Condanna per lite temeraria dietro l’angolo per chi dimentica la mediazione

In quest’ultimo periodo sono sempre di più i provvedimenti in materia di mediazione, sia obbligatoria sia, soprattutto, delegata, che dimostrano come i giudici guardano con sempre più favore all’istituto della mediazione civile.

Le sempre più numerose pronunce da ogni parte di Italia chiariscono molti degli aspetti della disciplina ed offrono soluzioni interpretative che hanno come obiettivo quello di rafforzare i presidi posti dal legislatore per far sì che la mediazione si diffonda sempre di più e il tentativo di mediazione sia effettivo e non soltanto una inutile parentesi o un adempimento burocratico Trib. Firenze, sez. II, giud. Breggia, 19 marzo 2014 . E questo in un momento in cui, in piena sperimentazione legislativa della obbligatorietà della mediazione, si susseguono voci di imminenti riforme urgenti che potrebbero avere come effetto, in verità un po’ paradossale, quello di affossare ancora una volta la mediazione attraverso la previsione di altri strumenti pensati come alternativi” alla mediazione. Ecco allora che in questo quadro alcune recenti pronunce meritano di essere segnalate in quanto, toccando alcuni aspetti come quello della relazione tra la mancata partecipazione alla mediazione e la temerarietà della lite con ogni conseguenza, specialmente, sul carico delle spese di giudizio, permettono di avere un quadro di insieme sufficientemente chiaro della tendenza in atto in materia di accesso alla giustizia Un quadro che – è bene ricordarlo sempre – incide anche sulle modalità con le quali l’avvocato gestisce dal punto di vista tecnico i passaggi per la tutela degli interessi e dei diritti del proprio cliente e che, in prospettiva, ormai prossima, potranno essere suscettibili di sanzione disciplinare come certe recenti esperienze iniziano a dimostrare. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire . Ebbene, proprio con riferimento al ruolo dell’avvocato e alle nuove modalità di accesso alla giustizia merita particolare attenzione l’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere pronunciata nell’ambito di un procedimento di accertamento tecnico preventivo promosso ai sensi dell’art. 696 c.p.c. in relazione ad una fattispecie abbastanza ricorrente. Ed infatti, era accaduto che il conduttore di un appartamento avesse proposto ricorso nei confronti del locatore al fine di far accertare le cause generanti le macchie di muffa e di umidità presenti nell’appartamento . Senonché la locatrice nel costituirsi in giudizio aveva eccepito la non necessità del ricorso poiché ella aveva stragiudizialmente manifestato la propria piena disponibilità ad accertare le cause delle pretese infiltrazioni e ad eliminarle una disponibilità, però, sostanzialmente vanificata dalla mancanza di disponibilità dei conduttori. Nel rigettare la richiesta cautelare il giudice ha osservato come determinante sia stato, oltre il notevole lasso di tempo intercorso tra la comparsa delle macchie di umidità e il ricorso difetto di periculum in mora , la circostanza che, ove mai fossimo in una situazione di pregiudizio irreparabile, la causa di questa avrebbe dovuto essere attribuita al comportamento proprio dei ricorrenti. Del resto – osserva in maniera condivisibile il Tribunale – i ricorrenti avrebbero dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli inviti della locatrice, anche nell’ottica del principio di buona fede tra le parti di un contratto di locazione, che richiede l’adozione di comportamenti collaborativi e positivi . L’allontanamento dalla logica conflittuale . Oltre al rigetto della misura richiesta il giudice aveva altresì condannato i ricorrenti ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. per lite temeraria anche perché si è preferito adire il Tribunale, in un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche alla luce della recente reintroduzione con il decreto del fare della mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi . Una prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie” e della quale, quindi, il difensore deve essere interprete avendo cura di improntare la propria attività stragiudiziale al fine di trovare soluzioni che facilitano le parti quantomeno a dialogare tra di loro