, della mancata richiesta, da parte dei magistrati ricusati, di astenersi dal trattare le cause che qui occupano, nonostante l'anomalo pregresso operato di cui sopra, deponente per un loro interesse personale non legittimo ex art. 51 comma 1 n. 1 c.p.c. sia pure di natura morale nonché sul rilievo che la dedotta pendenza del processo ex art. 2 e ss. l. n. 117 del 1988 avrebbe dovuto – come capitato di recente per altri magistrati della Corte - indurre il Dottor D. ad astenersi . In proposito deve innanzitutto osservarsi che, come già rilevato, il giudice ha il dovere di non sottrarsi alla decisione della controversia della quale risulti giudice naturale o comunque della quale risulti assegnatario secondo criteri tabellari predeterminati se non in presenza delle situazioni di stretta interpretazione specificamente considerate dal legislatore, ed ha quindi il dovere di valutare con molto rigore la sussistenza di ipotesi obbligatorie o meno di astensione, evitando di ricorrere ad essa in assenza dei relativi presupposti anche e soprattutto quando alcune circostanze -ad esempio reiterazione di istanze di ricusazione infondate o annunci di azioni ex art. 2 l. n. 177 del 1988 - potrebbero in ipotesi indurre a scelte comunque più semplici” o comunque più comode come la richiesta di astensione , ciò innanzitutto al fine di evitare che un ipotetico atteggiamento muscolare assunto da una delle parti nel processo possa finire per avere ragione dei principi costituzionali in materia di giurisdizione e che un possibile uso distorto del sacrosanto diritto delle parti ad un giudice terzo ed imparziale possa in ipotesi trasformarsi in strumento per sottrarsi al giudice sgradito e/o alla decisione. Si osserva inoltre che, come pure già rilevato, le ipotesi di astensione facoltativa sono rimesse alla attenta valutazione del giudice medesimo e del capo del suo ufficio, mentre le ipotesi di astensione obbligatoria possono essere fatte valere dalla parte esclusivamente con l'istanza di revocazione la parte non può quindi dolersi della mancata astensione del giudice né, a fortiori, trarre dalla stessa elementi sintomatici a favore dell’esistenza di valide ragioni di ricusazione. Tanto premesso sul piano generale, è in ogni caso dirimente osservare che in questa sede, sulla base di quanto fin qui esposto, si è esclusa la sussistenza di legittime ipotesi di ricusazione quindi di astensione obbligatoria , pertanto la mancata astensione dei giudici ricusati in relazione alle circostanze dedotte nel ricorso in esame non può in alcun modo essere considerata ai fini della ricusazione proposta, tanto meno come indice indiretto di un interesse personale non legittimo, ancorché di natura morale, trattandosi invece dell'adempimento, da parte del giudice, del dovere di non sottrarsi in assenza dei presupposti specificamente previsti dal legislatore alla decisione delle controversie delle quali egli risulti legittimamente assegnatario. 10. In conclusione. Deve pertanto dichiararsi non luogo a provvedere sulla ricusazione proposta nei confronti del Dottor M.C. . Devono invece essere rigettate le ricusazioni proposte nei confronti degli altri sette magistrati sopra indicati. Non risultando alcuna attività difensiva proveniente dalla controparte del ricusante, non vi è da provvedere sulle spese del presente procedimento incidentale. Sulla base del secondo comma dell'art. 54 c.p.c. prevedente che con l'ordinanza con cui rigetta o dichiara inammissibile la revocazione il giudice può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore ad Euro 250 , ed alla luce di quanto fin qui esposto, si ritiene di condannare il ricorrente al pagamento della pena pecuniaria nella misura si Euro 100,00 per ciascuna delle ricusazioni proposte e rigettate e pertanto nella misura totale di Euro 700,00. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, dichiara non luogo a provvedere sulla ricusazione proposta nei confronti del Dottor M.C. . Rigetta le ricusazioni proposte nei confronti dei Dottori R. , P. , M. , Ma. , D. , S.G. e V. . Condanna l'istante al pagamento della pena pecuniaria nella misura complessiva di Euro 700,00.