Sì al pignoramento dell’immobile destinato ai bisogni familiari per debiti diversi da questo scopo

Il Collegio, in assenza di linee guida della Cassazione, adotta un’esegesi restrittiva del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter cc per non svuotare di significato il principio di responsabilità patrimoniale del debitore ai sensi dell’art. 2740 c.c Stabilisce che non si può autoimporre un vincolo di destinazione, con un negozio destinatorio puro, su tutto od una parte del proprio patrimonio, senza che sia collegato ad altra fattispecie contrattuale, tipica od atipica, dotata di autonoma causa e/o, qualora ammesso, gli interessi meritevoli di tutela devono essere specificati nell’atto costitutivo.

È questa la massima ricavabile dall’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia, in composizione collegiale, depositata il 12 maggio 2014. La fattispecie attiene ad un’esecuzione immobiliare, basata su un titolo di formazione giudiziale relativo ad un debito professionale. Il caso. Con questa ordinanza ha respinto il reclamo contro la decisione del G.E, in sede di opposizione all’esecuzione immobiliare, promossa dal ricorrente, di concederne la sospensione. Il bene oggetto di esecuzione coattiva era gravato da un vincolo di destinazione e quindi separato dal suo patrimonio doveva soddisfare le esigenze abitative ed i bisogni del nucleo familiare sino al compimento del quarantesimo anno della figlia. Il Collegio ha elaborato l’interpretazione sopra menzionata consentendone il pignoramento anche per un debito contratto per fini diversi da questo ultimo. Vincolo di destinazione ex articolo 2645 ter. Il testo riporta una svista è l’articolo 2645 ter e non il 2740 ter cc. Questa norma è stata introdotta dalla riforma processuale ai sensi della l. n. 51/2006 e prevede la possibilità di destinare beni immobili o mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità , alle P.A. ed ad altri enti o persone fisiche di cui all’articolo 1322, comma 2, c.c., purché con atto avente forma pubblica, trascritto per renderlo opponibile ai terzi. Questi beni ed i loro frutti sono pignorabili esclusivamente per i debiti contratti per lo scopo di destinazione, circostanza che, come detto, non ricorreva nel nostro caso. Due esegesi a confronto no all’autodestinazione. Apparentemente la natura del debito è estranea a tale fine, perciò l’immobile sarebbe impignorabile. Il Collegio, però, non essendoci pronunce della Cassazione sul punto, ha evidenziato che esiste un contrasto giurisprudenziale e che la tesi maggioritaria non ritiene ammissibile autoimporre, tramite un negozio destinatorio puro , un vincolo di destinazione ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c. su un bene già appartenente alla parte per non incorrere nei summenzionati rischi, sottraendolo alla garanzia dei propri creditori. Ergo la portata applicativa della norma, da intendersi sugli effetti e non sugli atti, deve essere interpretata in senso restrittivo, e quindi limitata alle sole ipotesi di destinazione traslativa collegata ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa stessa Corte decreti 27/1/2014 e 6/11/2012, ordinanza 23/3/2007 Tribb. Santa Maria Capua Vetere del 28/11/2013 e Trieste decreto 7/4/2006 . È palese che la nostra fattispecie rientri in questo divieto. Sì condizionato all’autodestinazione. Questa opinione minoritaria, basandosi sull’esegesi del lemma meritevoli di tutela e sul richiamo all’articolo 1322 cc, impone un quid pluris per riconoscere la validità del vincolo di destinazione non solo lo scopo deve essere lecito, ma nel bilanciamento degli interessi in gioco quelli tutelati devono prevalere su quelli sacrificati dai creditori del disponenti estranei allo stesso Corte d’Appello di Trieste n. 1002/2013 . Questa analisi deve essere particolarmente penetrante, proprio in ragione delle potenzialità lesive, nei confronti dei creditori, del vincolo autoimposto . Tesi intermedia del Tribunale sì all’esecuzione anche per i debiti professionali. Alla luce di questi orientamenti, nel respingere il reclamo, rileva come la parte non abbia assolto a questi oneri. Infatti la scelta di adibire l’immobile al soddisfacimento dei bisogni familiari è generico e tautologico, così come il termine apposto è irragionevole la figlia è autosufficiente ed in ogni caso si presume che l’obbligo di mantenimento finisca prima di tale data, sì che esso, secondo la Corte, sottintende una volontà di sottrarre l’immobile alla banca creditrice, avendo il chiaro fine di frodarla. È, quindi, lecita l’esecuzione, anche per debiti diversi dallo scopo di destinazione, perché, anche ammettendo detta autoimposizione, l’atto non supererebbe il rigoso vaglio di meritevolezza dei fini prescritto dall’articolo 2645 ter cc. Compensazione delle spese di lite. Data la complessità e la novità della materia, relativa all’interpretazione di una norma, non ancora oggetto dello scrutino della Suprema Corte le spese di lite sono state compensate.

Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 8 – 12 maggio 2014 Presidente Savastano – Relatore Morlini Rilevato che, è pacifico tra le parti, ed è comunque provato per tabulas, che - Banca s.p.a vanta un titolo esecutivo di formazione giudiziale nei confronti di S.M. - il bene immobile oggetto dell'esecuzione, prima del pignoramento, è però stato vincolato, dal debitore, come patrimonio separato ex art. 2645 ter c.comma Pertanto, S.M. ha proposto opposizione air esecuzione, formulando istanza di sospensione ex art. 624 c.p.comma L'istanza di sospensione però stata rigettata dal G.E., ed avverso detto provvedimento il debitore esecutato ha interposto il presente reclamo - ritenuto che, come noto l'articolo 2640 ter c.c., introdotto dall'articolo 39 novies del D.L. n. 273/2005 convertito con modificazioni nella L. n. 51/2006, ha previsto che, con atto soggetto a forma pubblica e trascrivibile ai fini di rendere opponibile ai ferzi di vincolo, è possibile destinare beni immobili o mobili registrati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322 secondo comma , potendo in tal caso i beni vincolati essere esecutivamente aggrediti solo per debiti contratti per lo scopo di destinazione. Nel caso che qui occupa, S.M., in un immobile già di sua proprietà, ha apposto un vincolo di destinazione finalizzato al soddisfacimento delle esigenze abitative ed in genere ai bisogni del nucleo familiare , individuando il termine finale al momento del compimento del quarantesimo anno di età della figlia. Pertanto, argomentando che il debito per cui si procede esecutivamente, avendo natura professionale, non può essere ricondotto alle esigenze abitative ed ai bisogni del nucleo familiare, S. deduce l’impignorabilità del bene oggetto di esecuzione e si oppone quindi alla stessa - considerato che, pur se pregevolmente argomentata, la tesi del reclamante on può essere accolta. Si osserva infarti che, in assenza di pronunce della Suprema Corte sul punto, la maggioritaria tesi giurisprudenziale di merito ha ritenuto che l’art. 2645 ter c.comma non riconosce la possibilità dell'autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà della parte, tramite un negozio destinatorio puro. Diversamente opinando, infatti, verrebbe scardinato dalle fondamenta il sistema fondato sul principio, codificato dall'art. 2740 c.c., della responsabilità patrimoniale illimitata e del carattere eccezionale delle fattispecie limitative di tale responsabilità, atteso che, in forza di semplice volontà unilaterale del debitore, una porzione o financo l'integralità del suo patrimonio, sarebbero sottratti alla garanzia dei propri creditori. Pertanto, la portata applicativa della norma, da intendersi come sugli effetti e non sugli atti, deve essere interpretata in senso restrittivo, e quindi limitata alle sole ipotesi di destinazione traslativa collegata ad altra fattispecie negoziale tipica o atipica dotata di autonoma causa in questi termini, cfr. Trib. Santa Maria Capua a Vetere ord. 28/11/2013, Trib. Trieste decomma 7/4/2006 per questo Tribunale, cfr. poi Trib. Reggio Emilia decomma 27/1/2014, decomma 26/11/2012 decomma 22/6/2012, ord. 23/3/2007 . Tanto basta per disattendere la tesi del reclamante, atteso ché egli ha autoimposto un vincolo di destinazione a un bene già in sua proprietà, tramite un negozio destinatorio puro, ciò che, come detto, non è ritenuto possibile. In ogni caso e comunque, anche a volere in mera ipotesi diversamente opinare, e ritenere quindi in linea teorica ammissibile il negozio destinatorio puro, così accedendo ad una tesi minoritaria e più liberale pur sostenuta giurisprudenza, non sarebbe