e, semmai poi, a sedersi intorno a un tavolo. Al bando tentativi formali di dialogo tra le parti . Ecco allora che con molta chiarezza l’ordinanza afferma come i tentativi di comporre una nascente controversie non solo devono direi naturalmente precedere la proposizione del ricorso al giudice, ma devono anche essere seri e non meramente formali così, ad esempio, l’inviare una comunicazione apparentemente interlocutoria alla controparte e il giorno successivo depositare il ricorso al giudice in assenza di urgenza non potrebbe mai soddisfare il requisito della buona fede e correttezza nella risoluzione stragiudiziale di una controversia. Violazione del dovere di buona fede e correttezza che sempre più spesso viene sanzionato con il ricorso all’istituto della condanna per lite temeraria come dimostra il caso deciso dal Tribunale di Roma con la sentenza 4140/2014 in materia di assicurazioni ove leggiamo che le ragioni di quella condanna sono state individuate nella mancata partecipazione senza giusto motivo al procedimento di mediazione e nella resistenza alla domanda attorea pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa . Ed ancora, nella stessa direzione di rendere sostanziali i tentativi diretti o mediati tra le parti in vista di una futura controversia si muovono anche quelle ordinanze principalmente del Tribunale di Firenze che sottolineano come la partecipazione al tentativo di mediazione debba non soltanto essere una partecipazione personale, ma deve essere una partecipazione che va oltre la mera presenza al primo incontro per dire soltanto magari attraverso i due rispettivi legali a ciò delegati che non si intende partecipare. Peraltro, la partecipazione personale delle parti al primo incontro serve anche per consentire a queste di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti che avrà modo di esplicarsi nella fase della mediazione vera e propria Trib. Firenze, sez. III, giudice Scionti, 17 marzo 2014 Ne deriva un quadro che, oltre che chiaro, appare del tutto condivisibile se si vuole creare una cultura del ricorso al giudice come estrema ratio favorendo e/o rendendo obbligatori certi passaggi come ad esempio un tentativo di dialogo diretto con la controparte sul modello della RC Auto oppure con la mediazione occorre anche che il legislatore adotti una disciplina che consenta che gli strumenti alternativi di risoluzione della controversia che come abbiamo avuto modo di dire recentemente devono essere pensati in una logica di sussidiarietà tra di loro a seconda della escalation del conflitto siano potenzialmente efficaci. Così ad esempio non sarebbe efficace una normativa come quella che le voci di corridoio darebbero come uno dei possibili contenuti dell’emanando decreto legge in materia di giustizia la negoziazione assistita tra avvocati. Orbene, sembra che una norma non soltanto attribuirà alla negoziazione assistita un carattere impropriamente alternativo alla mediazione. Ed infatti, sembra anche che taluno vorrebbe far scattare l’alternatività anche laddove una parte abbia inviato una comunicazione formale di attivazione della negoziazione assistita alla controparte che si sia, però, poi limitata semplicemente a rifiutare la procedura così, ad esempio, l’art. 30 del d.d.l. Venittelli AC 1474 recante Disposizioni concernenti l'istituzione delle camere arbitrali dell'avvocatura presso gli ordini forensi e la disciplina della procedura di negoziazione assistita da un avvocato . Un’ipotesi del genere meriterebbe di essere considerata dal legislatore non per determinare l’effetto di rendere non obbligatoria la mediazione perché non lo potrebbe avere dal momento che le parti non hanno trovato un accordo e la mediazione è istituto del tutto diverso dalla negoziazione assistita , ma per sanzionare la parte non collaborativa , ad esempio, imponendo ad essa soltanto le spese del successivo procedimento di mediazione reso necessario per il suo immotivato rifiuto a sedersi ad un tavolo delle trattative. Un tavolo delle trattative ove, ferma la piena libertà di non concludere accordi che non piacciono, non dobbiamo dimenticare che vige l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza e che le eventuali offerte o rifiuti devono poi apparire ragionevoli e, quindi, ispirate a quel criterio.

Tribunale di Firenze, sez. III Civile - Sezione specializzata in materia di impresa, sentenza 17 marzo 2014 Giudice Scionti Il giudice sciogliendo la riserva che precede e letti gli atti - ritenuto, con riferimento al merito, che le eccezioni sollevate dagli opponenti, in particolare anche con riferimento all’illegittimo e immotivato esercizio del recesso della Banca ingiungente, alla violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e all’erronea indicazione dell’ammontare di interessi anche anatocistici, non possono valutarsi in questa sede gravi motivi idonei alla sospensione del decreto opposto, tenuto conto sia del riepilogo depositato dagli opponenti docomma 21 che semmai, previa illustrazione delle metodologie svolte a mezzo di effettiva consulenza tecnica, meriterà approfondimenti di verifica istruttoria sui risultati indicati sia della documentazione in atti, in ordine tanto alle clausole contrattuali che regolamentano il recesso quanto alla documentazione attestante la complessiva situazione economica di esposizione della società opponente, sia del potere-dovere del giudice dell’opposizione, comunque, di decidere sulla situazione giuridica controversa introdotta con l’azione monitoria - rilevato, con riferimento alla mediazione, che le parti non hanno partecipato personalmente alla procedura risultando rappresentate dai propri difensori ritenuto al riguardo che l’esplicito riferimento operato dalla legge art. 8 alla circostanza che al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato ” implica la volontà di favorire la comparizione personale della parte quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi, limitando a casi eccezionali l’ipotesi che essa sia sostituita da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari poteri che pertanto mentre certamente soddisfa il dettato legislativo l’ipotesi di delega organica del legale rappresentante di società, al contrario il mero transeunte impedimento a presenziare della persona fisica dovrebbe invece comportare piuttosto un rinvio del primo incontro - rilevato, altresì, che i difensori delle parti, all’uopo delegati, hanno manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere all’esperimento della procedura di mediazione ritenuto al riguardo che le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1- bis ex lege e comma 2 su disposizione del giudice del d.lgs. 28/10 e succomma mod. , 2 sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla possibilità ” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflativa - ritenuto per quanto sopra chiarito che nel caso di specie il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine che pertanto le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore affinché, in ottemperanza all’interpretazione sopra offerta, prosegua e si esaurisca l’esperimento della procedura di mediazione che nel caso di specie l’onere di nuovo impulso, nel termine di cui al dispositivo, deve essere posto a carico della parte opposta, dal momento che nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo – come da costante giurisprudenza della Suprema Corte – è da ritenersi quest’ultima parte attrice in senso sostanziale con l’esercizio in giudizio dell’azione monitoria, di cui la fase di opposizione rappresenta mera prosecuzione eventuale P.Q.M. RESPINGE l’istanza di sospensione del decreto opposto nei confronti di tutti gli opponenti RINVIA la causa all’udienza del 16.12.2014, h.10.20 al fine di provvedere sulle istanze istruttorie, assegnando alle parti i termini per memorie ex art. 183/6 c.p.comma a decorrere dal 01.07.2014 DISPONE che le parti proseguano il procedimento di mediazione iniziato e non concluso, come in parte motiva, con onere di impulso a carico della parte opposta entro il 15.04.2014, rendendo noto che il mancato esperimento dell’effettivo tentativo è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda per la parte opposta/attivante e ai sensi dell’art. 8/4bis l. med. per la parte opponente/attivata INVITA le parti a comunicare l’esito della mediazione con nota da depositare in Cancelleria almeno 10 gg prima dell’udienza, nota che dovrà contenere informazioni in merito all’eventuale mancata partecipazione delle parti personalmente senza giustificato motivo agli eventuali impedimenti di natura pregiudiziale o preliminare che abbiano impedito l’effettivo avvio del procedimento di mediazione nonché infine, con riferimento al regolamento delle spese processuali, ai motivi del rifiuto dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore DISPONE infine che a cura della parte attivante il procedimento, copia del presente verbale sia trasmesso altresì al mediatore.