comunque revocabile in dubbio la necessità di un penetrante scrutinio, previsto peraltro dalla stessa norma con l'inciso meritevoli di tutela e con il richiamo all'art. 1322 comma 2 ce, sulla meritevolezza del negozio è infatti pacifica opinione che, per affermare la legittimità del vincolo di destinazione, non bastale la leicità dello scopo, occorrendo anche un quid pluris integrato dalla comparazione degli interessi in gioco, ed in particolare dalla prevalenza dell'interesse realizzato rispetto all’interesse sacrificato dei creditori del disponente estranei al vincolo cfr. App. Trieste, sent. n. 1002/2013 . Invero, come ha correttamente evidenziato il G.E., si osserva che il Legislatore, in chiave evidentemente riequilibrativa rispetto alle possibilità concesse con il vincolo di destinazione, ha subordinato l'efficacia dello stesso ad un riscontro di meritevolezza in concreto dell'assetto di interessi perseguito dalla parte e tale riscontro deve essere particolarmente penetrante, proprio in ragione delle potenzialità lesive, nei confronti dei creditori, del vincolo unilateralmente apposto. Ciò posto e venendo al caso concreto, pur risultando il fine di fare fronte ai bisogni della famiglia astrattamente meritevole di tutela, la parte avrebbe dovuto chiaramente indicare, in concreto le ragioni che l'hanno indotta ad optare per quella tipologia di vincolo, evidenziando i motivi per i quali la separazione patrimoniale costituisca l'ultimo, o comunque il migliore od il più indicato, strumento per garantire al nucleo familiare quel minimo di tutela che l'ordinamento le riconosce. Invece, il vincolo per cui è processo si è limitato a destinare l'immobile al soddisfacimento delle esigenze abitative ed in genere ai bisogni del nucleo familiare , per di più individuando il termine finale con il compimento del quarantesimo anno di età della figlia. Quindi, per un verso può ritenersi che la destinazione di un immobile abitativo a soddisfare le esigenze abitative della famiglia, costituisca una tautologia per altro verso, l'ulteriore fine del soddisfacimento in genere dei bisogni della famiglia, si appalesa del tutto generico ed inidoneo a chiarire gli specifici bisogni tutelati e le ragioni per cui una simile necessità è sorta da ultimo, il termine finale del compimento del quarantesimo anno di età della figlia appare oggettivamente irragionevole, e come tale lumeggiante un intento fraudolento nei confronti dei creditori, posto che l'autosufficienza di un figlio, e conseguentemente l'obbligo di mantenimento, è presumibilmente raggiungibile ben prima dei quarant'anni. Consegue, in conclusione, che pur volendo in ipotesi ritenere astrattamente ammissibile l'autoimposizione di un atto di destinazione su di un bene già in proprietà, in ogni caso l'atto di destinazione realizzato dal reclamante non sarebbe comunque idoneo a superare il rigoroso vaglio di meritevolezza dei fini comunque prescritto dall'art. 2645 ter c.c. - considerato che, tanto premesso, il reclamo va rigettato, rimanendo assorbita l'ulteriore difesa dei convenuti in ordine all'asserita conducibilità ai bisogni della famiglia del debito contratto, sul presupposto che anche le obbligazioni nascenti dall'attività imprenditoriale e professionale possono rientrare in ta|e nozione. La complessità e la novità della questione trattata, relativa all'interpretazione di una non norma ancora oggetto dello, scrutinio della Suprema Corte, integrano i motivi che, ex art. 92 comma 2 c.p.comma giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. visto l'art. 669 terdeces c.p.c., - rigetta il reclamo - compensa integralmente tra le parti le spese di lite.