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. I Civile, sentenza 23 dicembre 2013 Presidente Caputo Osserva 1. I ricorrenti hanno proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’articolo 696 c.p.c. al fine di accertare le cause generanti le macchie di muffa e di umidità presenti nell’appartamento da essi condotto in locazione la resistente ha eccepito la mancanza dei presupposti per disporre l’accertamento tecnico preventivo, evidenziando che nel caso di specie non vi era nessuna necessità di effettuare tale accertamento nella prospettiva di un giudizio, avendo la locatrice manifestato piena disponibilità ad accertare le cause delle pretese infiltrazione e ad eliminarle, disponibilità che, tuttavia, era stata vanificata dal comportamento poco collaborativo dei ricorrenti. 2. I rilievi svolti dalla resistente sono sostanzialmente condivisibili e inducono al rigetto della domanda. In particolare, deve osservarsi che dalla documentazione prodotta dalla resistente emerge, a conforto di quanto da essa dedotto, che effettivamente sin dalle prime segnalazioni da parte dei conduttori, vi è stata piena disponibilità della locatrice a risolvere il problema delle presunte infiltrazioni ciò si evince in particolare dalla lettera/fax del 3.04.2013 indirizzata al difensore dei ricorrenti e ricevuta, come emerge dalla dicitura ok” attestante la corretta trasmissione del fax , nella quale si evidenziava come la resistente avesse cercato vanamente più volte di contattare uno dei conduttori al fine di fissare un appuntamento per consentire di visionare l’immobile da un proprio operaio di fiducia. Addirittura, nella successiva lettera del 22.10.2013, sottoscritta anche dalla locatrice, si rappresentava come, nonostante numerosi tentativi di contattare il conduttore, non fosse stato possibile accedere all’immobile con conseguente rischio di aggravamento delle condizioni dello stesso. La circostanza che le ripetute e documentate richieste della locatrice di fissare un appuntamento per verificare lo stato dei luoghi – atto indispensabile per consentire al proprietario di verificare le condizioni dell’immobile e valutare gli interventi da effettuare e l’eventuale necessità di coinvolgere il condominio cfr. lettera del 28.11.2013 – non abbiano avuto alcun esito assume rilievo decisivo infatti, da un lato, evidenzia che nel caso di specie non può ritenersi sussistente una situazione di pregiudizio irreparabile tale da giustificare il ricorso alla tutela cautelare è evidente, infatti, che diversamente gli odierni ricorrenti avrebbero dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli inviti della locatrice, anche nell’ottica del principio di buona fede tra le parti di un contratto di locazione, che richiede l’adozione di comportamenti collaborativi e positivi. Dall’altro lato evidenzia che, anche a voler ritenere che nel caso di specie si sia creata una situazione di pregiudizio irreparabile, a causare tale situazione è stato, in definitiva, proprio il comportamento scarsamente collaborativo dei ricorrenti che, anziché consentire l’accesso all’immobile da essi condotto, hanno preferito agire in giudizio, con conseguente aggravamento di tempi e costi per la soluzione del problema da essi lamentato. E ciò senza considerare che, per stessa ammissione dei ricorrenti, il fenomeno infiltrativo si manifestava già a pochi mesi dalla stipula del contratto di locazione avvenuta nel 2008 , il che rende ancor più evidente la mancanza di periculum in mora nel caso di specie. Alla luce di ciò, il ricorso deve essere rigettato. 3. Quanto alle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza e sono liquidate d’ufficio ai sensi del D.M. n. 140/12 applicando i valori medi dello scaglione di riferimento, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria e con riduzione del 30% delle altre voci considerata la natura sommaria del procedimento. Le spese sono liquidate con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gloria Martignetti che ne ha fatto richiesta. 4. Va accolta, infine, la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. potendo ravvisarsi, nel caso di specie, l’elemento soggettivo della mala fede in capo ai ricorrenti, in considerazione della evidenziata e documentata disponibilità manifestata dalla resistente per risolvere il problema delle lamentate infiltrazioni del tutto ignorata prima della proposizione del ricorso ed in ordine alla quale, peraltro, è stato omesso ogni riferimento nel ricorso. Nel caso di specie, infatti, si sarebbe potuto agevolmente risolvere il problema emerso nel corso del rapporto locatizio senza ricorrere all’autorità giudiziaria, semplicemente raccogliendo l’invito della resistente a far visionare l’immobile locato. Emblematica del comportamento posto in essere dai ricorrenti, contrario ai doveri di buona fede contrattuale, è la circostanza che il ricorso per accertamento tecnico preventivo è stato depositato il 23.10.2013, ovvero il giorno immediatamente successivo alla trasmissione del fax del 22.10.2013 con il quale la resistente specificamente diffidava i ricorrenti, a mezzo del proprio legale, a prendere contatti al fine di poter risolvere il problema dell’accesso all’immobile, stante la persistente irreperibilità degli stessi.Infatti, anziché recepire l’invito della locatrice, che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, si è preferito adire il Tribunale, in un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi, prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie – al punto da prevedere, con le modifiche operate dal D.L. n. 69/2013 che gli avvocati siano di diritto mediatori e debbano assistere la parte nel procedimento di mediazione – prospettiva che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’ extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili. Quanto all’importo della somma da porre a carico dei ricorrenti, la stessa può essere determinata in via equitativa, in un multiplo dell’importo liquidato per le spese processuali in particolare, nel caso di specie, tenuto conto della natura della controversia, del valore della stessa, delle ragioni della decisione e della gravità del comportamento dei ricorrenti, questi ultimi vanno condannati, ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c., al pagamento dell’importo di euro 1.266,50, pari al doppio dell’importo liquidato a titolo di spese processuali. P.Q.M. 1. rigetta il ricorso 1 condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della resistente, che liquida in euro 633,25 per compenso professionale ex D.M. n. 140/12, oltre IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gloria Martignetti 2 condanna i ricorrenti, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c. al pagamento in favore della resistente di euro 1.266,50.

Tribunale di Roma, sez. XII Civile, sentenza numero 4140 Presidente Tutti Motivi Della Decisione La domanda merita accoglimento. Il rifiuto da parte della *** Ass.ni s.p.a. di non onorare il contratto perfezionatosi con l’arrivo della proposta transattiva sottoscritta e con il dato IBAN, non trova giustificazione e pretestuosa appare la scusa avanzata dalla *** Ass.ni s.p.a., che non si era accorta che l’infortunato non era il contraente ma la moglie. La e-mail di accettazione è stata inoltrata alla e-mail dalla quale è pervenuta la proposta a mezzo pec e nelle modalità indicate dalla ***. E’ ormai pacifico che l’indirizzo di posta elettronica possa essere considerato indirizzo ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1335 c.c, trovando applicazione in tutti i casi la presunzione di conoscenza Cass. Civ. Mass numero 689 del 14.01.2005 . Come ormai confermata da costante giurisprudenza cfr. Cass Civ. III° sez. numero 7420 del 31.03. 2011 la conclusione di un contratto si perfeziona al momento in cui l’accettazione sia giunta all’indirizzo del destinatario e la revoca della proposta, quale atto unilaterale recettizio, non produce effetti quando sia pervenuta all’accettante dopo la conclusione del contratto, vale a dire dopo l’arrivo all’indirizzo del proponente dell’accettazione della controparte. Il significato della scusa dello scambio di persona non è comprensibile, in quanto che la polizza Persona OK” è una polizza cumulativa con cui viene complessivamente assicurato un nucleo famigliare per una certa somma nella fattispecie € 100.000,00 per morte ed invalidità –con franchigia del 3% e 3.000,00 per rimborso spese di cura € 80,00 al giorno per il ricovero ed 40,00 per ogni giorno di gesso . Quindi anche il contraente Sig. Cocco come l’infortunata erano titolari di un terzo dei singoli massimali essendo il nucleo famigliare composto da tre persone vedi articolo 23 C.G.A. . La ratio di questa tipologia di polizze è il basso costo del premio assicurativo, essendo il rischio suddiviso su più persone. L’ultimo comma dell’articolo 23 delle Condizioni Generali di Polizza recita Qualora le indennità liquidabili ai sensi di polizza eccedessero le somme assicurate, esse verranno proporzionalmente ridotte”. Questa clausola non avrebbe senso se la somma assicurata per ciascun facente parte del nucleo familiare, pari ad e 33.333,33, non potesse mai essere superata dall’indennità liquidabile poiché anche una invalidità del 100% verrebbe liquidata con euro 33.333,33. La corretta interpretazione dell’art 23 delle C.G.A è che, fermo il massimale di e 33.333,33 per ciascun componente il nucleo famigliare, le indennità vanno rapportate al massimale complessivo di C 100.000,00 per invalidità permanente, e 80 per ciascuna giornata di ricovero, € 40,00 per ciascuna giornate di gesso oltre il rimborso delle spese di cura fino ad C 3.000,00. Solo nell’ipotesi che uno dei garantiti abbia subito un danno con una permanente, poniamo del 50%, pari ad una indennità di € 50.000,00, questa, eccedendo la somma assicurata € 33.333,33 per ciascuno di loro, verrebbe proporzionalmente ridotta. La Sig.a *** ha depositato una valutazione delle proprie lesioni pari a 14 punti di invalidità permanente, mentre la valutazione della *** Ass.ni s.p.a. pari a 11 punti, non è suffragata da idonea documentazione e sconosciuto è il nome del relatore. Non essendo stata esperita una visita collegiale né richiesta una CTU in corso di causa, questo Giudice, esaminata la sola perizia di parte attorea redatta dal medico legale Dr. Lovecchio insieme con i certificati medici e le spese, valuta le lesioni residuate all’attrice, causa l’infortunio subito, pari a 13 punti, oltre a 6 gg. di ricovero e 35 gg. di gesso. Spettano pertanto all’attrice, detratta la franchigia di 3 punti, euro 10.000,00 per la voce invalidità”, 480,00 per la voce ricovero”, 1.400,00 per la voce gesso”, oltre euro 2.144,81 per le spese mediche documentate. La Sig.a *** aveva anche provato a rivolgersi ad un Ente di mediazione per trovare una soluzione della vertenza, ma, non essendosi presentata la *** Ass.ni s.p.a., senza addurre motivazioni, la mediazione si è chiusa con la mera accettazione della proposta del mediatore per euro 9.750,00, anche questa rimasta inevasa, per cui le spese affrontate dovranno essere rimborsate in ragione di euro 205,00 . Dalla somma totale di euro 14.024,81, così ottenuta, vanno detratti euro 3.266,52 già corrisposti, e sul totale residuo di euro 10.758,29 vanno calcolati la rivalutazione e gli interessi legali a far data dal 23.02.2011 ad oggi in ragione di euro 1.302,00 , per un totale complessivo di euro 12.060,00 . Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi, competono gli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo, ex art 1282 c.c. Tenuto conto del comportamento della *** Ass.ni Spa, sia nella fase della mediazione che nella fase prettamente processuale, non presentandosi e senza giustificarsi nella fase mediatoria e resistendo alla domanda attorea pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa, la mera opinabilità del diritto fatto valere e la consapevolezza della mancanza di documentazione medica, questa Società viene condannata al pagamento dell’ulteriore somma di E 2.000,00 ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. . La spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo d’ufficio., tenuto conto delle somme in concreto liquidate e dei valori medi di liquidazione del D.M. 140/12, applicabile alla fattispecie come da giurisprudenza di legittimità cfr. Cass numero 16581/ 12 .